Io non credo si viva una volta sola.
Soprattutto non credo si viva una volta sola nella stessa vita.
La mia, ad esempio, è una moltitudine di vite, ognuna con le sue regole, ognuna a cui cerco di dare il meglio di me stessa e ognuna da cui cerco di prendere il meglio per imparare e migliorarmi.
Ognuna con le sue sfide, non sempre facili, anzi quasi mai facili, ma senza sfide da affrontare sono convinta che nessuno possa diventare sé stesso.
Non si vive una volta sola è una filosofia. Una filosofia di vita.
Ascoltarsi è essenziale
Io ho iniziato ad ascoltarmi molto presto, da bambina.
Ascoltarsi è essenziale perché il nostro corpo è un insieme di recettori, la realtà che ci circonda viene elaborata dai nostri sensi, mediata e restituita in sensazioni che ci indirizzano a fare una cosa piuttosto che un’altra.
Noi sentiamo il caldo e il freddo, ad esempio, non li vediamo, non li tocchiamo, eppure ci condizionano e ci conformiamo a quello che sentiamo.
È questa capacità di ascolto che mi spiega perché da bambina ipovedente, se cadeva qualcosa in terra, una moneta ad esempio, e mi chiedevano di raccoglierla io non la cercavo con gli occhi, ma andavo con le mani verso il punto dove l’avevo sentita cadere.
Era il mio modo di ascoltare un corpo che già sapeva che un giorno avrei dovuto fare a meno della vista e che, quindi, mi suggeriva come fare per trovare il mio punto di equilibrio nello spazio e nel tempo.
Inventare la vita
La vita, quindi, si inventa e si reinventa, e il cambiamento ne è parte essenziale soprattutto quando ci costringe a uscire dalla nostra comfort zone e ci porta in territori scomodi. Scomodi almeno fino a quando non li facciamo diventare i nostri territori.
Un po’ come un bambino appena nato che si trova per la prima volta fuori dal suo posto comodo, la pancia della mamma, abbagliato dalla luce, con rumori nuovi e costretto a respirare aria a pieni polmoni. Normale che la prima cosa che fa sia piangere, ma presto anche lui arriverà il tempo dei sorrisi.
In questo grande paradigma di vita, lo sport per me è una fortuna non casuale, ma fortemente voluta, perseguita e coltivata.
Avevo quattordici anni quando entrai in palestra per la prima volta
Mi divertiva, mi faceva stare bene e in qualche modo compensava la mia impossibilità di giocare a pallamano che, allora, ero lo sport che ci facevano fare a scuola.
Mi piaceva molto la pallamano, almeno idealmente. Fin quando dovevo tirare, infatti, andava bene, ma il problema era ovviamente riceverla la palla.
Ecco, tenete a mente questa cosa, ricordatevi la mia passione non realizzata per la pallamano perché ci torneremo un po’ più avanti.
Comunque sia è in palestra che accade qualcosa d’importante per la mia vita.
Quando la mia diagnosi venne confermata e la perdita totale della vista divenne solo una questione di tempo, un certo giorno andai in palestra dicendo che avrei lasciato, che non avrei potuto fare più nulla.
Non andò così
Il mio istruttore si rivelò essere un Maestro, uno quelli con la emme maiuscola.
Mi disse che non ci pensava minimamente a lasciarmi andare e che, anzi, mi avrebbe accompagnata in questo percorso per quello che sapeva e poteva fare lui.
Fu tantissimo.
La sua via era l’aikido.
Bendata iniziai a comprendere lo spazio che avevo intorno e a muovermici usando tutti gli altri sensi, imparai a sentire l’equilibrio e con il bastone imparai a riconoscere luoghi e oggetti.
La mia sfida è iniziata così ed è andata di pari passo con il progredire della perdita della vista che, però, non mi ha impedito nulla.
Non mi ha impedito di studiare, di partecipare a Miss Italia, di vincere il Festival di Sanremo, di riempire la mia vita di emozioni e di bellezza, quella che senti dentro, quella della consapevolezza e della pienezza e non mi impedisce oggi di insegnare.
