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Javier Girotto. Jazz, calcio e passione

0) Javier Girotto COVER

A Javier Edgardo Girotto, sassofonista, compositore, arrangiatore argentino di Cordoba con sangue pugliese che lo ha riportato in Italia, mi lega un’amicizia profonda fatta di passione per la nostra musica e di sintonia, che nella musica ci sta sempre bene, un’amicizia fatta di sogni e di suggestioni forti.
Nel nostro viaggio tra jazz e sport, non potevo non pensare anche a lui, all’anima latino americana della sua musica e alla sua passione per il calcio.
Adesso vi racconto come è andata la nostra conversazione in tempo di pandemia, una conversazione fatta guardandoci e ascoltandoci in video, un surrogato utile, ma che non può sostituire la bellezza di parole dette in libertà.
Una bellezza alla quale la musica, proprio come lo sport, proprio come nessuno di noi, può rinunciare perché le parole dette di persona sono anima.
E la musica, come lo sport, è anima.

Javier, vedo i pini romani dalle tue finestre

Vedi bene Eugenio, sì sono qui, a Roma. E tu come stai?

Sempre alla carica Javier e oggi ti parlo di una nuova avventura, la collaborazione avviata con il magazine on line Sportmemory.it che mi vede in prima linea come curatore della rubrica Jazz & Sport, un vero e proprio palcoscenico virtuale dal quale vogliamo far arrivare la voce del jazz ad un pubblico con una grande passione, quella sportiva, almeno un po’ della nostra passione, quella per la musica.

Ma veniamo a noi. Una maglietta dell’Argentina, ce l’hai?

No, ma ho quella della Roma.

Calma, calma, che poi ci arriviamo a questo brutto discorso…Tu sei nato a Cordoba, e infatti dal 1991 facciamo insieme la Reunion de Cordoba, ma in che anno sei arrivato in Italia?

Sì, sino nato a Cordoba e sono in Italia proprio dal 1991, ero giovane e con tanta musica davanti, avevo 26 anni

Il pallone entra nel sangue della gente quando si è giovani, parlami di Cordoba e del suo calcio.

Cordoba è il calcio, a Cordoba tutti giochiamo a calcio, abbiamo quattro squadre importanti ed io sono tifoso di Talleres de Cordoba.

Queste quattro squadre sono tutte in serie A, ammesso che si chiami così la serie più alta argentina?

Anche da noi c’è l’equivalente della serie A italiana.

La mia squadra, il Talleres di Cordoba ora compete per l’equivalente della Champions League europea, che da noi si chiama la Coopa Sudamericana; il Belgrano ha avuto stagioni migliori, è stato in serie A, ma ora è in serie B, il Primera è in B e il Racing in serie C.

E quanti abitanti fa Cordoba?

Cordoba conta due milioni di abitanti

Due milioni di abitanti con quattro squadre significa avere una grande passione calcistica. Le squadre rappresentano l’hinterland o i quartieri, le periferie? E qual è la più antica società calcistica della città?

Credo che la squadra di più antica tradizione sia il Belgrano, se non sbaglio nata nel 1910, ma subito dopo ci siamo noi del Talleres del 1912,

E dimmi, da giovane giocavi a pallone?

Certo che sì, ti ho detto, Cordoba è il calcio, e io giocavo con Universitario una squadra minore rispetto alle quattro nominate, ma giocavo nei tornei regionali e quindi ho assaggiato polvere, fango e sudore.

Siamo uguali anche in questo allora, io qui a Roma giocavo nella squadra ACEA, con allenamenti, trasferte e ritiri all’interno della regione. Tu che ruolo ricoprivi?

Giocavo in porta e come ogni portiere, te lo dicevo prima, polvere e fango li ho assaggiati veramente.

