Il Rex. Mare, acciaio e cuore

Questa è una storia di mare, di acciaio e di cuore. Le navi di questo sono fatte. Il Rex più di tutte. 90 anni fa il Rex batte il record di velocità per la traversata del nord Atlantico, conquista il Nastro Azzurro ed entra nella storia. Il Rex, però, è soprattutto immaginario, si fa beffa del tempo e ancora oggi, a raccontarne, emoziona. Di lui rimangono una memoria fortissima e alcuni cimeli sopravvissuti. Soprattutto, però, rimane un'elica da ritrovare e riportare a casa.
COVER REX 07

Vostra Maestà, in nome di Dio tagliate!
Achille Piazzai in quel momento rivede i giorni e le notti della progettazione, le idee diventare disegno e poi forma. Ha un nodo in gola, ma riesce ugualmente a dirlo. Urla Piazzai, urla e il suo grido passa sopra 100.000 e più teste accorse per vedere quello che ricorderanno per tutta la vita.
È il primo agosto 1931. Ai Cantieri Ansaldo di Sestri Ponente, 17.000 tonnellate di ferro e acciaio scivolano sullo scalo verso il mare. 100, 150, 200.000: il conto si perde tra cronaca e storia, ma certo è che tutti quel giorno esultano, agitano braccia e bandiere, ridono, si abbracciano, piangono.
Il varo è un rito emozionale, liberatorio, energia contagiosa, bellezza assoluta, sacro nella sua essenza di sfida.

Ricordato quasi sempre e anche giustamente come la nave dei record, il Rex è in effetti molto di più: il Rex è la nave dei sogni. Il Rex è mare, acciaio e cuore.

Navigatori siamo sempre stati, sognatori forse anche di più

Nel 1929 il mondo vacilla e perde tante certezze. La crisi di Wall Street è devastante per l’economia americana. Milioni di disoccupati, fallimenti di banche e industrie, famiglie sul lastrico, file alle mense per i poveri.
Un oceano non basta, la crisi arriva anche in Europa. Se ne uscirà a fatica e ci vorranno anni. Keynes, Roosevelt, New Deal negli Stati Uniti, ma anche da noi non si scherza. L’economia italiana del tempo è dirigista, al servizio di un’idea di Nazione che la vuole strumento della politica. È la teoria delle Tre P: produzione, primato, prestigio.
Tutto per lo Stato, tutto nello Stato. Giusto o sbagliato, il quadro era quello.
L’Italia che gonfia il petto è però anche abituata a tirarsi su le maniche.
Nel 1929 il mare non è più Nostrum già da tempo. Se nel Mediterraneo ci facciamo comunque rispettare, le rotte oceaniche – merci e passeggeri – sono padroneggiate da inglesi e tedeschi: tradizione marinara, cantieristica, commerci, porti, retaggi imperiali.
Proprio nel 1929, però, qualcuno lancia il cuore oltre l’ostacolo, ma forse sarebbe meglio dire oltre l’oceano.
L’idea non è nuova.
Nel 1926 Mussolini aveva parlato delle Frecce del mare; ne vuole due, non solo grandi ma imponenti e soprattutto veloci. Il progetto sopisce, le compagnie sono discretamente rivali tra di loro, si cerca una mediazione, i tempi si allungano.

Poi arriva il tempo di fare. Il tempo è adesso.

Le nostre compagnie di navigazione sono audaci

La Cosulich di Trieste, il Lloyd Sabaudo di Torino e la Navigazione Generale Italiana hanno una bella storia. Quest’ultima poi è una sorta di sintesi marinaresca dell’unità d’Italia visto che nasce nel 1881 per fusione tra la Rubattino di Genova – suoi i piroscafi Piemonte e Lombardo che portarono i Mille in Sicilia – e la Flotte Riunite Florio di Palermo. 
Ebbene, forte di tanta storia e con il placet del governo, la Navigazione Generale Italiana si avventa verso il futuro e il 2 dicembre 1929 commissiona ai Cantieri Ansaldo un progetto da sogno. L’investimento è da capogiro: 300 milioni di lire. Mai così tanto per una nave italiana.
I record del Rex iniziano da subito.
Al tempo stesso il Lloyd Sabaudo incarica i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste di costruire il gemello; si sarebbe dovuto chiamare Dux, si chiamerà Conte di Savoia e sarà appena più piccolo del Rex.
Le Frecce del mare stanno per arrivare.

