Search
Close this search box.

Carlos Monzòn. Campione sul ring, perdente nella vita

"Anche se una stella muore la sua luce continuerà a brillare". Tra i tanti, al funerale di Carlos Monzòn uno striscione recita così e non è solo una scritta; è tutto vero. Pugile maledetto che più maledetto forse non si può, Carlos Monzòn tra gloria e tragedie ha lasciato segni che nessuno ha dimenticato. Proprio come i suoi pugni.
Monzon vs. Griffith

Bello, sporco e cattivo. Violento e tenero, nato povero e diventato ricchissimo. Come il personaggio di un B-movie sulla boxe, Carlos Monzòn ha vissuto fino in fondo il cliché del campione maledetto, spingendo sempre sull’acceleratore della vita. Il più grande pugile argentino, inserito dai critici fra i primi cinque al mondo di ogni tempo; l’idolo delle masse sudamericane, ben prima di Maradona; l’uomo che faceva girare la testa alle femmine più belle del pianeta, con i suoi pugni d’acciaio e l’aria da indio imperscrutabile.
Questo è stato Monzòn. Ma anche un campione dall’anima nera, che picchiava le donne, frequentava cattive compagnie, si ubriacava e dilapidava con straordinaria facilità le borse milionarie vinte sul ring. Una vita, se non controcorrente, quanto meno a corrente alternata; conclusa poi nel peggiore dei modi.

Dall’inferno al paradiso e poi di nuovo giù.

Una vita che graffia

Carlos Roque Monzòn viene al mondo il 7 agosto del 1942 in un sobborgo polveroso di Santa Fe, partorito in casa, sesto di dodici figli di cui cinque moriranno in tenera età per malattia e uno, Zacarias, ammazzato a pistolettate. Lui stesso da bambino rischia la pelle, si ammala di tifo e i medici lo salvano a stento. Da ragazzino studia poco e si ingegna a fare vari lavoretti per aiutare la famiglia, poverissima: fa il lustrascarpe, consegna il latte, vende giornali come strillone.

Il titolo e il Presidente

A 16 anni è già padre e la nascita del primo figlio, racconterà in seguito, rimarrà uno dei tre ricordi più belli della sua vita. Gli altri non sono, come si potrebbe immaginare, legati ai trionfi sui ring più importanti del mondo, né alle conquiste sentimentali di donne bellissime come Ursula Andress e Nathalie Delon.
I ricordi più importanti di Monzòn sono la conquista del titolo argentino contro Jorge Fernandez, nel 1966; e l’incontro con Juan Domingo Peròn: «Il presidente mi parlava come se mi conoscesse da sempre, a me sembrava di sognare».
L’indio di Santa Fe – un po’ come farà Maradona vent’anni dopo – dedica tutti i suoi trionfi sportivi al suo Paese e al popolo argentino. «Carlos è sempre stato peronista e nazionalista convinto – ha sottolineato in un’intervista Osvaldo Principi, il commentatore di boxe più famoso dell’Argentina – e quando dedicava le sue vittorie a Santa Fe e alla nazione non lo faceva per demagogia, è sempre stato sincero con il popolo argentino».

Carlos Monzòn
(Carlos Monzòn)

L’incontro di una vita

La svolta vincente di quel peso medio troppo alto (1,84 centimetri) per la sua categoria è l’incontro con Amilcar Brusa, l’uomo che rimarrà sempre al suo fianco in veste di manager, allenatore, amico e confessore.
Brusa intuisce in quell’indio cresciuto in povertà un pugile completo, magari non esplosivo ma senza talloni d’Achille: già a vent’anni Monzòn ha il pugno pesante, una buona tecnica ed è un ottimo incassatore. E poi, forse la sua migliore qualità, sul ring è freddo, tranquillo, determinato. A tratti persino spietato. Il suo palmarés finale – su 102 incontri in carriera ne ha vinti 90, di cui ben 59 per kappaò; 9 pareggi e solo 3 sconfitte, tutte ai punti – lo testimonia più d’ogni altra parola.

