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Wataru “Wat” Misaka

Wat è un Nisei. Così chiamavano i nippo-americani negli anni della guerra. Dicriminazione, ferite profonde, Pearl Harbour e tanto altro. Wat fa quello che non ti aspetti. Alto poco più di un metro e settanta, gioca nel basket universitario e trascina le sue squadre alla vittoria. A Hiroshima come interprete dell'US Army tre mesi dopo la bomba, non dimenticherà mai l'orrore. Nel 1947 sarà il primo giocatore di colore della Basketball Association of America, madre della moderna NBA, e aprirà la strada per tutti quelli venuti dopo di lui.
Wataru "Wat" Mikasa

Wataru “Wat” Misaka non si è mai sentito il primo.
Wat Nasce a Ogden, nello Utah, il 21 dicembre 1923, cittadina di montagna con qualche decina di migliaia di abitanti. Se non di persona, di vista si conoscono quasi tutti. 
Wataru “Wat” Misaka è un Nisei, così li chiamano i nippo-americani di seconda generazione. Non sono particolarmente amati, devono fare tutto e di più, ma hanno diritto a poco.
Wat non è il primo bambino asiatico a nascere lì e non sarà il primo ad essere allontanato da un ristorante perché non caucasico. Ovviamente non sarà neanche il primo a sapere di avere un talento che aspettava solo di essere scoperto.  
Un talento che, però, lo farà essere il primo nippo-americano a entrare nella Basketball Association of America, madre della moderna NBA.

Dalla barbieria al college

Wataru Misaka cresce nella barbieria del padre. La famiglia, poverissima, vive nel seminterrato. La discriminazione è pasto quotidiano: per strada, nei negozi, a scuola. Pressato dalla diffidenza, tenuto a distanza, Wat a 15 anni deve prendere in mano la vita. Il padre muore, lui abbandona la scuola e inizia a occuparsi del negozio. La madre vorrebbe tornare in Giappone, lui no. Quella è casa sua, gli Stati Uniti sono casa sua.
Nel tempo libero fa sport, gioca a tutto quello che capita, soprattutto baseball e basket. È proprio questo il suo vero amore, è questo il suo talento. La velocità e la bassa statura lo rendono imprevedibile. Ha uno stile e un gioco in testa, abbastanza per essere notato dalla Ogden High School che gli dà una seconda possibilità e lo fa rientrare come studente giocatore.
Wat non perde tempo e diventa il leader della squadra; nel 1940 vince il campionato statale, l’anno successivo quello regionale.

Wataru "Wat" Misaka

Nel 1941 Wataru  è nella squadra del Weber Junior College con la quale vince per due volte conference championship e dove, nel 1943, ottiene il titolo Junior College Athlete of the Year.
Nel frattempo la vita intorno a lui è impazzita.
Pearl Harbour è una ferita profonda. Nel 1941 i nippo-americani sono internati, la sua famiglia deve lasciare Ogden e andare alla residenza coatta di Topaz.
Per Wat, lo sport è una sorta di salvacondotto. La storia sul rettangolo di gioco sembra poter andare diversamente. Nel 1943 è alla Utah University, contesto più competitivo che non lo spaventa; con la squadra e con il coach c’è coesione e lui è bravo, veramente bravo.
Si qualificano per il National Invitational Tournament di New York. Al Madison Square Garden perdono subito con il Kentucky; sono fuori. Stanno per lasciare New York quando vengono invitati a partecipare all’NCCA, il torneo collegiale istituito appena qualche anno prima, nel 1939. Prolungare il soggiorno è una spesa, ma il college decide che sì, possono andare e allora di corsa verso Kansas City.
Due partite, due vittorie aprono la strada per tornare a New York, ancora una volta al  Madison Square Garden.
Questa volta hanno davanti il Darmouth. Partita infinita. Overtime, finale 42-40.
L’Ogden vince l’NCAA 1944. Vincono loro, vince Wat. Dei 15.000 del Madison nessuno fa caso alla sua pelle e ai suoi occhi.
Sul parquet è tutta un’altra storia.

L’altro Giappone

Nel 1945 Wat si arruola nell’esercito, dove rimarrà per due anni.
Per ovvie ragioni la sua destinazione è il Giappone, Hiroshima, tre mesi dopo la bomba.
Al suo ritorno al giornale dell’University of Utah dirà “Ero un uomo senza paese. Per i giapponesi ero un invasore. Gli americani non si fidavano di me perché giapponese”.  E poi ancora, più tardi “Credo di non essermi mai ripreso dalla visione di una simile devastazione”.

Wataru "Wat" Misaka

New York e oltre

Nel 1947, ancora una volta al Madison Square Garden dove è una sorta di personaggio, vince il NIT con lo Utah.
Il piccolo giapponese che voleva essere americano è amato da tutti.
I New York Knicks, colpiti dalla storia di Wataru Misaka, lo chiamano per entrare in squadra.  Per la prima volta Wat era scelto. Nessuno della sua comunità aveva mai ricoperto quel ruolo: giocatore di basket professionista.
Una bella storia, diventa però presto una storia interrotta.
Con i New York Knicks gioca appena tre partite, poi viene messo fuori squadra.
Wataru Misaka però è capace solo di guardare avanti. Lascia e torna nello Utah dove si laurea in ingegneria.
La sua vita sarà questa.

Wataru "Wat" Misaka

Wat. Una bella storia

Anni dopo saranno in molti a chiedergli se l’essere stato messo fuori squadra dai New York Knicks fosse stato un episodio di razzismo.  “Io non credo”. Wat risponderà sempre così.
Ecco, è proprio in questa risposta che c’è tutta la grandezza della persona.
Wat era talmente estraneo nel suo intimo a ogni idea di razzismo da non vederlo neanche quando il razzismo gli batteva un colpo alle spalle.
La sua storia sportiva ha aperto una strada a molti.
Una strada con curve a gomito e diverse buche, ma una strada sulla quale in tanti si sono impegnati e che oggi, dopo decenni, è certamente meno avventuroso percorrere.

Wataru “Wat” Misaka è stato un esempio.
Alla sua storia è dedicato il bel documentario Transending: The Wat Misaka story di Bruce Alan Johson e Christine Toy Johnson.

 

Rachele Colasante nata a Roma nel 1999, da sempre incuriosita dalle storie, studia Lettere a RomaTre cercando di scrivere la sua al meglio. Ancora non sa dove la condurrà il suo percorso, ma per ora si gode il paesaggio.

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