Rex cantiere

Cantieri Ansaldo

Bella storia già allora quella dei Cantieri Ansaldo, dal 1853 punto di riferimento per la cantieristica navale italiana. Una storia di braccia degli operai che tiravano su navi e di teste che le pensavano. Una storia di innovazione capace di gestire il passaggio in mare dal legno al ferro e all’acciaio. Cantieri che da fucina diventano industria vanto nazionale e  firmano navi che oltre a disegnare scie su mari e oceani segnano anche il tempo.
Tra queste, più di tutte, il Rex.

Inizia l’Opera

Non si era mai pensato nulla di così grande.
268,20 metri di lunghezza, 29,50 di larghezza, 37 di altezza, 12 ponti, 51.062 tonnellate di stazza lorda, 17.000 tonnellate di acciaio.
Non si era mai costruito nulla di così grande. 2000 operai lo faranno in un tempo da record: 16 mesi.
I lavori, benedetti dal vescovo Angelo Bartolomasi, iniziano il 27 aprile 1930. Man mano che passano i giorni il cantiere sembra sempre più l’antro di un dio dove una moltitudine operosa batte, salda, assembla, inchioda, bestemmia, pensa a casa, respira vento e sale e lascia che il sole gli arroventi la pelle come lamiera.

Rex vescovo

Ogni giorno è un giorno in meno. In attesa di dominare il mare, il Rex domina il paesaggio, ma questo è ancora niente rispetto al destino che lo attende.
In anticipo sui tempi il 19 luglio lo scafo è pronto, il primo agosto il varo e poi il viaggio rimorchiato fino al porto di Genova, nel frattempo ingrandito per ospitarlo. Altri 12 mesi e le Officine di Allestimento e Riparazioni Navi daranno anima e vestito allo scafo. Qui vengono montate le turbine, le macchine, gli strumenti, gli arredi. Qui il Rex diventa come era stato pensato: la nave più bella, più sicura e più veloce mai vista prima.
Dopo le prove a mare, il 22 settembre il Rex è consegnato alla Italia Flotte Riunite, la compagnia nel frattempo nata dalla fusione della Cosulich, della Lloyd e della committente Navigazione Generale Italiana.
Ora tutto può iniziare.

Rex varo

 

Il varo

Del nodo in gola di Achille Piazzai abbiamo detto, ma ci piace pensare che anche Elena di Montenegro, regina consorte d’Italia abbia avuto un moto dell’anima mentre spingeva il pulsante rosso e guardava la bottiglia di spumante Gancia filare nell’aria per andare a infrangersi sulla prora dello scafo.
Pochi secondi che ammutoliscono le anime; se la bottiglia non si rompe è segno di sventura. Non succede, l’urlo della folla diventa uno solo, lo scafo si muove, da bordo decine e decine di braccia sventolano verso la moltitudine assiepata a terra e nelle centinaia di barche e barchini accorsi in rada per dare il benvenuto in mare al nuovo re.
Rex, non a caso.

 