Vs Benvenuti

Sette anni dopo il suo esordio sui ring di provincia argentini, Carlos vince il titolo mondiale mandando al tappeto il campione in carica Nino Benvenuti a Roma, davanti al suo pubblico. Sei mesi dopo, alla rivincita in programma a Montecarlo, il pugile triestino è addirittura costretto a ritirarsi dopo appena tre round e di fatto abbandona il mondo della boxe. Monzòn è il numero uno al mondo e ci resterà per quasi 7 anni.

Monzon vs. Benvenuti
(Carlos Monzon vs. Benvenuti)

A questa difesa del titolo ne seguono altre 13, un record nella categoria: sotto i suoi colpi cadono campioni affermati come Griffith, Briscoe, Nàpoles, Tonna. Spettacolari i due incontri con il colombiano Rodrigo Valdez, al quale l’argentino lascia campo libero solo ritirandosi imbattuto il 30 agosto del 1977.
A differenza di altri colleghi, Carlos Monzòn non tornerà mai più sul ring, evitando di esibirsi in incontri che mettessero in luce l’ormai inevitabile decadenza.

Monzòn vs. Valdez
(26 giugno 1976. Carlos Monzòn batte Rodrigo Valdez.)

Una vita complicata

Se la carriera sportiva di Monzòn è stata fulgida ed esemplare, la vita privata si rivela un disastro. Donnaiolo impenitente e amante della bella vita (lo si vede spesso in Costa Azzurra, in compagnia di Pierre Cardin, Alain Delon, David Niven, Jean-Paul Belmondo), il pugile argentino esce in maniera tumultuosa dal matrimonio con Mercedes, madre dei suoi primi quattro figli: stufa di sopportare le sue continue scappatelle, una sera la donna lo attende armata di pistola e gli spara addosso, ferendolo a un braccio.
Il verdetto dei medici è severo: «Difficilmente potrà tornare a picchiare con quel pugno».
Tre mesi più tardi sale di nuovo sul ring, a bastonare Griffith.

Monzon e Ursula Andress
(Carlos Monzòn e Ursula Andress)

Tra un piano e l’altro

Una volta appesi al chiodo i guantoni si dedica al cinema, gira un paio di film di modesto successo e frequenta il jet-set del Grande Schermo, dove colleziona flirt con attrici e attricette. «Una volta a Nizza – racconterà in un’intervista al Corriere della Sera – feci l’amore con Ursula Andress in ascensore, fermandolo fra un piano e l’altro. L’accompagnai nella sua stanza e incontrai nel corridoio l’altra protagonista del film, Nathalie Delon. E rifeci l’amore con lei scendendo nell’ascensore, fermandolo allo stesso punto di prima».

Matrimoni vari

In Italia nel 1976 gira una pellicola “poliziottesca” con Luc Merenda e Giampiero Albertini, Il conto è chiuso. Ed è proprio sul set di un altro film, La Mary, che conosce Susana Giménez, considerata la Brigitte Bardot sudamericana. È amore a prima vista e i due vanno a vivere insieme, ma dura poco.
Si risposa con una modella uruguaiana, Alicia Muñiz, dalla quale ha un quarto figlio, Maximiliano Roque. Ma la sua parabola è ormai discendente: gran parte del patrimonio guadagnato in 15 anni di boxe è stato dilapidato e il cinema gli volta le spalle.

Alicia, il dramma

L’ex pugile beve sempre più spesso, litiga di continuo con la moglie.
La sera di San Valentino del 1988, nella città di villeggiatura di Mar del Plata, Alicia precipita dal balcone di casa e muore. Sembra un incidente, ma sul corpo ha evidenti segni di percosse e di strangolamento. Monzòn, ubriaco perso, parla di un incidente, ma non viene creduto. Neppure il presidente Menem, suo amico, può fare nulla: è condannato a 18 anni di carcere, poi ridotti a 11.
È qui che Carlos Monzòn cerca di cambiare vita: smette di bere, lavora, legge libri, si avvicina alla religione, scrive lettere al piccolo Maximiliano. Un giorno lo va a trovare il suo vecchio amico-nemico del ring, Nino Benvenuti, e l’abbraccio fra i due ex campioni è sincero.

