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L’atletica allena il coraggio

Quando non puoi fare qualcosa, puoi immaginare di poterla fare. Nel dicembre del 1991 la vita di Cinzia Leone cambia; quello che lei aveva immaginato prima, adesso non va più bene. Sembra tutto perso, ma non è così. Cinzia trova il coraggio di immaginarsi ancora, allena cervello e fisico e li costringe a inseguire la sua immaginazione fino a quando i due non si ricongiungono. Si chiama riabilitazione, ma è molto meglio chiamarla atletica del coraggio.
0) COVER CINZIA LEONE

Che l’atletica alleni il coraggio l’ho provato sulla mia pelle, perché nel dicembre del 1991, avevo trentadue anni, sono sopravvissuta a due emorragie cerebrali dovute alla rottura di un aneurisma congenito dell’arteria Basilare, che mi hanno lasciata paralizzata in tutta la parte sinistra.
Mi dissero che volendolo avrei potuto recuperare.
Che cosa? In realtà non lo sapeva nessuno tranne il Dottor Spetzler che mi aveva operato compiendo un miracolo e salvandomi. Fu lui infatti a dirmelo e io gli credetti.
Aveva ragione, anche se nemmeno lui sapeva veramente come.

La fisioterapia iniziale che è stata preziosissima ha fatto tanto, tantissimo, mi ha dimostrato che se stimoli una zona muscolare neurologicamente offesa, se non ha avuto danni definitivi, può lentamente tornare a vivere. Con una certa ossessività che non ha nulla a che vedere con la costanza, ma moltissimo con la disperazione, puoi dedicarti insistentemente alla tua utopia e non dare tregua a quell’impantanamento della rassegnazione a cui spesso le malattie cerebrali ti costringono perché il trauma psicologico è insopportabile.
Ma qui subentra la necessità di cominciare ad ispirarti non più ai movimenti oculati e limitati della fisioterapia, ma al bisogno visionario di immaginare te stesso libero di muoverti nello spazio, senza procurarti danni peggiori di quelli che hai già. E già questo è un pensiero atletico, perché l’atletica è la massima libertà del movimento nell’assoluto esercizio del controllo.
Bisogna essere veramente pazzi e visionari per pensare, partendo da una condizione di staticità, di poterci riuscire. Ma se hai trenta anni di tempo e un’ossessività latente, massacrandoti col lavoro fisico e una fede infinita nell’impegno, ci puoi riuscire.

La mano e il braccio ti sembrano morti? non rispondono più a nessuna esigenza, a nessun input? E tu ti fai tirare da un ragazzo intelligente e coraggioso, un personal trainer pronto a sperimentare, una palla da tennis che per tre mesi cade per terra ad ogni tiro mentre tu piangi ma non demordi, e siccome il cervello è molto più sveglio di quanto pensiamo, quindi incamera informazioni mentre tu neanche te ne accorgi, un giorno in cui non te lo aspetti più, fa scattare il tuo braccio e la tua mano e te la fa prendere… così… al volo…con leggerezza.
E in quel momento piangi molto di più di quanto hai pianto prima.
Il ragazzo suddetto, se sei fortunata ad incontrarlo, capisce anche che tu, non avendo più uno scheletro muscolare in grado di sostenerti in nessun movimento, lo devi interamente ricreare e lì comincia a sfondarti di esercizi fisici che vanno da addominali a terra, necessari a restituirti un “centro” strutturale per l’equilibrio, ai glutei, alle gambe, alle braccia, alle spalle ai dorsali…a tutto quello che occorre per ripristinare il movimento del corpo.
Con un avversario non da poco però: la spasticità, che subentrava ogni volta che costringevo il mio fisico a eseguire azioni che il mio cervello, a causa dell’offesa subita, non era più spontaneamente preposto per fare. E qui le potenzialità dell’atletica si sposano col miracolo delle potenzialità del nostro cervello.

Se l’impianto elettrico (del cervello) non è stato definitivamente spento dall’emorragia, la stimolazione continua verso la capacità di reazione muscolare, cerca nuove strade e le percorre. Tutte. Ma ti devi fidare.
Anni di affondi con la gamba sinistra, sempre due volte di più che con la destra, ma con il piede sinistro completamente contratto.
Gli affondi soffrono la ricerca dell’equilibrio già in sé, in condizioni normali. Col piede contratto sono difficilissimi ma hanno meravigliosamente allenato il mio equilibrio. E il bisogno di appellarmi agli addominali mentre gestivo lo sforzo di alzarmi premendo il ginocchio a terra e contraendo il gluteo sinistro che non c’era più, hanno contribuito a fare in modo che tanto il gluteo quanto l’equilibrio siano tornati ad esserci.

Un giorno, dopo diversi anni che già lavoravamo insieme, Thomas (è il nome del ragazzo coraggioso) mi guarda e mi dice: salta riferendosi al divano nella stanza in cui lavoravamo.
Io lo guardo pensando che sia pazzo e terrorizzata all’idea di farlo.
Lui mi dice: salta! Salta! Se te lo dico è perché so che lo puoi fare
Lo sai tu penso io, che non avevo la più pallida idea di come sarebbe potuta succedere una cosa simile…salta sul divano da terra ripete.
Mi sono fidata di lui.
Ho saltato librandomi in aria e ho sentito i miei piedi affondare sul cuscino del divano.
Non ho mai più provato un’emozione simile, tranne quando dopo tanti anni riuscii ad alzare completamente il braccio sinistro verso l’alto e dovettero tenermi lontana da tutti i citofoni.
Volevo informare il mondo di esserci riuscita.
Spero non ci sia retorica in quello che sto raccontando. Infatti non ne ho mai parlato così dettagliatamente in pubblico. Ma l’emozione era quella di aver vinto le olimpiadi.

Ci vuole onnipotenza per andare oltre qualunque limite fisico e mentale, indipendentemente dalle conseguenze di una malattia.
L’onnipotenza è il vero nutrimento dell’atletica, è quell’energia che spinge ad insistere, ad allenarti fino a quando non raggiungi l’obiettivo, per poi superarlo e crearne uno nuovo.
È l’impegno fisico necessario a superare i limiti della fisica, della forza di gravità. Ma la motivazione è psicologica. E può insegnarti a capitalizzare l’ossessività. Quindi ognuno di noi può fare cose straordinarie se ha la determinazione di cercare emotivamente il proprio punto di forza. Quello da cui partire, per dare inizio ad un viaggio di conoscenza di noi stessi che è caleidoscopico, insospettabile, quasi un’avventura divina, perché si nutre della responsabilità che governa il rapporto fra noi stessi e le nostre aspettative.
Ed è un viaggio che dura tutta la vita e non serve a vincere una sfida.
A me l’atletica è servita e servirà per sempre ad allenare il coraggio di vivere.

Cinzia Leone, attrice e autrice, ha esordito in televisione nel 1988 nel programma rai “La tv delle ragazze, che la vedrà impegnata nelle successive edizioni (“Avanzi”, “Scusate l’interruzione” “Tunnel”) fino al 1996. Nel cinema è stata diretta dai fratelli Vanzina, da Carlo Verdone, da Lina Wertmuller, da Francesco Nuti, da Federico Zampaglione e da Mario Monicelli. Ama il teatro per il quale, dal 1995, scrive i testi che interpreta e dove ha lavorato tra gli altri con Enrico Montesano, Corrado Guzzanti e Francesca Reggiani ed è stata diretta da Pietro Garinei.

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