Figli del sole
Il 6 ottobre 1914 a Larvik, Norvegia, nasce un bambino che non avrà una storia comune.
I genitori devono in qualche modo intuirlo perché il nome che gli danno non lascia adito a dubbi.
Lo chiamano Thor e il nome non lo tradirà. La vita di Thor Heyerdhal sarà una vita straordinaria, oltre le righe.
Cresciuto con un rapporto intimo e intenso con la natura, già da bambino Thor fantasticava e disegnava di viaggi ed esplorazioni e, in qualche modo, aveva già deciso cosa avrebbe fatto da grande. La sua passione cresce con lui, passa attraverso escursioni nelle campagne, nei boschi e poi, appena più grande, nelle montagne norvegesi. Un clima estremo nel quale si muove con rispetto, disinvoltura e audacia. Studia, si laurea in biologia e coltiva uno spiccato interesse per l’archeologia e l’antropologia. Anche se durissima, la vita semplice nella natura lo attrae, lo prende come se fosse una febbre e non lo lascerà più. Inizia a pensare alle isole del Pacifico di cui tanto aveva letto e che tanto aveva sognato.
Inizia l’avventura
Siamo nel 1936, è la vigilia di Natale quando Thor sposa Liv. Il matrimonio era stato preceduto da una promessa. Lui le aveva proposto di trasferirsi nel Pacifico, lei aveva accettato in un baleno. Si sposano e il giorno dopo partono. Destinazione Fatu-Hiva, isole Marchesi, Polinesia Francese, dove avrebbero potuto coronare il loro sogno di vivere in comunione con la natura, senza le “distrazioni” moderne. Qui accade anche altro, però, qualcosa che segnerà la vita intera di Thor.
Qui Thor è incuriosito da alcune statue di pietra della zona, incredibilmente simili alle rappresentazioni dell’America pre colombiana. Inizia a parlare con i vecchi del luogo, si fa raccontare le storie, le leggende della nascita del loro popolo ed è così che scopre la leggenda di Kon-Tiki Viracocha, il figlio del sole. Le storie che i vecchi raccontano dicevano che il mitico fondatore polinesiano era arrivato insieme al suo popolo da un posto “al di là del mare, un paese montagnoso, arso dal sole”.
Per Thor è uno squarcio di luce. Collega questa storia con un’altra, una storia del popolo andino che raccontava una cosa analoga. Raccontava di un re sole, Kon-Tiki, scappato per mare verso occidente per seminare i suoi nemici.
La forza del dubbio
È così che Thor Heyerdhal inizia a pensare che forse sì, i popoli del Sud America erano veramente arrivati in Polinesia e che lo avevano fatto navigando con imbarcazioni rudimentali. C’è un piccolo particolare, però. Nessuno al tempo pensava che quelle imbarcazioni avrebbero mai potuto reggere una navigazione in oceano aperto.
È la parola loro contro la leggenda. Thor decide di credere alla leggenda, ma non solo; se qualcuno lo aveva già fatto, allora si può fare ancora, pensa. Soprattutto si può fare nello stesso modo.
Thor è sempre più convinto che il “paese montagnoso” della leggenda fosse il Sud America e che il popolo polinesiano, almeno in parte, avesse origine dalla migrazione di un’antica popolazione amerinda antecedente alla civiltà Inca. Rimane in sospeso il punto debole, l’imbarcazione appunto.
La grande sfida del Kon-Tiki
Passa poco più di anno prima che Thor e Liv lascino Fatu-Hiva per fare rientro in Norvegia. Lasciano l’isola, ma Thor Heyerdhal il sogno del Kon-Tiki se lo porta dietro, gli fa attraversare una guerra che sconvolge il mondo e nel 1946 presenta la sua teoria in un convegno di antropologi e archeologi americani. Quello che raccoglie, però, è solo scetticismo e, in qualche caso, anche irrisione. Uno dei più noti tra gli archeologi che lo ascoltano, Herbert Spinden, gli dice senza remore “Sì, provaci tu a viaggiare dal Perù alle isole del Pacifico su una zattera di legno di balsa”.