Anche nella Nazionale Italiana Jazzisti giochi come portiere

Sì, anche se ora un po’ di meno perché sai le ginocchia, l’età che avanza. La testa non ha problemi a giocare e lo fa come se fossi in serie A, però poi, quando sei in campo, è con il corpo che devi anche fare i conti e allora il discorso si complica, la testa gioca da sola e il corpo rischia di farsi male a inseguirla.

Già, con il braccio sei stato fermo un anno e mezzo…

Esatto, anche se in quel caso non è stato davvero un problema fisico, ma una più delicata questione di testa. È stato un brutto periodo, per fortuna ho continuato a suonare e sono stato capace di uscirne ed ora sono così contento della mia esperienza che cerco di aiutare altri che hanno questa patologia confrontandoci tra musicisti che attraversano la stessa problematica così poco indagata.

Invece è molto grave

Certo, ma era l’inconscio che bloccava il movimento della mia mano e ora, tra noi che abbiamo condiviso quello stesso percorso, ci aiutiamo a vicenda. Keith Emerson per fare un esempio di nome che tutti conoscono, si suicidò per questo problema, ma forse stiamo divagando troppo rispetto alla nostra conversazione sullo sport. Se vuoi ne parleremo in un’altra occasione.

Ti ringrazio invece, anche questa è una testimonianza di vita, proprio come la musica e lo sport. Torniamo ora alle squadre: quali sono i colori sociali della tua squadra?

Guarda qui!

Insospettabilmente Javier mi mette a video la bandiera del Talleres e vallo a sapere se l’aveva preparata per l’occasione o se la tiene sempre lì, vicino a lui, a memoria e rifugio di quello che è stato e di quello che sarà.

Ah bianco azzurro! Lo sai che non posso non sorridere visto che sono i miei stessi colori

Azzurro non celeste…

Quando sei venuto a Roma, però, mi hai detto di aver conosciuto Francesco Totti.

Si l’ho conosciuto, diversi atleti argentini hanno giocato nella Lazio e quando vi erano i derby c’erano sempre giornalisti che intervistavano musicisti e calciatori. È così che me lo hanno presentato.

Javier lo sa perché glie l’ho raccontato tante volte, ma ogni volta mi chiede di raccontargli ancora di quando, malato per la Lazio come sono, in occasione della finale di Supercoppa di Lega Europea, Lazio – Manchester United, che si giocava a Montecarlo durante una delle settimane più importanti della nostra manifestazione estiva di Villa Celimontana, io prendo di nascosto la macchina a disposizione per i transfert dei nostri artisti e, vestito da Festival, con la maglietta del Festival, vado a Montecarlo.

La Lazio vince. Goal di Inzaghi, grande festa.

A Montecarlo il pubblico è educato a rispettare lo spazio di gioco ed io, invece, pensai bene di scavalcare la copertura bassa durante la premiazione e di correre verso i giocatori inquadrato da tutte le telecamere. Questo per dire che se vi capita di vedere una delle innumerevoli foto in cui un pazzo con la maglietta di Villa Celimontana corre verso il centro del campo con la polizia che gli corre dietro, ebbene quello sono io che mi ero messo in testa di arrivare a Simeone per avere la sua maglietta, che ovviamente non mi voleva dare. E io “ma come non me la dai, sto rischiando la vita per la tua maglietta” e poi gli dico “ma sei argentino?” “si sono argentino” “e io so’ pure amico de argentini a Roma, conosco argentini, io sono amico degli Aires Tango”.

Grasse risate, ma ovviamente mi hanno portato via senza maglietta.

fantastico …Era il ‘96, il ‘97?

No, direi il ‘99, la Lazio vinse l’ultima edizione della Coppa delle Coppe, quindi accedette alla Supercoppa.

Torniamo seri Javier, secondo te ci può essere una similitudine musica e sport?

Beh, certo che c’è. La disciplina ad esempio è un tratto comune, il tanto lavoro che precede la competizione così come un concerto o la composizione di un brano. Nel periodo di preparazione, se lo prendi sul serio, c’è tanto studio, disciplina appunto, proprio come nello sport c’è tanto allenamento.