Il viaggio inaugurale

Forse al tempo i treni arrivavano in orario.
Di certo il 27 settembre 1932 parte puntuale il Rex. È il suo viaggio inaugurale.
Alle 12.00 in punto la nave muove con 1.872 passeggeri e 870 uomini di equipaggio.
Tratto austero da uomo di mare, famiglia di Lerici marinara da generazioni, al comando c’è Francesco Tarabotto e lo rimarrà fino all’estate 1937 quando lascerà poco prima di andare in pensione. In mare alla scaramanzia non si sorride e Tarabotto non copre l’ultimo viaggio che avrebbe potuto fare. Di lui parleremo ancora.
A bordo del Rex regnano stupore ed entusiasmo.
La bellezza di allestimenti e arredi contagia e fa esplodere anche gli animi.
Lussuosissime le cabine di prima classe e comode come non mai anche quelle di terza. Il ponte sport, il ponte sole, le piscine con ombrelloni colorati per ricreare l’atmosfera del tipico Lido italiano, il centro termale, il salone delle feste, l’avveniristica stazione radio, la sala cinema, la semi sconosciuta aria condizionata, la cappella di bordo alta due piani: sul Rex la modernità è ovunque.
E poi c’è il cuore pulsante.
Quattro turbine, potenza scaricata in mare da quattro eliche da cinque metri di diametro, muscoli da 140.000 cavalli non dichiarati perché gli altri devono pensare che il Rex è sì la nave più bella, ma non deve sfiorarli l’idea che possa essere anche quella più veloce.
Il Rex è un giocattolo per giganti.
L’inconveniente di Gibilterra – un danno all’impianto elettrico – lo ferma per due giorni. Da Genova salpa il Vulcania con i pezzi di ricambio, ma Tarabotto non attende oltre, prende l’Atlantico con i generatori d’emergenza. La sosta diventa un trampolino. L’uomo ha stoffa e lo dimostrerà ancora, ma la sua nave non è da meno e non lo smentisce.

New York, New York

L’arrivo a New York è una festa di popolo, ma non solo degli italiani partiti con le valigie di cartone o dei loro figli e nipoti. Tutta New York applaude l’arrivo del gigante del mare e persino la radio lo segue in diretta. Attraccato ai Chelsea Piers, nei due giorni a seguire il Rex viene aperto alle visite da terra. Il traffico nell’intorno impazzisce e in oltre 20.000 si metteranno in fila e attenderanno ore pur di salire a bordo e vedere la meraviglia del mare.
Ma questo è solo l’inizio; New York vedrà molto di più.

Il Nastro Azzurro

L’origine del Nastro Azzurro si perde nelle storie di mare.  Chi lo vuole associare ai clipper che tra oppio e the si impegnavano in velocità nella rotta delle Indie, chi invece solo ai transatlantici impegnati nel nord Atlantico, con record di velocità annotati dal 1838. Il primo quello della SS Sirius della Saint George Steam Packet Company.
Quello che ai nostri fini rileva, però, è che il record se lo giocavano in casa le compagnie inglesi con qualche eccezione tedesca e rarissime comparse statunitensi e francesi.
Nel 1929 e nel 1930, in particolare, il primato era stato stabilito, rispettivamente, dai transatlantici tedeschi Europa e Bremen della Norddeutscher Lloyd di Brema.

Rex post card

Quel 1933

Non è un anno qualunque il 1933. In Germania i nodi vengono al pettine, Hitler vince le elezioni e prende il potere per non far votare più. Qualcuno capisce che non tira una buona aria e, alla spicciolata, inizia ad andarsene. Inizialmente pochi, presto saranno migliaia gli ebrei che lasceranno la Germania e l’Austria. È solo l’inizio, non tutti lo capiscono.
Questa storia riguarderà anche il Rex, ci arriveremo più avanti.
Nell’Unione Sovietica di Stalin prende il via il secondo piano quinquennale: la sua economia pianificata e la lotta ai piccoli proprietari farà strage in particolare di ucraini, sempre loro. È l’holodomor, lo sterminio per fame; stime prudenti calcolano circa quattro milioni di morti, ma la contabilità della morte è complicata e dimentica sempre qualcuno.
Negli Stati Uniti il 1933 è forse l’anno più buio della Grande Depressione, ma al cinema arriva King Kong, a Camden nel New Jersey apre il primo drive-in e il 5 dicembre finisce il proibizionismo. Tra cinema e alcool, almeno l’immaginario non se la passa male.