Lo sport, in tutto questo, è stato fondamentale
Lo sport è una grande chiave di lettura della vita, insegna la costanza e il sacrificio, regala il sentimento forte di una gioia per un risultato raggiunto, anche piccolo che sia, ma migliore di quello del giorno prima, così come quello di una delusione per un risultato atteso e invece mancato.
È così che lo sport è diventato una delle grandi parti di me stessa, mi ha fatta crescere, mi ha dato certezze, mi ha aperto mondi nuovi ogni volta che ho iniziato a praticare una nuova disciplina e se sono l’Annalisa Minetti che conosce moltissimo lo devo allo sport
In questo ho trovato un compagno di strada straordinario nel Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre, a cui appartengo dal 2012 salvo una breve interruzione nel 2015, e con il quale ho trovato i miei successi sportivi più importanti e belli.
Tanti i linguaggi dello sport che ho sperimentato, dal ciclismo al pugilato, dal duathlon al canottaggio, dallo sci all’arrampicata e tanti altri ancora.
La corsa, la regina
Una disciplina però è laregina tra tutte, quella dove ho avuto i miei maggiori successi sportivi: la corsa.
Indimenticabile la medaglia olimpica di Londra 2012 nei 1.500, bronzo assoluto e oro di categoria perché la prima e la seconda arrivata erano ipovedenti e correvano senza guida.
Indimenticabile l’oro mondiale negli 800 a Lione.
Indimenticabili le mie maratone. Tra le tante Gerusalemme, New York e Roma, che vinco nel 2017 stabilendo il record del mondo di categoria.
Indimenticabili ognuno dei podi e dei record nazionali ed europei stabiliti.
E oggi poi c’è il nuoto, la mia nuova sfida.
L’acqua è l’ambiente dove maggiormente mi sentivo estranea, dove tutti i miei sensi insieme non mi restituivano la stessa capacità di orientamento acquisita invece nei movimenti terrestri.
Ebbene a settembre scorso, sempre con il supporto delle Fiamme Azzurre, ho deciso di raccogliere anche questa sfida.
Oggi, dopo quattro mesi di allenamento, il mio approccio all’acqua è totalmente cambiato, ottengo già tempi interessanti e sicuramente in un futuro non lontano scenderò in acqua per gareggiare.
Ricordate però la pallamano?
Il mio sport negato, forse l’unico, quello rimasto appeso nel gioco del destino, evidentemente in attesa che i tempi fossero maturi.
Ebbene adesso segnatevi questo nome, segnatevi skymano.
Possibile che ne abbiate già sentito parlare perché di skymano si è parlato molto in occasione della presentazione che abbiamo organizzato lo scorso luglio scorso allo Zoomarine di Torvaianica.
Skymano, il futuro inclusivo
Skymano è la disciplina sportiva ideata da Michele Panzarino, docente all’Università Tor Vergata di Roma, che per dieci anni ha condotto uno specifico percorso di ricerca scientifica nell’ambito delle attività del Centro di Ricerca dell’Accademia Nazionale di Cultura Sportiva.
Una ricerca il cui esito è già referenziato in numerose pubblicazioni scientifiche riconosciute a livello internazionale e che fa essere lo skymano il primo e unico sport nato totalmente inclusivo, ovvero praticabile insieme da persone di qualunque età e di qualunque condizione fisica, normodotati o disabili che siano.
Lo skymano è di diretta derivazione della pallamano, di cui ha mantenuto alcune impostazioni di fondo e di cui ha innovato tecnica e regole, e rispetto al mio primo e unico sport negato è per me una sorta di chiusura del cerchio.
Un passo avanti gigantesco che proprio oggi, venerdì 4 febbraio, vede lo skymano accolto ufficialmente nell’ambito della Federazione Italiana Giuoco Handball e diventare avanguardia di una filosofia di vita che vede nello sport la piattaforma per eccellenza dell’inclusione sociale.
Un giorno di festa
Per Annalisa, madrina e promotrice dello skymano, oggi è un giorno di festa.
Oggi Annalisa, donna matura e consapevole, abbraccia e si ricongiunge idealmente con Annalisa adolescente, la ragazza che non poteva giocare a pallamano e che non sapeva come sarebbe andata la sua vita.
Oggi è un bel giorno.