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Reinhold Messner. La solitudine del gigante

20 agosto 1980. Reinhold Messner arrampica l'Everest dal versante nord, da solo e senza ossigeno. Primo al mondo, anche i monsoni ne rispettano cuore e coraggio e lo lasciano andare. È cosi che i giganti si parlano. In solitudine.
Messner

Un gigante. Amore sconfinato per la montagna, passione, coraggio, sacrificio, visione estrema.
Tutto questo fa di Reinhold Messner un gigante della montagna.

Il gigante, figura ancestrale che anima i miti primordiali del mondo, guarda dove altri non riescono a guardare, va dove altri non riescono ad andare, pensa quello che altri non osano pensare. Per questo, a volte, i giganti sono costretti alla solitudine. Troppo grandi per il mondo e se fossero uccelli sarebbero come l’albatros di Baudelaire, deriso per le ali maestose che gli sono d’impaccio per spiccare il volo dalla tolda della barca.
In questa storia di giganti ce ne sono due.
L’altro è l’Everest, il gigante del mondo, l’unico che lo guarda per intero dall’alto senza avere nessuno alle spalle.
Era inevitabile che i due si incontrassero e si parlassero a modo loro.
In solitudine.

Una storia di alpinismo unica quella di Reinhold Messner

Una storia che è vita per destino e per scelta. Nato tra le montagne, ne prende confidenza sin da piccolo seguendo il padre e presto, molto presto, inizia ad andare da solo.
Impossibile fare sintesi delle imprese di un uomo che alla montagna ha dato e ricevuto tutto; i numeri per difetto parlno di oltre 3.500 vette arrampicate e oltre 100 spedizioni.
Altissimo il prezzo pagato. La tragedia del Nanga Parbat del 1970 con il fratello Günther travolto da una valanga, ritrovato solo dopo 30 anni, e le sette dita dei piedi di Reinhold amputate per congelamento è lì, testimone muta e immagino sempre dolorosa di quanto anche un grande amore possa esigere un riscatto.

Reinhold Messner

In vetta sei solo a metà strada

Primo al mondo ad aver arrampicato tutti i quattordici 8 mila della Terra cercandone vie mai prima praticate, la grandezza di Messner si racconta al meglio quando, in un’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire lo scorso anno, dice “In vetta sei soltanto a metà strada: devi salire ma poi devi anche scendere. E la discesa può essere pericolosa, può arrivare brutto tempo, venire la nebbia. In cima non ci sono le emozioni più forti. La vera, grande emozione in una spedizione del genere, specialmente in solitaria, è quando ritorni al campo base, quando rientri nella società. Prima sei fuori dal mondo, come se fossi sulla Luna e per questo c’è sempre una certa tensione. Ritornare sani e salvi significa rinascere e questo è un momento molto forte: hai davanti a te tutto il mondo perché hai salito l’Everest e sai che, con questo stile, puoi affrontare tutte le cime della Terra“.

L’Everest, appunto

Nel 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler sono i primi a salirlo in stile alpino: no ossigeno, no sherpa, no campi preinstallati. 
Sempre insieme, nel 1975, avevano salito il Gasherbrum I.
L’invidia è un tarlo che rode l’anima e nel 1978 le polemiche trovano spazio nella cronaca.
Poco conta. Due anni dopo, nel 1980, Messner ripete e rilancia.

Reinhold Messner

20 agosto 1980. La solitudine del gigante

Questa volta l’Everest lo arrampica sempre in stile alpino, sempre senza ossigeno, da solo. Per farlo Messner non guarda soltanto in alto, ma fa un patto con i monsoni, la cui stagione preme, affinché lo lascino fare.
Il patto regge, l’impresa riesce.
Il 20 agosto 1980 Reinhold Messner è sulla cima, arrampicata aprendo una nuova via sul versante nord.
I due giganti si sono parlati.
Più che montagna, metafisica.

Oltre la montagna

Innamorato delle vette, Messner ha spinto sguardo e cuore anche nelle distanze infinite.
Dal novembre 1989 al febbraio 1990 ha attraversato l’Antartide a piedi, aiutato solo da sci e da vele; 2.800 chilometri passando per il Polo Sud insieme all’esploratore tedesco Arved Fuchs.
Nel 2004, a 60 anni, ha attraversato in un mese il deserto del Gobi. In solitaria e con un carico di 40 chili, di cui 25 litri di riserva di acqua da rinnovare dove possibile.
Ancora una volta in solitudine, ancora una volta un gigante.

Reinhold Messner

Rotta verso il futuro

Sempre nell’intervista dello scorso anno al quotidiano Avvenire, Messner segna il percorso per il futuro. Distante dall’uso commerciale del turismo delle vette, anima di un alpinismo che ama la montagna cercandone una sfida alla pari, Messner dice “l’avventura non è finita. Ci sono più di diecimila cime non scalate, con vie ancora da fare su vette inesplorate di 6 mila e 7 mila metri, molto più difficili degli Ottomila. Vie di altissima difficoltà su montagne che non ci sono nemmeno sulla carta geografica”.

Lo abbiamo detto prima: un gigante pensa quello che altri non osano pensare.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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