Il ’33 italiano e gli Stati Uniti

In Italia sono gli anni del consenso, come li chiama Renzo De Felice. Al netto delle libertà compresse, il sistema sociale tra Opera Infanzia, Dopolavoro e Mutue regge, l’economia vede l’istituzione dell’IRI, le città di fondazione promettono e danno lavoro e case dignitose. Sullo scenario internazionale sgomitiamo per farci ascoltare, ma il modello italiano registra apprezzamenti insospettabili con il senno di poi.
Il presidente americano Roosevelt ha qualcosa in più di una cordiale intesa con Mussolini. “Mio caro presidente” così scrive Mussolini a Franklin Delano Roosevelt il 24 aprile del 1933, «in risposta alla vostra richiesta di avere uno scambio di idee sui problemi economici e politici del mondo ai quali gli Stati Uniti e l’Italia sono reciprocamente interessati, ho chiesto al ministro delle Finanze on. Guido Jung di venire a Washington come mio rappresentante. Egli vi dirà con quanto grande interesse io stia seguendo il lavoro del governo degli Stati Uniti, per la soluzione delle attuali difficoltà del mondo, che soltanto attraverso la mutua collaborazione e la buona volontà delle nazioni possono essere risolte”.
Insomma, nel 1933 i rapporti tra Italia e Stati Uniti sono più che buoni.
Accade poi che il 29 giugno al Madison Square Garden di New York Primo Carnera, dopo aver viaggiato ed essersi allenato sul Rex in un ring costruito appositamente per lui, mandi al tappeto Jack Sharkey e diventi campione del mondo dei pesi massimi.

Rex e squadriglia atlantica Balbo

Accade anche che il primo luglio Italo Balbo parta da Orbetello con la sua squadriglia di 25 idrovolanti Savoia-Marchetti 55X per la Crociera nord atlantica, destinazione Chicago per l’Esposizione Universale, dove arriva con tripudio di folla il 14 luglio. Tripudio che replica qualche giorno dopo, il 19, nella tappa newyorkese quando la squadriglia sorvola il Rex attraccato al molo sull’Hudson.
Il Rex, appunto.
Il 1933 è anche l’anno del Rex.

Il Rex del primato

Giovedì 10 agosto 1933. Sono le 11,30 quando il Rex salpa da Genova per quella che sembra essere un’ordinaria traversata atlantica.
L’impresa è stata preparata con cura, ma nulla è trapelato. I viaggi precedenti hanno collaudato uomini e macchine. Queste ultime, in particolare, sono trattate come creature da Luigi Risso, il direttore di macchina. Le ascolta, le mette a punto, a modo suo ci parla e loro, turbine, manometri, valvole e marchingegni vari, in qualche modo gli rispondono.
Sono 1.180 i passeggeri di quella crociera. In prima, in seconda o in terza classe, ognuno con il suo biglietto, ognuno con il suo viaggio. Non possono immaginare che stanno per entrare nella storia.
Il Nastro Azzurro si assegna per la velocità media tenuta nel tratto atlantico. Da est a ovest è la rotta più significativa perché è quella che deve competere con la corrente del Golfo.
Il Rex arriva a Gibilterra l’11 agosto. Poi accade tutto.
I 140.000 cavalli delle turbine s’impennano, il Rex balza avanti, l’oceano sembra scansarsi, a bordo il mal di mare si spreca.
Francesco Tarabotto è sul ponte di comando, Luigi Risso in sala macchine. Non si muoveranno più da lì per 4 giorni, 13 ore e 58 minuti.
Qualcuno o qualcosa prova a frapporsi. All’alba del 15 agosto cielo e oceano sono bianchi e indistinti, la visibilità non supera poche decine di metri. Il radar non esiste, in pratica si naviga al buio e ad occhi chiusi.
Cosa facciamo comandante?” chiedono gli ufficiali in plancia.
Tarabotto guarda il grande bianco che ha davanti. Cosa gli passi per la mente in quel momento non lo sa nessuno. Forse parla con gli antenati o con gli dei del mare o forse solo con sé stesso. Gli ufficiali  pendono dalle sue labbra. Si volta verso di loro. Ha deciso.
Avanti tutta!” ordina. L’acciaio freme e ancora una volta mani, cuori e macchine si gettano avanti.
Dalla sala radio il radiomessaggio, ripetuto più volte come un mantra, si rivolge a chiunque sia in ascolto.
Qui è il Rex. Direzione Ambrose. Procediamo a tutta forza. Liberate la rotta”.
Non ce n’è per nessuno.
Soprattutto, lanciato a 30 nodi, il Rex non lo ferma più nessuno, nebbia, onde o navi che siano.
Al faro di Ambrose il Rex arriva con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia.
Ha bruciato tutto e tutti. Con la media di 28,92 nodi il Nastro Azzurro è suo.
A New York è ancora una volta trionfo.
Già in piena notte la notizia accende il tabellone luminoso di Times Square, i giornali escono in edizione straordinaria, gli italiani hanno le lacrime agli occhi, a broccolino fanno festa.
Il Rex è tutti loro, il Rex è sogno, sacrificio e dignità, passerà di bocca in bocca, di padre in figlio fino ai nipoti, i ritagli di giornale saranno incorniciati e appesi nella stanza buona o dietro i banconi, conservati negli album delle fotografie.
Il Rex è la casa del paese, quella che non si dimentica mai.

