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Giovanni Improta, il Baronetto tra calcio e musica

Uomo raffinato come il suo talento, centrocampista d'altri tempi, esteta e fine conoscitore di calcio, Baronetto per investitura di Posillipo e di un signore del calcio raccontato come Antonio Ghirelli, Giovanni Improta, con quel sangue azzurro che gli scorre nelle vene, di Napoli è figlio prediletto.
Giovanni Improta

Giovanni Improta è l’anima elegante e virtuosa del calcio partenopeo. Uomo raffinato come il suo talento, cristallino e armonioso centrocampista d’altri tempi, esteta e fine conoscitore di calcio, eletto “Baronetto” con la menzione speciale del suo quartiere, Posillipo e da un maestro del giornalismo come Antonio Ghirelli. Un “Sir” come i fantastici Beatles, ma nato in riva al Golfo di Napoli. Coccolato e amato dal popolo, difeso, tanto da essere preferito al Vesuvio in un leggendario striscione esposto dai propri tifosi: “Si può vendere il Vesuvio ma Improta No”. L’amore verso la propria terra Giovanni Improta l’ha sempre dimostrato in maniera inequivocabile, restando nel “suo” Sud, ottenendo ottimi risultati sia come allenatore che dirigente sportivo. Un english-man nato sulla celebre collina partenope, con la musica nel cuore e il calcio nell’anima.

Giovanni Improta

 L’azzurro nelle vene

La guerra aveva rubato la speranza sostituendola con la fame. La città di Napoli, da sempre storicamente arcigna, aveva lottato non poco per superare i bombardamenti. L’azzurro del mare, lentamente ritrovava il suo vigore e con esso il suo popolo. Il calcio però rimaneva sempre motivo di riscatto e fratellanza. E’ proprio in quella terra che i napoletani cosiddetti “figli del Vesuvio” si conquistavano uno posto speciale nel cuore dei tifosi partenopei, basti pesare a Totonno Juliano, il leggendario capitano, oppure anche a chi era straniero e scelse Napoli per rimanerci a vita, come Luis Vinicio detto O’Lione, Bruno Pesaola detto Il Petisso o a Jarbas Faustino Canè. Negli anni 60′, ma anche oggi, arrivare nelle giovanili della propria città era considerato un sogno. In quegli anni non si badava all’estetica, all’ego o alla notorietà, si lavorava affinché si potesse emergere dove si erano nati e cresciuti. La collina di Posillipo ha da sempre fatto da ombra alla città partenopea, proteggendola e regalandole il lato più bello. Una visione della Napoli della bellezza, fine, distaccata, meno pop ma più glamour, che restituì anche essa un figlio del proprio grembo napoletano.

Giovanni Improta

Il Baronetto di Posillipo

I sogni di Giovanni Improta, il Baronetto di Posillipo, iniziano prima del 1970, quando torna dopo un prestito alla Spal. Una stagione condita da 3 goal, in una squadra ricca di campioni, dove lui riesce ad imporsi grazie alla classe e all’eleganza. Il Napoli di quell’anno entusiasma in particolar modo i tifosi azzurri, con un sesto posto finale, la chiamata di Juliano in nazionale per i leggendari mondiali di Messico70′. Giovanni Improta colleziona presenze anche in Coppa Italia e nella Coppa Uefa. L’anno successivo è da incorniciare, che vede un Napoli in lotta per lo scudetto e con in rosa giocatori come Altafini, Zoff e Juliano. I posteri diranno poi che quella squadra avrebbe meritato molto di più. Il Baronetto incanta con la sua miglior stagione, totalizzando 40 presenze e 8 goal.

