Al cambio Raffaele venne verso la panchina.
“Lele, ti do due minuti per recuperare, ma poi ritorni in campo perché servi” gli dissi.
Personalmente non gli avrei dato nemmeno quei due minuti di riposo visto l’andamento della partita, ma dovevo farlo.
Reggeva quattro, cinque minuti di gioco e poi aveva bisogno del cambio per poter recuperare.
Dovevo gestirlo così, perché il suo corpo aveva questa autonomia.
Un’altra partita
Il suo inizio di stagione, la quarta con noi nel campionato di Promozione, non era stato dei migliori, ma, come al solito, la sua
presenza e serietà in campo erano al massimo.
Non riusciva comunque ad ingranare quell’anno; anche fisicamente non era al top, sempre stanco.
Poi si scoprì il perché: andò a fare una visita medica e da allora per mesi non lo vedemmo.
Doveva giocare un’altra partita, ben più seria delle nostre di basket.
“Io torno”
Raffaele lo preannunciò prima di iniziare le cure.
E lo fece sul serio.
A distanza di tanto tempo si presentò, completamente senza capelli, e mi chiese il permesso: “Posso venire ad allenarmi, a giocare?”
Il ritorno in campo faceva parte della sua battaglia.
Con lui la squadra, che non andava bene, trovò le motivazioni giuste per lavorare.
Tutti si prendevano cura di Raffaele: se doveva prendere fiato durante un esercizio, qualcuno correva a dargli il cambio per permettergli di recuperare, anche se significava farsi tre campi in più.
Nessuno dei suoi compagni lo lasciò solo, si presero cura di lui.
Allo stesso tempo lui dava tutto quello che aveva, perché non voleva che la sua “debolezza” facesse calare l’intensità della squadra.
Era un volano positivo.
Passo dopo passo, un po’ alla volta, continuò la sua battaglia, sia con lo studio, sia con il basket.
La prima vittoria
A Piombino tornò a indossare la divisa da gioco, iscritto al referto di gara.
Fu una partita in cui prendemmo una spazzolata micidiale, ma noi eravamo contenti lo stesso.
A fine del riscaldamento iniziale Raffaele era già distrutto; durante l’incontro lo mandai in campo ugualmente pochi istanti, cambio per lui appena possibile.
Già questa era una vittoria.
Poi i minuti in campo si allungarono sempre di più; andava sempre meglio e con lui la squadra.
Sino alla partita in casa di quella sera, decisiva per la nostra salvezza, contro una delle squadre in testa al campionato.
La palestra era piena di gente; lui stava giocando alla grande, più in difesa che in attacco, un baluardo.
“Lele. Torna in campo!”
I due minuti erano passati e per fortuna senza di lui avevamo retto.
Serviva, eccome se serviva. Gli avversari erano forti e la partita dura; si lottava punto a punto.
In difesa ad un tratto lo vidi tuffarsi verso le tribune per recuperare un pallone in anticipo su un avversario. Ci riuscì e mentre si stava per schiantare passò al volo la palla a un compagno e finì sotto le transenne.
Vincemmo lì quella partita, ti ricordi Raffaele?
Se tu, con tutto ciò che avevi passato, non ti sei fatto problemi a tuffarti per terra e ad arrivare tra il pubblico, i tuoi compagni cosa dovevano fare?
Non potevano dare meno di te.
E gli avversari come potevano batterci sovrastati da quel volo? Dal tuo sforzo? Da tutto ciò che avevi passato?
Vittoria. Salvezza. Campionato salvo.
E Tu un Campione.
Perché hai vinto quella partita di basket, ma soprattutto LA partita.