Il rientro a Napoli

La notte del 26 agosto il Rex è nelle acque di Napoli. Alle 6.25 sembra toccare Procida. Due idrovolanti si alzano da Nisida e gli fanno festa in volo. Una squadriglia di sommergibili è schierata e lo saluta al fischio. Sei rimorchiatori con il gran pavese alzato lo avvicinano, ne raccolgono i cavi e lo guidano all’ormeggio. Tutte le navi in porto e in rada alzano al cielo le sirene.
Il Rex con il guidone azzurro sul pennone maestro è tornato a casa ed è festa grande.
Il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, a Napoli dal giorno prima, sale a bordo accolto da Tarabotto e dall’equipaggio schierato. Sul ponte del Lido, banda, inni, saluti, discorsi e alalà. Vanno così le cose.
All’istante Ciano conferisce onorificenze a Tarabotto, a Risso e agli altri ufficiali di bordo.
Poi c’è una croce di cavaliere.
Ciano fa segno a un vecchio marinaio di avvicinarsi. È il primo nostromo, si chiama Roberto Sbolgi. Mentre Ciano gli appunta la croce il petto è gonfio sì, ma di emozione trattenuta a fatica. Sbolgi, al Rex, darà la vita.
Alle 17.15 la nave dei sogni molla gli ormeggi e riprende il mare per Genova.

Roberto Sbolgi

Nel racconto del Rex, il primo nostromo merita qualche riga solo sua. Roberto Sbolgi è di Bogliasco, come tanti anche lui una famiglia di mare. È a bordo dall’inizio, non scenderà più.
Il 24 dicembre 1937 il Rex è nella baia di Monaco, davanti Villefranche. In quel punto la carta non segnala nulla di particolare, l’ancora cala, ma non trova fondo. 36 tonnellate di ferro precipitano, la catena si spezza mentre Sbolgi tenta di azionare il freno di emergenza. Non fa in tempo, le maglie lo travolgono. Il suo mare finisce qui e diventa mare per sempre.
A Bogliasco il molo a occidente porta il suo nome.
In mare non si lascia nessuno indietro. Il 6 aprile 1938 l’ancora sarà recuperata dai palombari di nave Artiglio.

Dopo il Nastro

La vita di mare del Rex scorre come era stata pensata. Lusso, bellezza, crociere lunghe in Atlantico verso gli Stati Uniti e il Sud America, crociere brevi nel Mediterraneo. Il Nastro Azzurro sarà suo fino al giugno 1935, quando se lo porterà a casa il transatlantico francese Normandie, ma il segno ormai è indelebile.
Il 18 maggio 1938, in pieno Atlantico, accade però qualcosa. Qualcosa che nessuno può immaginare possa essere il presagio di un destino. A circa 700 miglia da New York il Rex viene sorvolato da tre bombardieri B17 americani. Non è un saluto, non è un omaggio al re. È un’intercettazione, la prima in alto mare condotta dall’aviazione militare statunitense, la prova della sua capacità di proiezione in avanti. Un’esercitazione concordata, sul Rex sapevano, dai ponti salutano.
Nessuno può ancora sapere, ma i tempi stanno cambiando; a breve l’oceano e il cielo non saranno più gli stessi.
Qualcuno se n’è già accorto. Sono gli ebrei che lasciano l’Europa.
Nel 1939 il Rex porta a New York due Breda ETR 200, elettrotreni orgoglio della nostra industria meccanica, alta velocità prima del tempo. Sono destinati al padiglione Italia dell’Esposizione Universale. The world of future vuole mettere in mostra il meglio della tecnologia mondiale, incluse auto elettriche e robot. Ma è il 1939. Il mondo non ha più tempo, non ha più tempo.
A breve il futuro sarà solo un’ipotesi.