Si può vendere il Vesuvio, ma Improta no

A guardarlo bene, sua maestà il Vesuvio non incute tanto timore. In millenni di storia è stato idealizzato, consacrato, difensore, ma anche decantato, da sempre icona e leggenda, croce e delizia del suo popolo, tra uno sterminator e una terra felix, si divide tra lotte interne e un popolo che vive quotidianamente del suo magma. Oltre i simbolismi, i partenopei si dono identificati nella sua storia e nella sua calma apparente, tanto da ritenerlo quasi un dio pagano a protezione della città. Pensate che grandezza per un umano, per giunta partenopeo, esser paragonati al suo nome, e maggiormente, se addirittura ci si viene preferiti, quasi una blasfemia potremmo pensare, da dire sottovoce senza farsi sentire. Ecco, succede che il Baronetto Giovanni Improta in un passaggio della sua carriera, nella stagione 72′-73, viene messo in discussione, per motivi societari di liquidità, dal presidente Corrado Ferlaino. Come una rivolta della Napoli del 1799, il popolo partenopeo si ribella, sbotta e riversa la sua rabbia manifestando tutta il suo disappunto di una possibile cessione. La creatività dei napoletani non ha confini geografici e artistici, va oltre, supera la fantasia e la razionalità. Le parole infuocate si trasformano in pura poesia e ironia e per perorane la causa viene lanciato un unico messaggio, che a suo modo entrerà in eterno nella memoria dei tifosi napoletani, un semplice striscione che riassume tutto il dissenso: “Si può vendere il Vesuvio Importa No”.

Improta e Chinaglia

L’ironia non bastò

Eccola la inarrivabile estrosità dei napoletani, fine di eduardiana memoria, elegante, ma straordinariamente popolare. Purtroppo in quel caso il finale non fu quello auspicato; il Baronetto fu ceduto alla Sampdoria, dove giocò per una stagione. L’amore per il sud, per la sua Napoli, gli regalarono esperienze importanti ad Avellino, ma anche a Catanzaro, Lecce, Juve Stabia e con la Frattese. Testimonianza di un senso di appartenenza unico, inequivocabile verso le proprie radici.

Sangue azzurro

Un sangue azzurro quello di Giovanni Improta, più che blu. Un sangue che scorre nelle vene sempre in maniera etica e coerente, in simbiosi con le proprie origini ed idee, lontano anni luce da un calcio drogato di soldi e arrivismo, testimone in maniera netta e precisa di un uomo sempre in linea con i valori della sportività e della appartenenza, preferiti sempre al vil danaro, alla voltagabbanesimo e al tradimento umano e calcistico.

Giovanni Improta

Il Baronetto delle sette note

Un Baronetto e un maestro, come un film degli anni 60′. Una passione non solo per i colori, ma anche per ciò che arriva diretto al cuore, la musica e la voce. Un musicista e arrangiatore, icona partenopea nel mondo, il maestro Enzo Di Domenico e tra più importanti parolieri della storia della musica partenopea, lega la sua arte a quella di Giovanni Importa, fine, elegante e virtuoso, che sin da giovane fa della sua passione una pregevole e disincantata esperienza. È tra i vecchi e intramontabili vinili che troviamo i passi e le registrazioni del Baronetto di Posillipo. Negli anni 60-70′, tra i giocatori di calcio era di moda cimentarsi in album o progetti discografici, basti pensare a Giorgio Chinaglia, Beppe “Mister Miliardo” Savoldi, Francesco “Ciccio” Graziani. Il calcio in qualche maniera, legava l’immagine dello sportivo, a quella vena “pop” di ogni calciatore.

Il vinile

Il vinile di Improta suonava pezzi come “Pony Popo” e Tracalino Tracalone. Altro filone, molto in voga in quel contesto, era proprio quello di registrare brani dedicati al mondo dei bambini. Un universo di allegria, divertimento e favole. Tra i nomi più importanti che possiamo ricordare in queste operazioni è proprio il baffuto Savoldi, che ci raccontava con estrema dolcezza la favola di come si diventa calciatori. È in questo legame, immaginario e di amore, che la musica si è sempre legata alle sette note di un popolo partenopeo che da millenni suona e cammina all’unisono con la musica. Il Baronetto con l’azzurro nel cuore ha dedicato un brano alla propria madre, scomparsa quando lui aveva appena cinque anni. Parole e musica firmate dalla penna del maestro Di Domenico, nel titolo “M’Arricordo”, tutto il sapiente amore e vissuto di un uomo elegante, virtuoso e legato visceralmente alle proprie radici, sia umane che identitarie. Per la storia del popolo partenopeo, oggi e domani, Giovanni Improta sarà sempre il grande “sir” dal sangue azzurro.

 

Sergio Cimmino Nasce a Napoli nel 1982. Collabora in ambito comunicativo, radiofonico, musicale e culturale. Da freelance lavora per testate nazionali, web tv e ha contribuito alla realizzazione di musical ed eventi.

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