Ettore Viola è il figlio che ti aspetti. Non solo un figlio di Roma, ma un figlio della Roma. E non poteva essere altrimenti.
Dino Viola è stato un Presidente indimenticabile, questo non sfugge a nessuno, persino a chi non è tifoso della Roma. Primo a frapporsi all’egemonia zebrata di quegli anni, Dino Viola è stato capace non solo di costruire una squadra che ha cucito scudetti e alzato trofei, ma di firmare un’epoca.
Più che una stagione, la sua è stata un’epopea.
Accanto a lui, da figlio, certo, ma anche da dirigente della Roma, Ettore.
Se pensate a un ruolo comodo, siete in alto mare. Ettore Viola ha avuto una doppia, anzi una tripla responsabilità; da figlio, da dirigente e da tifoso. C’è da dire, oggi e senza timore di smentite, responsabilità portate sulle spalle rimanendo sempre in piedi.
Ma questo è lo stile di famiglia e lui, stesso nome dello zio Ettore, Medaglia d’Oro al Valor Militare della Grande Guerra, l’Ardito del Grappa, non poteva essere diversamente.
Ettore Viola con i Cavalieri della Roma
Un mare di aneddoti e di storie Ettore Viola, tanti e tante che quando parla non riesci a fermarlo e se mai dovessi tentare di prendere appunti, perderesti la partita a tavolino.
Nell’incontro promosso dai Cavalieri della Roma, Ettore Viola si è raccontato a cuore aperto, senza filtri e senza remore, restituendoci non solo le storie, ma il sapore e le emozioni degli anni di una Roma straordinaria.
La Roma di Dino Viola, quella che usciva dagli anni della “Rometta” e che per la prima volta affrontava ad armi pari, cuore aperto e muso duro chiunque. Soprattutto la grande rivale. Anni in cui Roma-Juventus non era solo una partita tra uomini in campo, ma una sfida di mentalità e di stile.
“A casa Viola la Roma non è mai stata un mestiere“.
Esordisce così Ettore Viola nella sua conversazione con i Cavalieri della Roma. “mio padre era profondamente innamorato della Roma. Lo è stato da tifoso con un amore nato quando era bambino e continuato per una vita, da dirigente negli lunghi anni della vice presidenza e ovviamente da Presidente quando, oltre al cuore e all’anima, ha messo nella Roma il suo patrimonio personale per fare la squadra che aveva in mente e per ripianare i debiti della società che aveva trovato.”
La Roma in casa Viola c’è sempre stata quindi, parte essenziale del panorama emotivo e familiare nel quale Ettore cresce e dove papà Dino lo chiama a svolgere compiti e ruoli di primo piano, a volte anche lontano dai riflettori.
Il caso Boniek
“Ricordo bene” racconta Ettore Viola “quando fui mandato a Varsavia dal Nunzio Apostolico, monsignor Poggi. Zibì Boniek ci piaceva molto, giocatore dell’anno polacco nel 1978 lo sarebbe stato anche nel 1982, colonna della nazionale polacca e idolo del Widzew Lódz. Ma la Polonia di quegli anni era un altro mondo e nulla poteva accadere per caso o semplicemente di mercato. La visita a monsignor Poggi serviva a cercare una sponda nel dialogo con il presidente della Federazione polacca e con il presidente del Widzew Lódz. Nel 1982 non fummo gli unici a muoverci su Boniek. Nella nostra trattativa si inserì pesantemente la Juventus; come noto la Fiat in Polonia aveva grandi interessi, produceva automobili, dava lavoro a migliaia di persone ed esprimeva un potere economico determinante. Diciamo che usò una notevole moral suasion, convincendo nel modo giusto le persone giuste, per portarsi a casa Boniek. Modo giusto per loro, ovviamente. Così l’appuntamento di Boniek con la Roma fu rimandato di qualche anno, al 1985, e proprio in quella stagione si esprimerà a livelli altissimi di calcio“
Il caso stadio
Ci sono storie che si ripetono, storie che sembrano non finire mai e altre che invece sembrano rimanere appese nell’iperuranio platonico. Città difficile Roma, spesso sospesa tra fatalità e immobilismo e di cui Ennio Flaiano nel suo Un marziano a Roma tratteggia indole e carattere con penna difficilmente superabile.
Città che dell’attesa di un nuovo stadio è stata capace di fare un racconto generazionale.
“Una prova d’amore per la città. Lo stadio della Roma per mio padre era questo e così lo annuncia nella conferenza stampa del 19 gennaio del 1987 insieme all’allora sindaco Nicola Signorello. Una prova d’amore che, come a volte capita per i grandi amori, si è poi tradotta in una grande nostalgia, se non proprio in un dolore. Mio padre non aveva terreni da valorizzare” continua Ettore Viola “non aveva imprese di costruzioni da far lavorare. Voleva solo dare uno stadio alla Roma e a Roma e l’occasione di Italia ’90 poteva e doveva essere quella propizia. Occasione mancata, superfluo sottolinearlo, ma è utile ricordare che la ristrutturazione dell’Olimpico costo 270 miliardi, mentre per il nostro stadio ne sarebbe bastati 70. Durante i lavori dell’Olimpico la Roma fu costretta a trasferirsi al Flaminio, con una perdita d’incassi clamorosa. Ne scaturirà una causa durata anni di cui beneficerà Ciarrapico che si vedrà piovere dal cielo oltre quattro miliardi di lire.”
Zico o Falcao?
Paulo Roberto Falcão, l’ottavo re, dell’epopea Viola è un simbolo a tutto tondo.
Leggenda più che storia, come tutte le leggende anche l’arrivo a Roma di Falcão ha il suo piccolo mistero.
“Mio padre voleva Zico, questo è noto, così come è noto che anche Falcão fosse nel mirino della Roma. I due avevano ingaggi e cartellini simili, ma Zico era molto caldeggiato dalla stampa sportiva romana che ne stava facendo quasi un’unità di misura. Fatto è” ci racconta Ettore Viola “che il presidente del Flamengo chiede a mio padre di non portarglielo via perché aveva una campagna elettorale in corso, i suoi tifosi si sarebbero ribellati e per lui sarebbe stato un disastro. È così che dall’Internacional di Porto Alegre arriva a Roma Falcão e il resto, appunto, è storia.“
Lo scudetto in solitaria
Cosa può significare vincere uno scudetto dopo 41 anni chi l’ha vissuto lo sa, chi non c’era lo può immaginare. Per chi lo scudetto aveva inseguito tenacemente per una vita, quell’8 maggio 1983 fu una catarsi. “Mio padre, come tutti i tifosi della Roma, era abituato a sofferenze, delusioni, capovolgimenti di fronte e gioie fugaci. Lo scudetto fu una gioia immensa e mio padre volle viverla ritirandosi per due giorni a Torrerossa, nella casa che lo aveva visto nascere. Con lui, come sempre, mia madre Flora, il grande amore della vita. La gioia immensa aveva trovato la strada dell’intimità più profonda.“
Una grande storia familiare
Epopea, lo abbiamo detto in apertura, solo così possiamo chiamare il rapporto di Dino Viola con la Roma. Ma dentro questa epopea c’è una grande storia familiare che fa onore al calcio intero, non solo alla Roma. Una storia familiare che meriterà di essere raccontata ancora.