Gli ebrei salvati

Una storia di emozioni a fior di pelle, sogni, bellezza e futuro da prendere in mano quella del Rex. Futuro, appunto. Per qualcuno, per tanti, oltre 30.000 si stima, un futuro salvato.
I 30.000 sono gli ebrei che fino all’ultimo viaggio del 1940 il Rex ha portato a nuova vita: una storia nella storia.
I primi passeggeri ebrei si imbarcano sul Rex già nel 1933. Non sono crocieristi, sono persone che devono cambiare vita. Inizialmente vengono dalla Germania, poi verranno dall’Austria, dalla Polonia dalla Cecoslovacchia e saranno sempre di più. Famiglie intere, adulti, ragazzi, bambini.
Bambine come Edith, austriaca, papà deportato a Dachau, che nell’ottobre 1939 riesce a lasciare Vienna con la mamma. Destinazione Venezia, poi Genova, poi Rex, poi New York e poi vita.

(Edith Ostern Tennenbaum, una delle bambine del Rex, fotografata a Vienna il 7 marzo 1939. Photo Credit: United States Holocaust Memorial Museum)

Quella degli ebrei sul Rex è una storia particolare e inaspettata.
Una cucina kosher era allestita a bordo sin dall’inizio, ma nel 1936 vengono fatti dei lavori per ingrandirla e adeguarla alle nuove esigenze. Un locale dedicato, frigoriferi e stoviglie dedicate, cibo certificato. Il tutto, ovviamente, verificato da un rabbino e cucinato da un cuoco ebreo, membri a tutti gli effetti dell’equipaggio. Una questione che la compagnia gestisce in accordo con l’Union of Orthodox Jewish Congregations of America, un accordo che resisterà anche alle leggi razziali del 1938.
Un decreto successivo alla loro emanazione prevedeva, infatti, che a bordo delle navi queste non potessero essere applicate. In mare esiste un diritto naturale. In mare non può esistere discriminazione.
Fino all’ultimo viaggio del maggio 1940 il Rex porterà gli ebrei europei verso il futuro.
Memoria iconografica e documentaria di tutto questo è preziosamente conservata allo United States Holocaust Memorial Museum di Washington.

La vita interrotta

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra.
Il Rex non sarà più il re. Mari, cieli e oceani diventano altro. L’unico lusso sarà la vita.
Il Rex si ferma. Inizialmente attraccato a Genova, si decide poi di spostarlo in Adriatico ritenuto un mare più sicuro.
Il Rex parte per Trieste, ma non è più lui. È oscurato, il bianco diventa grigio, le luci si spengono, il passato di bellezza è solo nella memoria delle cose e di chi lo conserva nel cuore. Arriva il 15 agosto 1940, ormeggia al molo Sesto, rimane lì per quattro anni e diventa icona del paesaggio, eco di una grandezza triste e avvilita. Come le persone che lo guardano.
La guerra continua non è solo la frase di Badoglio passata alla storia l’8 settembre 1943. È quello che accade sulla pelle di tutti. Il fronte avanza ovunque. Da sud, da nord, da est.
A Trieste il comando tedesco decide di muovere il Rex per metterlo al sicuro in una baia poco distante. I rimorchiatori lo agganciano e lo trainano verso Isola. Errore di manovra, incapacità, fato. Il fondale lo ferma, il Rex si incaglia, i rimorchiatori non possono nulla, sganciano e vanno via. A bordo nessuno.
L’8 settembre 1944 il re è solo e nudo.

