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Mario Capio. Il metalmeccanico velista mondiale

Una straordinaria storia di passione, disciplina e vocazione quella di Michele Capio, metalmeccanico dell'Ansaldo, campione del mondo nel 1955 in Classe Snipe e nel 1959 in Classe FD, quattro Olimpiadi e un'infinita serie di regate nazionali e internazionali. Una storia che emerge dall'intervista fattagli nel 1987 da Michele Modenesi e che noi abbiamo recuperato dal Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale.
Mario Capio

In questa intervista Mario Capio, uno dei più grandi campioni della vela italiana, racconta le sue storie e le sue vittorie. Genovese, negli anni ’50 e ‘60 secondo solo a Straulino, L’ho incontrato nella sua città. È tuttora uno dei pochi italiani – e si contano sulle dita di una mano – ad aver vinto un campionato mondiale di una classe olimpica.
Quella che doveva essere un’intervista si è trasformata in una interessante “chiacchierata”, durante la quale Capio mi ha sommerso di aneddoti divertenti, mi ha mostrato schizzi e note sui venti e le correnti dei campi di regata di tutto il mondo.
Un “pieno” di vela interessantissimo. Tutto ciò mi ha consentito di comprendere, credo, il perché Mario Capio sia stato così forte, abilissimo nell’adattarsi con successo a moltissimi tipi di imbarcazioni. E il motivo è consistito nell’eccezionale meticolosità nell’analisi di ogni elemento che può portare alla vittoria, dal perfezionismo tecnico della propria imbarcazione allo studio accuratissimo del campo di regata. Soprattutto, però, in una conoscenza profonda del mare, nella capacità di interpretare i suoi segni, che va al di là di un ottimo tatticismo. Una conoscenza ricavata dal con­tatto strettissimo con il mare.

È iniziato così

Ho cominciato prestissimo ad andare in barca, a 5 anni, quando mio fratello, più grande di me, mi fece nascere la passione per la vela. Così, a Priaruggia, cominciai ad incontrarmi con dei miei coetanei, che portavano il nome di Porta, Reggio ed altri, che in seguito rimasero miei avversari. Usavamo delle piccole barche, i Giormex. La mia faceva acqua da tutte le parti e passavo le giornate a ripararla. Ricordo che ero riuscito a sottrarre a mia madre delle lenzuola per fare le vele, mentre la deriva era in realtà un pezzo di la­miera che mi aveva regalato un ferroviere. Rispetto ad un Optimist di adesso la mia barca era insomma un po’ “ridicola“.

Mario Capio
(Il Flyng Dutchman I-44 di Mario Capio in regata)

La sua più grande affermazione rimane il titolo mondiale conquistato nel ’59 negli F.D., insieme a Tullio Pizzorno

Sì. Quell’anno i campionati del mondo si disputavano in Inghilterra, a Whisteable. Per tutta l’estate avevo cercato di apportare migliorie al mio scafo, compiendo anche delle modifiche strutturali. Arrivai così ad avere per quell’appuntamento una barca molto veloce. Il campo di regata era estremamente difficile, le correnti erano molto forti e mutavano sensibilmente di forza e direzione in diversi punti. Sono sempre stato un fanatico delle correnti e, in quell’occasione fui uno dei pochi ad accorgermi dell’esatto andamento di esse e vincemmo facilmente. Ho sempre riscontrato che gli equipaggi italiani si trovano in grave difficoltà a regatare in campi caratterizzati da forti correnti, soprattutto quando queste sono dovute a fenomeni di escursione di marea. Certamente in Italia non si è abituati a regatare in queste condizioni, ma a mio avviso, il motivo di tutto ciò è anche dovuto al fatto che proprio perché da noi spesso le correnti non hanno una grandissima influenza, i regatanti fin da piccoli non vengono abituati a prestare attenzione ad esse e gli stessi istruttori evitano volentieri l’argomento.”

Nel corso della sua eccezionale carriera Lei ha vinto moltissimo in tante classi. Nella classe F.D. è stato ancora due volte secondo ai mondiali, l’ultima volta ad Alassio nel ’65 e dieci volte campione italiano. Nella classe Snipe è stato campione del mondo nel ’55 e vincitore di 5 titoli italiani. Coi 505 ha vinto i Giochi del Mediterraneo nel ’55, mentre altre cinque volte è stato il migliore ai campionati italiani nella 5,50 Nazionale. Ciò che non è mai riuscito a conquistare è stata una medaglia Olimpica, quando i pronostici la vedevano sempre tra i favoriti se non favoritissimo

