Nuvole che rasentano il suolo. Bombe d’acqua a ripetizione. Raffiche di libeccio. Al massimo 40 metri di visibilità orizzontale.
La torre chiede verifica. “Siamo a 2000 metri”. È l’altimetro che lo dice, ma non è vero, è bloccato. Sono sì e no 600 metri, la collina quindi non è a destra, sbuca di fronte all’improvviso, a 180 km/h non c’è modo di rimediare, di fare nulla. I-ILCE rispondi diamine. Lo schianto muto.
Si cammina tra i rottami sul terrapieno posteriore della basilica, l’impatto ha risparmiato l’edificio per una manciata di metri. Dei palloni di cuoio, delle maglie, delle scarpe da gioco. Un libretto universitario consente un riconoscimento: Valerio Bacigalupo, figlio di Enrico, nato a Vado Ligure, Università degli Studi di Genova, facoltà di Economia e Commercio.
Valerio Bacigalupo, il portiere del Torino, l’incipit di una poesia che una generazione di italiani non potrà mai dimenticare.
Valerio, dieci tra fratelli e sorelle, a tredici anni è già nel Vado, la squadra della sua città che si fregia della prima Coppa Italia del 1922. Giocano tutti i Bacigalupo, ma i più bravi sono i due portieri, Manlio di ben diciassette anni più grande e Valerio che toppa il primo provino, poi il secondo, ma si guadagna infine la fiducia ed il posto tra i pali della Cairese, compagine di terza serie. Da Cairo Montenotte al capoluogo di provincia, Savona, prima e di Regione poi, il Genoa, anzi il Genova 1893, denominazione corretta del club che partecipa al campionato Alta Italia 1944.
La maggiore visibilità consente di arrivare nel mirino di club ancora più blasonati, c’è Ferruccio Novo in tribuna per la sfida tra la rappresentativa ligure e quella piemontese. La porta di Valerio resta inviolata, quella che porta a Torino, sponda granata, si apre sollecitata da 160.000 lire che vanno nelle casse rosso e blu. L’erede di Bodoira ha ventuno anni, non è alto, ma ha tutto per conquistare: estroverso e simpatico fuori dal campo, spettacolare tra i pali, bravissimo nell’uscita bassa, grande reattività, caratteristica ideale per il sistema granata che chiede reattività, posizionamento più avanzato e, se serve, spazzarla con i piedi senza fronzoli. E poi sa come si ipnotizza il rigorista, azzecca l’angolo, ma non nel giorno del suo esordio granata, derby perso 2-1 e Silvio Piola ora bianconero, già quasi 400 reti tra Vercelli, Lazio e Torino, che non si fa certo condizionare dalla fama di para rigore del ragazzotto di belle speranze.
Siamo nel 1945. Il Toro vince il campionato, e quello dopo, e quello dopo ancora, e poi ancora uno per il poker servito. Valerio Bagicalupo è cardine inamovibile di una squadra che scrive la storia e troverà il più atroce dei modi per consegnarsi alla leggenda.
Valerio si ferma a sole 137 presenze in campionato ed a sole 5 presenze in Nazionale perché è scritto così.
Lucidio
Lucidio Sentimenti difende la porta dell’altra metà di Torino, tifosi e stampa costruiscono una rivalità che nasce e muore nei bar del centro, ma in verità i due ragazzi sono amici sinceri. Anzi qualcosa in più, Lucidio è un vero mentore. E poi lui i rigori li batte, non li para. Sono cinque fratelli, lui è il quarto, il quinto si chiama Primo, ad Arnaldo che è il secondo fa goal in un Modena vs Napoli del ‘42. Anche lui, Lucidio detto Cochi, non è un colosso. Essenziale, meno attento a compiacere il pubblico, agile e scattante, Lucidio è rinomato per le uscite kamikaze di piede.
Blocco granata
L’immaginario si esalta l’11 maggio 1947 quando l’Italia affronta l’Ungheria proprio a Torino. Vittorio Pozzo sceglie due juventini, lui, Sentimenti IV, e Carlo Parola, per affiancare ben nove granata e rispondere così ai magiari. Anche loro si presentano con un blocco altrettanto sperimentato, tutto Újpest con due sole eccezioni tra cui spicca il talento di un ventenne scuola Honved dal sinistro davvero fuori dal comune, si chiama Ferenc Puskas. Da lì a poco, per tutti, “il maggiore a cavallo” dell’Aranycsapat, la squadra d’oro.
La polemica per il gusto della polemica accusa il commissario tecnico di trascurare quant’altro c’è di buono nel calcio italiano, di non saper vedere fuori dal Piemonte, di chiedere gli straordinari ai torinisti, mentre gli altri riposano. Qualcuno ricorda che, 14 anni prima, a Budapest schierò ben 9 juventini su 11 e la cosa rafforza la posizione dei detrattori.