Rex brucia

Rex brucia

Impassibile, il Rex attende. L’acciaio è cuore e destino.
Da terra lo segnalano, dal cielo lo avvistano i ricognitori.
Due squadriglie di Beaufighter della Royal Air Force decollano da Brindisi.
Il Rex attende, già lo sa.
123 razzi, oltre 3.000 proiettili e, per finire, 2 siluri. Un tiro a segno senza motivo. Senza dignità.
Il Rex si piega su un fianco, brucia per quattro giorni, ma muore in piedi.
L’azione sarà premiata da Churcill con quattro medaglie. Patacche da fonderia. Ancora una volta devo dare ragione a Ernst Junger quando scrive che profondo è l’odio che l’animo volgare nutre nei confronti della bellezza.
Quando l’acciaio si raffredderà, inizierà la spoliazione di quello che rimane. I barchini arrivano da terra. Uomini che si tuffano, esplorano, rovistano e portano via quello che riescono.
A fine guerra, la spoliazione di Stato durerà dal 1947 al 1958. Tutto il recuperabile viene recuperato, smontato, fuso, venduto. Delle quattro eliche tre diventano lingotti certificati come bronzo del Rex.
Tre, non quattro. Una è ancora lì. L’elica esterna sinistra è da qualche parte, custodita, nascosta in un fondale di poche decine di metri. Non è stata trovata, non è stata cercata oppure, forse, se c’è un dio del mare, ha deciso di consegnarla solo a chi merita.
A novanta anni dal Nastro Azzurro, riportare l’elica del Rex a casa sarebbe un dovere morale che la comunità italiana del mare dovrebbe esigere e noi, su questo, intendiamo fare la nostra parte.

Rex eliche

Il Rex immaginario di Fellini

Il Rex non è solo entrato nella storia, è andato molto più in profondità: è entrato nell’immaginario.
Federico Fellini di immaginario si è nutrito, i suoi film onirici lo hanno interpretato e anche creato: il Rex non poteva sfuggirgli. Di Amarcord inutile dire oltre e anche del Rex in Amarcord inutile sottolineare quanto già commentato.
C’è però qualcosa in più.
La scena è nota.
Fellini immagina in Adriatico un Rex che non c’è mai stato, lo immagina sfavillante, pieno di luci e di vita, mentre quando lo ha attraversato verso Trieste era già ingrigito e del Rex che era non c’era rimasto già nulla. La finzione scenica, però, consente tutto. L’attesa del suo passaggio, la flottiglia di barche e barconi che portano i nostri dalla spiaggia di Rimini verso il mare alto per incrociarne il passaggio è reale nella misura in cui ci restituisce l’atmosfera che intorno al Rex aleggiava.
Lo attendono, arriva notte, si appisolano, la sirena irrompe nel silenzio ma è non una sveglia che li riporta alla realtà. La sirena li porta direttamente nel sogno. È un bambino che per primo grida “Eccolo!!”. Il mare si anima, il nome invocato a piena voce, le braccia mulinano. Miranda, lei che sognava l’amore ancora non trovato, quello che deve durare una vita e che poi sposerà un carabiniere in alta uniforme, piange e lancia baci. Lancia baci all’acciaio, capite!
E poi c’è lui e questo è il momento più lirico in assoluto, commozione pura.
Lui è il cieco del borgo, una vita con la fisarmonica al collo a sognare lui e a far sognare gli altri.
Schiena contro un albero del barcone, fisarmonica come sempre al collo, non vede ma sente tutto.
Allora si alza gli occhiali scuri sulla fronte e a gran voce, guardando dove non vede, chiede “com’è? com’è?”.
Guardatela la scena e provate a non commuovervi.

L’ultima domanda

Questo è il titolo di uno dei racconti più belli e importanti di Isaac Asimov.
Lo prendo in prestito perché, proprio come il cieco della fisarmonica, del Rex non parlo al passato e faccio anche io la domanda. Non alzo come lui gli occhiali, ma provo ad alzare il velo degli anni che mi impediscono di vederlo e anche io chiedo “com’è? com’è?”.

 

…………..

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di sport e di storie

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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