È vero. Ho partecipato 4 volte alle Olimpiadi. La prima come riserva nel ’52. Allora correvo sul Finn. Fu per me un’esperienza importantissima osservare da fuori le regate olimpiche. Quattro anni dopo venni inviato in Australia, insieme a Massino, per partecipare nella classe Sharpies. Questa deriva per due persone di equipaggio era pochissimo diffusa in Europa. In Olanda, il paese in cui si contavano più esemplari, la FIV acquistò due imbarcazioni. Arrivati in Australia ci accorgemmo però che gli scafi europei erano più lenti di quelli australiani e degli extraeuropei in genere. Per tutte le prime prove fummo sempre in lotta per il secondo o terzo posto, ma una delle ultime prove si svolse con un vento tremendo, una specie di “uragano”. Riuscimmo, non so in che modo, a stare in piedi e giungemmo terzi. Ma nel ritornare al porto scuffiammo e perdemmo il fiocco da vento medio che avevamo legato in barca e questo fatto influenzò decisamente l’andamento delle nostre prove finali. Per poco perdemmo il bronzo.
A Napoli, nel ’60, ero favoritissimo, dal momento che ero il campione del mondo in carica. Le cose cominciarono male, con un ritiro nella prima prova. Diventai molto nervoso ma dopo un quarto e un terzo posto, vincendo la quarta prova mi ero già insediato al comando della classifica provvisoria. Alla fine di quella prova venni però squalificato. Cosa era successo? Alla penultima bolina Tullio Pizzorno ed io conducevamo davanti al tedesco Mulka e all’olandese Verhagen. Noi marcammo stretto Mulka che si teneva sulla destra del percorso, verso terra. Quando andammo all’incrocio con l’olandese, noi passammo bene davanti e virammo primi la boa, mentre Mulka, sottovento entrò in collisione con Verhagen. Alla fine della regata vidi sventolare le bandiere di protesta ed immaginai che si protestassero a vicenda a motivo della collisione. Ma navigando verso terra cominciai ad intuire cosa stava per accadere quando i prodieri dei due equipaggi avversari si scambiarono posto sulle imbarcazioni. A terra l’equipaggio olandese avvalendosi della testimonianza tedesca, ci protestò, sostenendo che lascando il Genoa avevamo toccato la boa di bo­lina. Al termine della discussione della protesta sei giurati su undici votarono per la nostra squalifica. Dopo le Olimpiadi Mulka venne a chiedermi scusa, il timoniere olandese abbandonò il suo prodiere, ma intanto a Napoli con un ritirato e uno squalificato la nostra Olimpiade era finita. Per Tokio, nel ’64, le statistiche di quegli anni indicavano che il periodo in cui si sarebbero svolte le regate sarebbe stato caratterizzato da venti leggeri. Mi feci costruire da Baglietto uno scafo estremo per le condizioni previste. Allora correvo con Sartori. La prima prova la vincemmo con un distacco enorme. Ma dal secondo giorno si abbattè sulla zona una perturbazione e le condizioni divennero durissime. Alla fine terminammo solo decimi. Due anni più tardi abbandonai l’attività divenendo allenatore federale delle squadre olimpiche, incarico che ho ricoperto per dieci anni.”
    

Oltre che sul Flying Dutchmann ha regatato molto anche sugli Snipe. Nei ’55 ha vinto i campionati del mondo. In quegli anni lo Snipe era la classe più diffusa, anche se l’IYRU non la scelse mai come classe olimpica

È vero. Con lo Snipe ho cominciato proprio in quell’anno. Il mio amico Podestà era rimasto senza il suo timoniere e mi chiese se avrei fatto con lui la Coppa Alberti, a Santa Margherita Ligure, che allora era la regata più importante in Italia. La vincemmo con tre primi posti su tre prove. Dopo i giochi del mediterraneo che vincemmo a Barcellona col 505 ci recammo a Santander in Spagna. In quel periodo i più forti erano gli americani e tra i partecipanti c’era anche un danese che all’epoca aveva già vinto due meda­glie d’oro sul singolo alle Olimpiadi, Paul Elvström. Battemmo tutti e fummo Campioni del Mondo.”

Lei ha regatato con moltissimi prodieri. La sua carriera è stata così lunga e il suo impegno così assiduo da impedirle di regatare sempre con lo stesso compagno?

Questo certo. Ho regatato con Massino, Pizzorno, Verrina, Sartori, Podestà, Barnao, Ottonello, ed altri ancora. Ho corso con amici diversi anche a seconda delle barche su cui andavo, per le caratteristiche che avevano. Non ho mai lasciato nulla al caso.

Mario Capio
(Nervi. La targa a memoria di Mario Capio)

Lei è stato campione di un’epoca diversa da quella attuale. Elvström stupiva per il fatto di dedicarsi esclusivamente alla vela, ora sono in molti quelli che vanno solo in barca. Che cosa pensa di questo?

Mi sono sempre allenato molto, a volte tornando col buio a terra, dopo essere uscito al termine del lavoro. Certo, con la vela non ho mai ricavato niente, la FIV allora era una piccola Fe­derazione. Aiuti per acquistare le barche non ne ho mai avuti, venivo spesato solo durante le trasferte all’estero, durante le quali non eravamo se­guiti neppure da un allenatore. L’Ansaldo, presso la quale lavoravo, mi dava dei premi extra ferie in occasione delle Olimpiadi. Ora è diverso, gli atleti sono aiutati; alcuni lavorando nel settore si impegnano professionisticamente. Sono convinto comunque che la vela non è ancora entrata in una dimensione tale per cui anche una persona che lavora, a costo ovviamente di sacrifici, non possa imporsi.”

Mario Capio continua a raccontare di regate, fatti, personaggi

Qualcuno potrebbe scrivere un libro, non un articolo. Ad un certo punto guarda l’orologio. Velocemente termina il discorso che stava facendo. Deve correre a prendere a scuola il nipotino. Naturalmente domenica lo accompagnerà ad un circolo velico per uscire in Optimist.
Mario Capio, meccanico all’Ansaldo, per passione fu timoniere di vela, vincendo regate nazionali ed internazionali; a cominciare dal 1952, ad Helsinki, partecipò a 4 olimpiadi. Dal 1966 al 1976 fu istruttore nazionale. A Nervi, dove è nato gli è stata intestata una targa nella passeggiata Anita Garibaldi.

 

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L’intervista è tratta dal Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche del gennaio 2017

Michele Modonesi

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