Thor capisce che il tempo del sogno è finito. Adesso è il tempo della sfida.
Doveva dimostrare che la navigazione con un’imbarcazione primitiva dal Sud America fino ad un’isola della Polinesia era possibile e aveva un solo modo per farlo. La logica, in fondo, è semplice e stringente. Deve costruire una barca simile e fare anche lui la traversata. Thor studia i materiali, la tecnica di costruzione, il luogo di costruzione – il Perù, naturalmente – e infine seleziona gli uomini che saranno con lui a bordo.
Compagni di avventura
Herman Watzinger, Erik Hesselberg, Knut Haugland, Torstein Raaby e Bengt Danielsson sono uomini dal coraggio fuori dal comune. Due di loro, Knut e Torstein, durante la guerra hanno partecipato ad operazioni speciali; Herman è un ingegnere; Erik è un marinaio di marina mercantile, ma anche artista; Bengt è un antropologo.
La cosa straordinaria è che nessuno di loro aveva conoscenze specifiche di navigazione a vela, meno che mai di navigazione con barca costruita con legno di balsa.
I sei vanno prima in Ecuador dove selezionano gli alberi, li tagliano e poi li fanno trasportare in Perù dove invece assemblano il legno. Giorno dopo giorno la grande sfida inizia ad avere una forma: la forma di una grande zattera. Con una base costituita da nove grossi tronchi di balsa legati insieme da corde di canapa, un “ponte” di intelaiatura di bambù con al centro una sorta di capanna dove i marinai avrebbero potuto trovare riparo, il Kon-Tiki questo di fatto era: una grande zattera che, in teoria, avrebbero potuto manovrare grazie al grande remo timone di poppa. Unica concessione alla modernità, la piccola radio di bordo.
Al largo!
Il 28 Aprile 1947 il Kon-Tiki con il suo equipaggio di “folli” avventurieri prende il largo dal porto di Callao. Sulla grande vela, dipinto da Erik Hesselberg, li accompagna il volto del dio. La corrente di Humboldt che scorre verso Nord-Ovest seguendo le coste dell’America meridionale li guida misteriosamente nell’oceano, ma forse quella corrente è solo il fremito del dio benevolo.
Il viaggio dura 101 giorni e, ovviamente, ai sei non furono risparmiate tempeste, avventure e disavventure fino al 7 agosto, quando il Kon-Tiki si incaglia sulla barriera corallina dell’isola di Raroia, una delle Isole Marchesi, nel mezzo dell’Oceano Pacifico.
Non grazie al remo-timone, troppo pesante e ingombrante per essere manovrato in maniera ottimale, ma solo seguendo vento e correnti, la barca aveva potuto raggiungere l’isola.
Thor Heyerdhal e i suoi ce l’avevano fatta e avevano dimostrato che il viaggio era possibile.
Con gli spezzoni di pellicola girata durante il viaggio, l’avventura del Kon-Tiki diventerà un film e, nel 1952, riceverà l’Oscar come miglior documentario.
Il mare continua a chiamarlo
L’ansia di andare dentro le leggende per scoprirne le verità nascoste non abbandonerà mai Thor e lo porterà a compiere altri viaggi e imprese memorabili tra mari, oceani e grandi fiumi.
Nel 1969 e nel 1970 con le spedizioni a bordo del Ra e del Ra II, vuole dimostrare la possibilità di attraversare l’Atlantico con una imbarcazione di giunchi. La prima spedizione fallisce dopo otto settimane e migliaia di miglia percorse, ma Thor non demorde. Dopo dieci mesi, sempre dal Marocco, prende nuovamente il largo con il Ra II per arrivare, dopo 57 giorni nei Caraibi, a Barbados.