Carlos Monzon
La liberazione

Dopo sette anni di cella, grazie alla buona condotta, gli viene concesso di uscire di giorno dal carcere. Ed è proprio al rientro da un permesso, l’8 gennaio del 1995, mentre viaggia a folle velocità verso il penitenziario, che avviene la tragedia: Monzòn perde il controllo della Renault 19, che si ribalta ai 140 all’ora.
Ai funerali partecipano 20 mila persone, perché l’Argentina profonda non gli ha mai voltato le spalle.
Cori da stadio e striscioni: «Anche se una stella muore – recita uno – la sua luce continuerà a brillare».

 

 

(Per gentile concessione dell’Autore, il racconto è tratto da Fuori dal coro. Eretici, irregolari, scorretti di Giorgio Ballario, Eclettica Edizioni, 16 €)

Giorgio Ballario (Torino, 1964) è giornalista del quotidiano La Stampa. È autore di racconti pubblicati in varie antologie e di dieci romanzi noir, tra i quali cinque della serie “Morosini indaga”, ambientati nelle colonie italiane in Africa negli anni Trenta e pubblicati da Edizioni del Capricorno. Insieme ad altri scrittori nel 2014 ha fondato Torinoir, associazione di giallisti, che nel 2018 e 2019 ha organizzato a Bardonecchia il festival “Montagne in noir”.

ARTICOLI CORRELATI

Rocky Marciano ring

Italiani d’America. Il ring come destino

Hanno fatto fatica per emergere e di molti oggi facciamo fatica noi a ricordare. Sono gli italiani d’America che hanno trovato il loro destino sul ring. Alcuni famosissimi, qualcuno con il nome d’origine, molti con il nome americano, tutti combattenti, tutti a prendere a pugni una vita che li avrebbe voluti ignorare.

Leggi tutto »
Sandro Mazzinghi

Sandro Mazzinghi. Mio padre

Sandro Mazzinghi, pugile italiano tra i più grandi, sei titoli europei, otto titoli mondiali. Un campione sul ring e nella vita, un uomo che non ha mai dimenticato il sudore e i sacrifici che gli fecero guadagnare il successo. Un uomo che non ha mai dimenticato di essere e di fare il padre.

Leggi tutto »
EDITH PIAF E MARCEL CERDAN

Édith Piaf e Marcel Cerdan. L’amore infinito

Lei, Édith, l’usignolo che incantava dal palcoscenico. Lui, Marcel, le bombardier marocain, dio del ring come pochi, tra i più grandi, forse il più grande dei francesi. Édith e Marcel due giganti. Édith e Marcel, un amore che sembrava impossibile, ma capace di diventare infinito.

Leggi tutto »
Secondi. Vite a bordo ring

Secondi. Vite a bordo ring. Il documentario

“È fighissima la vita a bordo ring. Non la cambierei con la vita a bordo di chissà che cosa” lo dice il Maestro Giorgio Maccaroni in “Secondi. Vite a bordo ring”, la serie documentaria ideata e prodotta da Sportmemory in collaborazione con la Wilson Basetta Boxing School. Un racconto dell’universo emotivo che si addensa intorno alle sedici corde, da oggi on line con la sua prima puntata.

Leggi tutto »
Antonio Del Greco

Carlo Ancelotti e la maglietta della felicità

Carlo Ancelotti non ha mai saputo della sua maglietta della felicità. Eppure tra una domenica allo stadio, rapinatori in trasferta, criminali improvvisati e il rapimento di un bambino, quella maglia esiste ed è arrivata al suo proprietario.

Leggi tutto »
Jim Flynn

Jim Flynn. L’italiano di Hoboken

Andrew Chiariglione, Andrew Haynes, Fireman Jim Flynn. Nel gioco dei nomi è sempre lui, l’italiano di Hoboken con il nome americanizzato come faranno tanti altri pugili di sangue e cognome italiano. È sempre lui ed l’unico ad aver mandato ko Jack Dempsey, uno dei più forti di ogni tempo. Questa è la storia di un combattente, non di un vincente, una storia che parte da una foto che dice tutto.

Leggi tutto »