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Jim Flynn. L’italiano di Hoboken

Andrew Chiariglione, Andrew Haynes, Fireman Jim Flynn. Nel gioco dei nomi è sempre lui, l'italiano di Hoboken con il nome americanizzato come faranno tanti altri pugili di sangue e cognome italiano. È sempre lui ed l'unico ad aver mandato ko Jack Dempsey, uno dei più forti di ogni tempo. Questa è la storia di un combattente, non di un vincente, una storia che parte da una foto che dice tutto.
Jim Flynn

Lo vedo così, in posa da pugile su una foto carica di anni.
Plastico, ma non troppo. È sul peso, non vedo muscoli elastici, ma spalle e collo sono da lottatore.
La canottiera fa venire prurito anche a guardarla a cento anni di distanza, i guanti neppure a immaginare, il pantalone in vita con i suoi passanti fuori misura stringe in maniera ingenerosa. Ma forse è la posa. Forse.
I capelli sono fermi che più non si può, riga perfetta, ciuffo domato, scalatura su un viso segnato, nuca scoperta. Lui non guarda in camera, guarda il pugno che non stringe neanche tanto, gli occhi non si vedono eppure, e non me lo spiego, io quegli occhi non li vedo felici.
Jim Flynn è scritto sulla foto, così si usava al tempo.
Nome e cognome di portata scenica, m’incuriosisco.
Per me, di primo impatto, lui è un pugile triste. Voglio capirne di più.
Voglio capire di Jim Flynn ed è così che incontro Andrew Chiariglione.

Hoboken

Tra Manhattan e Hoboken ci sono l’Hudson River e un confine: New York State da una parte, New Jersey State dall’altra.
Da Manhattan a Hoboken ci arrivi facile; Holland Tunnel in auto oppure 15 minuti di Path, il treno che puoi prendere da Port Authority.
Facile oggi, nel 1879 forse lo era un po’ meno.
Hoboken ha avuto fortuna; è più facile e conveniente vivere qui piuttosto che nella dirimpettaia Manhattan. Ci sono molti studenti, lo Stevens Institute of Technology ne attrae tanti. C’è anche il Carlo’s Bake Shop di Buddy Valastro. Qualche anno fa ha vissuto stagioni di notorietà grazie al format televisivo Il boss delle torte. Fore ora non più, ma allora per entrare nel negozio non bastava fare la fila che girava intorno al palazzo, dovevi anche acquistare prima un biglietto.
Carlo, Valastro…fate caso a nomi e cognomi.
Non è solo italian sounding, è retaggio vero, nessuna contraffazione.

Figli di broccolino

Tra Ellis Island e Hoboken ci sono poche miglia di mare e terra.
Tra Ellis Island e l’Italia ci sono un oceano e tante vite.
Nella seconda metà dell’800 gli italiani sbarcano a Ellis.
Storia nota: quarantena, schedatura, cognomi masticati male, cambiati per difetto di pronuncia, scrittura o comprensione e poi via! L’America è qui bellezza, guarda quanto è grande, guarda quante cose da fare. Broccolino viene su tra sputi, sangue, sacrificio e nostalgia che strizza lo stomaco e riga le guance.
Poi passa, dice, sì, poi passa.
Tra i tanti di Ellis Island sbarca più d’un Chiariglione.
Uno di loro avrà un figlio americano di nascita e lo chiamerà Andrew.
Quella di Andrew è una classica storia d’italiani d’America.
Una classica storia di pugili italiani d’America.

Da Hoboken a Pueblo

Andrew Chiariglione nasce a Hoboken nel 1879, ma non in un giorno qualunque: il 24 dicembre non è mai un giorno qualunque.
Dei genitori non sappiamo nulla. Nella mappa dei cognomi, Chiariglione viene dato originario del torinese, ma vallo a sapere.
Di Andrew si legge che fosse di origine italo-irlandese. Possibile, magari la mamma era una rossa d’Irlanda.
Italiani, irlandesi, polacchi a quel tempo erano tutti carne e muscoli da emigrazione.
Fatto è che dopo qualche anno i Chiariglione si trasferiscono a Pueblo, in Colorado. Avete presente le Montagne Rocciose, grandi pianure, i nativi dalla pelle bruciata, Cheyenne, Arapaho, i film di John Ford, la camminata un po’ sbilenca di John Wayne?
Colorado, appunto. Colorado che vuol dire ferrovia e lavoro.
Andrew cresce e proprio intorno alla ferrovia si snoderà la sua vita.
Andrew diventerà un fireman, un pompiere del Pueblo Fire Department e della Denver and Rio Grande Railroad. Lo farà per tutta la vita, ma in ogni vita che si rispetti ce n’è sempre un’altra.
La sua altra sarà sul ring.