Un altro aspetto che accomuna tanto musica e sport è la concentrazione.

Quando fai una gara sportiva, così come quando fai un concerto, la concentrazione è indispensabile, soprattutto quando ci si trova in luoghi di importanza rituale: suonare nel Teatro Colonna a Buenos Aires o alla Filarmonica di Berlino ti porta a una tensione in più, mentre nel club sei più rilassato perché sei sempre quasi in famiglia.

Insomma, proprio come quando suoni all’Alexanderplatz?

Quando suono all’Alexanderplatz mi sento a casa, suono magari meglio, perché nei club sei più rilassato, però sgombriamo il campo; suonare in sale importanti è come giocare nella finale di Coppa del Mondo.

Della qualità musicale nei club, sono sempre stato convinto anche io.

Qual è il concerto in cui hai avuto più pubblico davanti? Non ti ho mai chiesto se hai mai suonato negli stadi, ad esempio?

In Argentina ho avuto quel tipo di esperienza, ma era tutto più tranquillo perché si trattava di musica commerciale.

Quanti sono i musicisti con cui hai suonato e incontrato e quale quello che ti ha dato un brivido?

Beh, sono tanti, ma uno di quelli a cui tengo di più è stato il duo con Ralph Towner, ora 81enne. Lui ha fatto la storia del Jazz, ne ho grandissima stima e rispetto e la collaborazione continuativa che ci ha legato è stata una esperienza bellissima e formativa.

Poi c’è stato tra gli altri Paquito D’Rivera, direi il primo, e anche una collaborazione negli Stati Uniti in cui sostituii Nick Brignola in un ottetto di grandi musicisti per una data.

Beh direi che non sia male

No, assolutamente, ma proprio perché non fu occasione unica o sporadica, direi che il rapporto con Towner è quello a cui sono più legato, poiché con lui si è instaurato un legame basato su una stima reciproca e uno scambio di idee su cui è nato un intero progetto musicale originale.

Tu riconosci questa originalità nei tuoi progetti?

Beh questo non lo devo dire io, ma ci provo sempre a fare un discorso personale per evitare di fare copie delle copie e dare una chiave di lettura ricercata, originale appunto. Per me è molto importante proporre della musica nuova, poi è il pubblico, la gente a dare riscontro. La ricerca, però, è continua e fondamentale.

Noi, io e te abbiamo fatto il concerto prima del lockdown vero, è stato un momento importantissimo

La settimana meravigliosa sì certo…

Esatto la Settimana. Una sfida importantissima che mi ha dato conferma che l’Alexanderplatz aveva ripreso la forza di un tempo: l’idea era quella di fare la settimana degli anni nostri (della musica), anni di grande crescita per la musica e per il club che ha dato centralità a tutto il mondo del jazz.

In quella settimana poi venne anche l’attore Riccardo Scamarcio, perché in quel periodo stavo collaborando con lui per la colonna sonora del suo ultimo film.

L’episodio lo ricordo anche io c’è una foto bellissima fatta proprio all’Alexanderplatz, e direi che sulle nostre pareti, insieme a quelle che negli anni hanno lasciato centinaia di artisti, ci sia anche la sua firma.

Che ne dici Javier, la prossima volta che vieni lo disegniamo a parete il pallone della Nazionale Italiana Jazzisti?

Consideralo fatto, amico mio, è una promessa.

Eugenio Rubei, imprenditore culturale e direttore artistico dell'Alexanderplatz Club, ha respirato jazz sin dall'apertura del locale nel 1984, seguendone la programmazione e tutte le tappe importanti, come il Villa Celimontana Jazz Festival (1994-2015), i Jazz Festival a New York, in Cina e a Londra (2004-2017) e lanciando manifestazioni come il Jazz Isole Pontine (2013), l'Orbetello Jazz Festival (2017) e l'Aquila Jazz Festival (2020-2021). Nel 2019 ha lanciato Alexanderplatz Belgio.

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