Un altro calcio è esistito. Scrivo questa storia per raggiungere qualcuno che abbia una memoria migliore della mia (cioè quasi tutti). Non riesco a completare dei versi e ricordare l’autore. Andavano così, ad un certo punto: “…fu il giugno della messicana identificazione collettiva nel mito di Gigi Riva” e poi ancora “...dello scorpione come…Ionesco”. Non avevo idea chi fosse quest’ultimo, di sicuro non una figurina, ma ricordo bene quanto mi gasava che una poesia fosse dedicata al più bravo di tutti. Avrei voluto saper scrivere poesie. Mi piaceva da matti l’enfasi, non conoscevo nemmeno gli dei greci, ma Rombo di Tuono – da lì a poco, soprannome meraviglioso – era alto, lassù nell’Olimpo della mia fantasia, supereroe invincibile, pronto a tutto pur di battersi con la maglia azzurra della mia Nazionale. Mi piaceva che ci faceva vincere le partite, quante volte era caduto e come s’era rialzato, più forte. Giovanni Arpino? Boh, credo possa essere lui l’autore dei versi, grande penna creativa, provocatoria, anche lui espressione di un mondo che non torna. O forse non era lui. Qualcuno mi aiuti.
Mexico ’70
Di sicuro era il 1970 ed io, come mezza Italia, ero salito a bordo dell’aereo verso la faccia triste dell’America. La vittoria dell’Europeo ci aveva ringalluzzito, ma il macigno coreano pesava ancora tanto. Gigi Riva era in tribuna a Middlesbrough, ventiduenne, ma in Messico c’è, atteso come il Messia, temuto dagli svedesi che gli fanno una gabbia di quattro difensori per arginarlo nella partita d’esordio.
Cagliari ’70
Il Cagliari aveva appena vinto il campionato e, seppure per la prima storica volta, secondo la logica delle cose. Solo quattro punti di ritardo dalla Fiore campione la stagione precedente, conta sull’innesto dei quattro polmoni di Angelo Domenghini e sul più forte di tutti, Giggirriva per l’appunto.
Delle sue reti si sa tutto, e si sa che sarebbero potute essere tante e tante di più senza gli infortuni che ne hanno afflitto la carriera. C’ero quel pomeriggio grigio di Pasquetta all’Olimpico contro Eusebio, c’ero davanti alla TV in un altro pomeriggio, ancora più grigio, contro quello sciagurato di Hof che l’Austria troppe reti annullate sul filo del fuorigioco deve patire per andare pari.
Essere esempio
Del giocatore e dell’uomo si sa quasi tutto, la sua Sardegna, la fedeltà alla maglia, la riservatezza, la potenza del sinistro. E ciononostante mi sembra che né il calcio italiano né la nazione ne abbiamo mai compreso tutta l’infinita grandezza. Il suo essere esempio è andato ben oltre e ben più avanti del campo di gioco. Ce lo ricordiamo, ma non come farebbe bene ai nostri giovani sapere. Giovani calciatori prima degli altri.
Nel 1967 Gigi Riva è capocannoniere con 18 reti in sole 23 partite disputate sulle 34 in calendario. È il primo anno di Manlio Scopigno, arrivano Bonimba, Reginato e Nenè. Il Cagliari è sesto, la stagione del bomber finisce a marzo con lo scontro con Americo, portiere lusitano. Lo scudetto è quello all’ultimo respiro con Giuliano Sarti abbracciato al palo e la Juve di HH2 che festeggia, incredula, di giovedì primo giugno.
La convalescenza
Gigi Riva è convalescente nella sua cameretta della foresteria di via Sanna Randaccio, una via come tante del quartiere di Monte Urpino, zona residenziale di Cagliari. È lì che il club del presidente Rocca sistema gli scapoli. C’è tutto quello che serve: un letto singolo, un tavolo, una sedia, un bell’armadio, la TV nella sala comune, pacchetti di siga qua e là e l’allegria dei vent’anni. Il più simpatico è Claudio (Olinto de Carvalho), per tutti Nenè, brasileiro ex Juve, che però ha un gran difetto: alle 22.30 – cadesse il mondo – va a dormire, perché “domani c’è allenamento e, ricordati quello che ti ho detto. La palla me la devi passare rasoterra. La palla è di cuoio come la mucca, la mucca bruca l’erba e quindi la palla deve viaggiare bassa, sull’erba“.
Riva lo ascolta mentre finisce di tappezzare di poster la parete di fronte al letto. Noi avevamo lui, lui aveva altro. Due ragazzi che vede molto più grandi, e forse lo sono, nove e quattro anni rispettivamente. Non tirano calci alla palla, emozionano, non sono star di nessun sistema, faticano a sorridere. Sono due ragazzi che vivono ad alta velocità, quello sì. Uno pigia sull’acceleratore della Ferrari 312, l’altro suona le corde della chitarra. Suoni, rombi, poesia. Entrambi fai fatica a stargli dietro, un po’ come quel terzino che deve sputare sangue per non far passare Gigi.
E Gigi passa, Lorenzo vince, Fabrizio arriva al cuore con le sue canzoni. Lorenzo è nato in Libia, Fabrizio è genovese ma destinato, come Gigi, a sentir crescere la Sardegna dentro. Nel breve 1967 Lorenzo è la prima guida della casa automobilistica più amata non solo da noi, Faber è al suo primo album.
Due leggende, anzi tre
Bandini, de André e Gigi Riva da Leggiuno. Ripenso alla poesia che non ricordo, al goal in spettacolare tuffo a Napoli contro la Germania Est, all’inferno maledetto di Montecarlo, ai bambini che ora dormono sul fondo del Sand Creek.
Confondo tutto, un altro calcio è esistito, dove sta memoria, nelle orecchie il rombo che non se ne va.
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