Andrew Chiariglione

Il gioco dei nomi

Troppo italiano quel Chiariglione, troppo broccolino.
Sul ring ci vuole altro, Andrew cambia nome, lui come tanti altri.
Gli irlandesi sono grandi appassionati di pugilato e poi, chissà, forse la madre e allora via! Ecco a voi Andrew Haynes.
Ma no, facciamo le cose fatte bene, cambiamo tutto, non solo il cognome.
Jim Flynn suona bene. Fireman Jim Flynn suona ancora meglio.
Non è chiaro quando Andrew inizi a combattere con il nome da ring, anche se la sua prima traccia sul quadrato è del 5 agosto 1893. Non ha ancora compiuto 14 anni, ma all’Old Aztec Store di Santa Fe vince per ko su tal W.F.Roberts, di cui non si ricorderà altro che un incontro e una sconfitta.
Vista l’età, improbabile che Andrew combattesse già come Fireman.
In ogni caso una gazzetta locale riporta che in quell’anno Fireman Jim Flynn vince sei incontri a Santa Fe.
Ma questo è solo l’inizio.

Una vita sul ring

Tra il primo incontro a Santa Fe del 1893 e l’ultimo del 1925 a Phoenix, Fireman Jim Flynn lo troviamo nel ruolino di 170 incontri. Il track record ce ne restituisce 72 vinti, di cui 56 per ko, 46 persi, di cui 26 per ko, 22 fermati dai giudici, 2 non svolti e 28 con newspaper decision, formula questa poi abolita, ma che al tempo indicava il giudizio non ufficiale emesso dai giornalisti sportivi presenti all’incontro se i giudici non procedevano all’assegnazione.
Un peso massimo Fireman Jim Flynn e forse la tristezza che mi sembra di scorgere nei suoi occhi viene proprio dal non aver mai conquistato il titolo che per due volte, nel 1906 e nel 1912, gli fu concesso di sfidare.
Il 2 ottobre 1906 se la vede con Tommy Burns a Los Angeles. Lo impegna duramente per 13 round, ma al quattordicesimo e al quindicesimo va giù e perde.
Il 14 luglio 1912 combatte contro Jack Johnson a Las Vegas. Non è un bell’incontro. Messo in difficoltà, Jim Flynn ricorre a diverse scorrettezze. Al nono round l’arbitro ferma tutto, il titolo rimane a Johnson.
Fireman Jim Flynn combatte spesso con pugili più forti di lui, non si spaventa, non li teme, porta colpi, ne prende, va giù, si rialza, vince, perde. Cambia poco, lui è Fireman, il pugile operaio, uno stimato perdente che quando vince lo fa per tutti quelli che perdono sempre.

Coup de theatre

13 febbraio 1917, Murray, Utah.
Fireman Jim Flynn ha 38 anni, non è più un ragazzino, ma combatte ancora. Per la borsa, perché gli piace, perché non si vede in altro modo.
Gli fanno incontrare un giovane emergente di Manassa, Colorado. Ha 23 anni, promette bene, ma dura poco.  Appena 25 secondi della prima ripresa e il giovane va a mangiare la polvere a terra. Sarà la sua prima e ultima volta. Non gli accadrà mai più.
La rivincita è un anno dopo e questa volta è Jim ad andare giù alla prima ripresa.
Due anni dopo, il 4 luglio 1919, alla Bay View Park Arena di Toledo, Ohio, il giovane emergente diventa una certezza: vince il titolo dei pesi massini e lo manterrà fino al 1926.
Un dettaglio. Il ragazzo è Jack Dempsey e sarà uno dei pugili più forti di tutti i tempi, una leggenda con un solo neo: il ko subito da Fireman Jim Flynn.

Jim Flynn taxi driver

L’epilogo

Fireman Jim Flynn continua a combattere sino a 40 anni. Gli ultimi incontri sono solo sconfitte. Siamo sempre lì. Per la borsa, per la sfida, per la passione, per la voglia di riscatto. Inutile chiederselo. È andata così.
Quando scende dal ring continua a fare il pompiere, ma poi lascia e si mette a guidare un taxi. La vita però lo morde. Poco dopo i 50 anni inizia a perdere la vista, si riduce in povertà. Una cronaca del tempo ci dice che Dempsey e altri pugili lo aiutano. La boxe è così. Pugni e cuore.
L’ultima campana è il 12 aprile 1935.
Il cuore fa il matto, brucia, ma Fireman non c’è più.
Jim Flynn, Andrew Chiariglione, sangue italiano di Hoboken, Fireman di Pueblo muore all’ospedale di Los Angeles.
Alla fine l’ho capito cosa c’era in quegli occhi che nella foto non guardano in camera.
Un perdente di successo?
Può darsi, ma in fondo cosa importa?

Guardia alta Jim, gli incontri non finiscono mai.

 

 

…………..

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Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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