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Enrico Brusoni. L’oro sparito di Parigi

Parigi 1900, Velodromo di Vincennes. Enrico Brusoni è una delle nostre prime medaglie olimpiche, la prima d'oro nel ciclismo. Enrico vince e lo sa, ma misteriosamente l’albo d’oro non lo dice e nessuno sa perché. Eppure ci sono i risultati, i testimoni, ma servono cento anni e un ricercatore affamato di verità per restituire a Enrico Brusoni il suo. Perché l’importante è partecipare, ma chi vince – se vince pulito – non va mai offeso. Né dimenticato.
Enrico Brusoni

Bill Mallon è un buon golfista. Quattro stagioni nel circuito PGA dei professionisti al massimo livello, due delle quali con introiti da top 100. Bill è anche un ottimo ortopedico, studia a Duke, vero guru della medicina sportiva preventiva. Bill Mallon è soprattutto un’indiscussa autorità della storia dei Giochi Olimpici. Nessuno ne sa di più, 24 libri dicono qualcosa, ma non tutto di un settantunenne del New Jersey con una passione per la storia, i numeri, il gioco senza limiti. 
Il suo capolavoro è la ricostruzione dei risultati dei Giochi moderni di Parigi 1900 e St. Louis 1904, famigerate e pionieristiche edizioni – la due e la tre – dove entusiasmo e confusione si mescolano tra tutte le componenti coinvolte: atleti, giudici, stampa. 
Gli dobbiamo tutti qualcosa. Glielo dobbiamo soprattutto per Enrico Brusoni.

Parigi 1900

Diciamolo, Parigi fu un gran casino. Il governo francese detronizza De Coubertin, crede poco allo sport in generale, fa fatica a cacciare fuori due franchi di numero, si limita ad inserire le gare all’interno dell’Esposizione Universale tutta presa a celebrare l’arte, i fratelli Lumière su tutti. 
Mallon non ha dubbi. Sono 95 e non 87, come sostenuto per un secolo, le gare di spessore olimpico. Gli atleti partecipanti sono 1226 e non 996. Gli italiani sono 22.
Il rapporto del CIO, prendiamo ad esempio il ciclismo, è, insomma, imbarazzantemente inesatto. Dice che una sola prova aveva validità olimpica, la velocità sui 2.000 metri. Non è così, sul velodromo di 500 metri di Vincennes si svolsero altre due gare: la 25 km dietro motori (senza italiani) e la Course des Primes, la corsa delle volate. Ed è quest’ultima che Bill e il desiderio di giustizia ci chiedono di ricordare.

La corsa delle volate

Dieci giri, sprint e punti assegnati ad ogni giro, punti doppi per l’ultima volatona. Il 15 settembre, 28 corridori si presentano al via in rappresentanza di Francia, Germania ed Italia. Il buon Luigi Colombo è ultimo, Giacomo Stratta nono, il francese Louis Trousellier terzo, il tedesco Karl Duill secondo.
Enrico Brusoni, con cinque volate vinte compresa quella finale, è il meritato vincitore. 

Enrico Brusoni

Il primo ciclista d’oro

Non c’è dubbio, la prova di corsa a punti – come oggi si potrebbe chiamare – rispetta i parametri fissati per il riconoscimento olimpico. La gara deve ammettere partecipazione internazionale senza limiti (per intenderci, non va bene il nuoto ad uso e consumo dei soli marinai del Pireo nel 1896), si deve svolgere nel rispetto delle norme di una federazione internazionale, non deve schierare professionisti al via e non deve prevedere premi in denaro.  E così 50 anni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 26 novembre 1949 nella sua Bergamo (aretino di nascita), Enrico Brusoni – che chissà perché, con ennesima défaillance, il CIO registra come Ernesto Maria– vede riconosciuta dal CONI la sua vittoria. La prima di un ciclista italiano ai Giochi Olimpici.

Il mistero dell’oblio

Enrico Brusoni a Parigi ha 22 anni e una buona reputazione. Ha già vinto una Coppa del Re e con 54 km e passa detiene il record italiano dell’ora dietro motore. Nella prova di velocità non va oltre il 15esimo posto, ma nella corsa delle dieci volate sbaraglia la concorrenza, con il più quotato dei francesi – prossimo vincitore di Tour e Roubaix – solo terzo. A pensar male…no, non può essere per questo che cala l’oblio sulla vittoria di Enrico nostro.
Brusoni lo riconosci. Corre sempre in maglia e calzoncino nero, due anni dopo passa professionista dove spiccano due Gran Fondo La Seicento (di 540 e 600 km.) nel suo palmares. Chiude nel 1906, il CONI nasce nel 1914, sbarca il lunario con la pubblicità, finalmente la Gazzetta lo celebra con un articolo nel 1941, poi l’ultima corsa. 

Le medaglie di Parigi

L’Italia di Parigi è una delegazione di 22 atleti (e non 11 come si ostina a raccontare Losanna), tutti uomini, quattro vanno a medaglia. Giovanni Giorgio Trissino oro ed argento nell’ equitazione, Antonio Conte oro nella sciabola e, come detto, l’immenso Enrico Brusoni. Lui, solo lui, però senza la gioia di sapere che la sua vittoria è una delle 217 medaglie d’oro della nostra nazione sportiva. Riconoscimento postumo ed ancora tentennante, nonostante Bill, nonostante l’evidenza, nonostante tutto. 

Due ruote d’oro

Il medagliere all time dice Francia +8 e la forbice si aprirà ancora tra pochi mesi, forza del fattore campo e di tante frecce nell’arco tricolore, quello con il blu. Che poi non conta vincere, conta battersi e battersi per la verità. Enrico Brusoni ha vinto la medaglia d’oro olimpica quel sabato, lui lo sa, ma non gliel’hanno mai detto, ufficialmente non l’ha mai saputo, e lui, per primo, non ne ha fatto una malattia. Sulle due ruote, dopo di lui il tricolore, sabaudo e repubblicano, è salito sul pennone più alto altre 34 volte. L’ultima a Tokyo 2020, che poi è 2021, con il quartetto alieno dell’inseguimento.
A noi piace pensare che sull’uscita da quell’ultima curva, svanito lo smarrimento davanti al telaio ed al manubrio in titanio, c’era anche Enrico Brusoni a spingere Superpippo verso la leggenda. 
Giustizia è fatta. Thanks, Bill

 

 

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Venti di calcio

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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