Musica per le orecchie del CT che, italianamente, dal malcontento, dalle difficoltà trova fuori il meglio dal gruppo. Chiede alla Federazione di noleggiare un aereo militare per raggiungere Glasgow dove, il giorno prima della sfida con gli ungheresi, una rappresentativa europea – Carletto Parola, unico azzurro – incontra i britannici. Il programma è semplice: anzitutto partecipare alla riunione FIFA, poi vedere la partita e infine tornare in aereo con il centromediano per schierarlo così dal primo minuto.
Salta tutto. La Francia nega il permesso di sorvolare il proprio spazio aereo, una ripicca dopo che gli italiani non avevano concesso il rifornimento d’emergenza ad un loro velivolo sul cielo della Basilicata. Pozzo resta a Torino e Parola in Scozia (dove gioca, prende sei pere, ma anche il riconoscimento di migliore dei suoi). Subentra Mario Rigamonti ed i granata diventano così 10/11, blocco record, solo Bagica resta fuori. Vinciamo, Sentimenti IV prende goal da Szusza e poi proprio da Puskas dal dischetto, per noi due volte Gabetto e Loik al minuto 89. Sì, Ezio Loik la decide in piena zona Cesarini, espressione vecchia sedici anni quando il goal arriva allo stesso minuto contro lo stesso avversario nello stesso stadio per opera del giocatore con la stessa maglia, la numero otto.
D’azzurro
Valerio Bacigalupo gioca finalmente in Nazionale a Bari nel dicembre ‘47, 3-1 ai cecoslovacchi. Ora è lui a chiudere la porta a doppia mandata, protagonista delle vittorie in Francia (1-3), con il Portogallo a Genova (4-1) e soprattutto in Spagna (1-3), straordinaria prestazione di squadra con la chicca del rigore parato a Piru Gainza nel finale. In mezzo la sbandata con gli inglesi, maggio del ‘48, naufragio tattico senza appello, ma tante spiegazioni.
Due mesi dopo l’azzurro torna granata, ma sempre per difendere il nostro calcio. Luglio ‘48, tournée dove calcio e samba si confondono come la radici di tanti italiani dentro e paulisti fuori. Sfide, amichevoli ma non troppo, con Palestra Italia, da sei anni Palmeiras, e San Paolo, numero uno della stagione in corso. L’ultimo confronto è il più acceso. Tra le due reti di Gabetto e Castigliano (di testa, su cross millimetrico di Valentino) c’è Baci che sbaglia il tempo d’uscita per il momentaneo 1-1 di Pone Leon. E pensare che la stampa brasileira, fino a quel momento, aveva parlato del “miglior portiere mai visto”. Nel secondo tempo i padroni di casa cambiano registro alla ricerca del pari con le buone e le meno buone. Leonidas, eroe locale, a palla ed arbitro lontani piazza un montante sul volto del povero Ballarin. Baci vede tutto e, scarica tutto il nervoso per l’errore di poco prima, sul bomber del mondiale ‘38. Leonidas a terra, invasione di campo, partita sospesa per 20’, entrambi espulsi. Finisce comunque 2-2 con Bani, subentrato tra i pali, che para il rigore ma si arrende alla ribattuta di Lelè da sotto misura.
Immagine, immagini
I fotogrammi della pellicola più bella del nostro calcio si spezzano d’improvviso in un giorno di pioggia preceduto dall’ultima partita, il 3 maggio 1949. Come sempre con Valerio Bacigalupo tra i pali, Valentino capitano, il Benfica l’avversario, 40 mila sulle tribune, fischietto inglese. Segnano Ossola, Bongiorno e Menti II, ma non basta. Vince il fado, stanchezza dell’anima forte, una musica triste ed allegra per ricordare che l’anima della squadra più forte del mondo risiede tra la pace degli ulivi di Jamor qualunque cosa accada, qualunque cosa possano pensare gli dei, legittimi e lontani. E l’impossibile accade.
Dal taschino del libretto universitario si intravede una foto, del Baciga e di Lucidio, con una dedica affettuosa dallo juventino al rivale fratello. Tra le macerie, tra i passi lenti di chi cerca con la paura di trovare, tra il silenzio di una tromba che non squillerà mai più. L’orologio è fermo, non ci sarà nessun quarto d’ora, nessun’altra partita. Diciotto ragazzi, Rubens Fadini (21) il più giovane, Guglielmo Gabetto (33) il più grande. Sei tra tecnici e dirigenti. Quattro uomini d’equipaggio e tre giornalisti.
Di questa meravigliosa squadra di numeri uno, Valerio Bacigalupo era il numero uno. Li chiamano gli immortali, semplicemente perché lo sono. Eroi a cui, al ritorno della battaglia, nessuno ha chiesto e mai chiederà l’esito.
Mé vej e grand Turin. A son passaine d’ani. Ma mi ‘t veuj sempe bin.
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