Motorsport is dangerous. Gli americani lo scrivevano sui braccialetti per accedere al paddock. La Formula 1 ha pagato un tributo altissimo. Trentasette piloti vittime di incidenti fatali, in gara ed in prova, nei primi tre decenni di storia, sette nei tre successivi. Sicurezza, progresso ed innovazione corrono veloci senza riuscire a sorpassare adrenalina, velocità e pericolo. E la memoria corre a chi si è fermato, permettendo a chi è venuto dopo di andare avanti ancora più veloce, ancora più sicuro. Il ricordo di Lorenzo Bandini, il bravo ragazzo.
A scuola per Lorenzo
A dieci anni sai poco pochissimo, non hai molto da mettere in fila, anche i sentimenti pesano diverso, e quando la maestra dice “per domani, composizione a piacere” sono sempre quelle tre, quattro cose che ti passano per la piccola testa: la mia famiglia, la mia città, cosa farò da grande, il calcio. Invece quel giorno, non trovavo le parole perché non ce l’avevo, ma sapevo cosa volevo raccontare.
Qualcosa però, piano piano, sono riuscito a scrivere, lo so perché il quaderno ce l’ho ancora.
È lì, su quelle righe larghe e in gran bella calligrafia che raccontai di Lorenzo Bandini: chi era, l’incidente, la morte.
Lorenzo è il pilota della Ferrari, la macchina più bella, quella che chissà quanto soffriva con la tv a due colori, lei rossa. Meglio la figurina numero 67 – curioso – proprio come l’anno in corso.
Manca un mese alla fine della scuola di quel 1967 e domenica 7 maggio c’è Montecarlo.
E qui la memoria deve per forza chiedere aiuto.
La corsa maledetta
Al via la numero 18 di Lorenzo Bandini occupa la seconda casella dietro solo a Jack Brabham.
Il motore dell’australiano va subito in difficoltà lasciando, sull’asfalto del circuito cittadino più famoso del mondo, macchie d’olio che sconquassano la corsa. Lorenzo scivola, prima della curva del Tabaccaio, perdendo la testa a vantaggio di Denny Hulme e Jackie Stewart.
Al giro 61 dei 100 (cento!) previsti, con lo scozzese a sua volta beffato dalle bizze della sua BRM, Lorenzo insegue l’altra Brabham dell’altro aussie Hulme, di sette secondi e qualcosa. Gomme, fatica e doppiati, ostici Rodriguez e Hill su tutti, snervano i due davanti.
Dal box rosso cresce l’ansia, la guida di Lorenzo sembra meno pulita, al passaggio davanti ai meccanici non c’è quel cenno d’intesa che fa capire che tutto procede.
Al giro 82 si consuma il dramma.
La 312 imbocca il lungomare ad una velocità superiore ai passaggi precedenti, c’è dentro la quinta invece della terza in uscita, la traiettoria in approccio della chicane è sballata, la monoposto urta il guardrail (in verità, una bitta di ormeggio delle navi, non protetta e nascosta da un cartellone pubblicitario Shell). Ingovernabile, decolla letteralmente dopo l’impatto, atterrando poi capovolta cento metri più avanti con l’esplosione e le fiamme tra abitacolo e balle di fieno a bordo pista a rendere tutto ancora più atroce.
Lorenzo resta intrappolato, settanta ore di speranza e poi il silenzio che dall’ospedale Princess Grace arriva assordante fino all’ufficio dell’ingegnere dove la luce è rimasta accesa giorno e notte.
Dalla Libia con passione
Nel 1941 Giovanni aveva lasciato la Libia, la gestione di una azienda di macchine agricole ed un pezzettino di cuore. Con lui la moglie Elena, Gabriella di sette anni, Lorenzo di sei. Riparte da San Cassiano in Brisighella e con i due soldi maturati in A.I. avvia un piccolo albergo, ignaro che l’odio che acceca lo trascinerà davanti ad un improvvisato plotone di esecuzione di improvvisati esecutori. Tessera di parte in tasca, aggravante invidia: reati che come fai a contestare, davanti a un mitra poi. Mamma Elena accusa la botta, chi non avrebbe, ma c’è tempra di Romagna e d’altri tempi, e dalla natia Reggiolo chiede ai figli di tenere i piedi per terra, studiare e lavorare, onorare così il babbo e le sue scelte. Lorenzo è meccanico (l’officina del padre della futura moglie), lavora sodo e quando gli capita una macchina che va veloce insiste con il cliente per un collaudo più minuzioso.
Lorenzo riconosce il suono del motore e la voce calda della passione, vuole correre.
L’esordio
A 21 anni l’esordio con la Fiat 1100. A 23 il primo successo significativo alle 1000 Miglia con la Lancia Appia e a seguire piazzamenti in serie e vittorie di prestigio nel Trofeo Ascari classe 500 e nella formula junior.
Dietro gli occhiali scuri l’ingegnere oramai scruta Lorenzo Bandini da un pezzo, a modo suo.
Il cavallino rampante
È il 1962 l’anno del matrimonio di Lorenzo Bandini con il cavallino rampante di Francesco Baracca, subito festeggiato sul circuito di Pescara con la Testarossa. Sono cinque intensi anni che il consuntivo non dice abbastanza: una vittoria a Zeltweg, otto podi, 24 ore a Le Mans e Daytona, quattro titoli italiani e molto di più. Del palmarès di undici anni sull’acceleratore mi intriga la vittoria del Gran Premio della Libertà a Cuba, davvero altri tempi.
Lorenzo con Gilles. Lorenzo con Miki.
Sette giorni dopo l’incidente sono centomila e più le persone a Reggiolo per l’ultima corsa.
Dal 1992 Brisighella lo ricorda con il Trofeo Lorenzo Bandini, una replica in ceramica della 312 numero 18, da assegnare al nome emergente del gran circo che ancora è la F1.
Come quando mi sono bloccato davanti al quaderno senza trovare le parole, così sono impietrito scorrendo l’albo d’oro quando dice “2003 Michael Schumacher“.
Tra Lorenzo e Miki c’è Gilles. Del loro saper volare, chi vincendo chi combattendo, con i piedi piantati al terreno. Dei rintocchi delle campane di San Biagio a Maranello e di noi, dieci anni e mai undici, che le parole non le sappiamo mettere su un quaderno, ma possiamo far l’alba per dirti di loro tre. Idealmente in quell’ufficio, piada e sangiove, con le luci sempre accese.