Nel 1978 con il Tigris, anche questa imbarcazione di giunchi, dimostra invece la possibilità navigazione tra le civiltà mesopotamiche e quelle della Valle dell’Indo. Una navigazione, quella del Tigris, che subirà direzioni forzate a causa delle guerre in corso che incontrerà sulla sua rotta e che non gli consentiranno il passaggio nel Mar Rosso. Per questo, dopo 143 giorni di navigazione e altre migliaia di miglia percorse tra fiume Tigri e Oceano Indiano, in segno di protesta estrema e plateale contro la guerra il 3 aprile 1978 Thor Heyerdahl ferma la spedizione a Gibuti e qui, davanti al porto, dà alle fiamme il Tigris.
Pasqua. L’isola
C’è un capitolo fondamentale nella vita di Thor Heyerdhal.
Un capitolo che si chiama isola di Pasqua, l’isola polinesiana scoperta nel giorno di Pasqua del 1722 dall’esploratore olandese Jacob Roggeveen.
Da sempre avvolta nel mistero, Thor ne subiva il mistero e si interrogava su chi fossero i suoi primi abitanti e quali leggende si nascondessero nell’enigma dei Moai, le circa 900 grandi statue monolitiche che ne segnano panorama e civiltà.
Nel 1955 Thor Heyerdhal, insieme a cinque archeologi – un norvegese, un cileno e tre statunitensi – mette in piedi la prima spedizione archeologica ufficiale: Aku-Aku. Ottengono subito un risultato eccezionale; scavando, sono loro a scoprire che le statue non erano solo volti, ma anche busti con braccia.
Altri scavi Thor li condusse invece in solitaria, in particolare presso alcuni templi dell’isola dai quali riportò alla luce una serie di manufatti che, dopo essere stati al tempo portati in Europa, il figlio ha poi restituito alle autorità cilene.
Affascinato dal mistero irrisolto delle modalità di spostamento e posizionamento delle grandi statue, nel 1986 Thor Heyerdhal ritorna sull’isola e fornisce la prova che nella questione di così misterioso non c’era poi molto.
Con lui c’è un ingegnere ceco Pavel Pavel. Studiano, disegnano e alla fine provano. Sotto la loro direzione sedici abitanti dell’isola spostano un Moai tirando una corda fissata intorno alla testa della statua ed una sulla parte inferiore del busto. Il gigante di 15.000 chili si sposta senza grandi problemi, in qualche modo si può dire che il gigante cammina.
Il mistero per Thor è definitivamente risolto.
Ulteriori conferme alla sua teoria sull’origine andina della popolazione dell’Isola di Pasqua, Thor le ebbe poi dalla missione archeologica che condusse a Tucumè, in Perù, dal 1988 al 1992, quando nel corso di questi scavi rinvenne oggetti e raffigurazioni in bassorilievo identici a quelli già trovati nell’Isola.
Un ultimo viaggio
L’ultima missione nel 2002, in Russia nel Mar D’azov, per condurre scavi alla ricerca delle origini dei popoli vichinghi. Le condizioni fisiche, però, lo costrinsero a interromperla.
Uomo di grande cultura, coraggio e sensibilità, Thor Heyerdhal è stato tra i primi a occuparsi dell’inquinamento degli oceani, tanto da essere ascoltato in proposito sia dal Congresso degli Stati Uniti che dalle Nazioni Unite.
L’Oceano, gli apre le braccia per l’ultima volta il 18 aprile del 2022.
Gliele apre dall’Italia, dalla Liguria dove viveva a Colla Micheri, vicino ad Andora.
La Norvegia gli tributa funerali di Stato, ma così come aveva lasciato scritto, è a Colle Micheri che oggi riposa.
La sua vita di sole, mare e avventure lo aveva mantenuto giovane sino all’ultimo.
A chi gli chiedeva quale fosse il suo segreto rispondeva sempre: “Mai rinunciare!”.
Lui certo non l’ha mai fatto.