Forse è vero che esistono numeri fortunati. Numeri rincorsi, ambiti, sfiorati e quasi mai raggiunti.
Altre volte, invece, sono i numeri che ci raggiungono da soli.
Come con gli Ascari, padre e figlio, genìa indimenticata di motori eroici, travolti tutti e due dal mistero di numeri ricorrenti e di cui abbiamo già parlato.
Ma oggi è 29 giugno e non possiamo non dedicare un pensiero a Primo Carnera, figlio di un’Italia difficile, quella della gente friulana di Sequals, nel 1906 quando lui nasce poco più di 3.000 anime in cerca di un destino.
Primo, con quel nome che non si usa più, il nome di un’Italia che chiamava i suoi figli per ricordarne il destino di nascita; Primo, Secondo, Settimo, Ultimo. Altri nomi, altro tempo.
Primo, come il più forte.
E lui, Primo Carnera, il più forte lo è stato veramente.
Una storia tutta italiana
Povero di nascita, gli anni della Prima Guerra Mondiale, con il padre richiamato alle armi, lo vedranno persino mendicare.
Eppure cresce bene Primo, ben presto è già il più grande e il più forte dei ragazzini.
Ancora non lo può sapere, ma quel fisico ingombrante sarà la sua fortuna.
A 18 anni Primo fa come tanti, cerca di mordere la vita prima che sia lei ad azzannarlo e raggiunge degli zii in Francia.
Alto, forte, non solo il fisico, ma anche il viso scolpito, così italiano, così vero, Primo lavora nei circhi, gira la Francia in lungo e in largo e per grazia di Dio inizia anche a guadagnare bene.
Un ex peso massimo, Paul Journée, si accorge di lui. Ha fiuto e capisce. L’italiano farà altro. È lui a presentarlo a Léon See che lo ingaggia e gli farà da manager.
Inizia così il viaggio di Primo Carnera nel pugilato.
Prima di essere un numero, infatti, il destino di Primo Carnera è nel quadrato magico, altare pagano dove lui celebra il rito e diventa quello che doveva essere.
Dalla Francia agli Stati Uniti
Combatte, vince, ma non solo: con quel fisico e con quel viso, Primo Carnera è da subito un personaggio.
L’America, in quegli anni, è ancora quella del viaggio attraverso l’Oceano in terza classe, ammassati in camerate dove il lezzo di umanità si attacca alla pelle e si mischia con quello di olio bruciato dei motori che spingono i piroscafi verso Ellis Island.
Per Primo Carnera, però, l’America è qualcosa di diverso. Arriva nel 1929, tempo di grande crisi e di depressione. Il suo cartellino passa di mano. Non necessariamente buone mani, ma a lui interessa poco.
Combatte, vince e anche quando qualcuno ha voluto vincere facile combinando non solo l’incontro, ma anche l’esito, nessuno dubita che Primo Carnera avrebbe vinto lo stesso.
Il 29 giugno
L’appuntamento con il destino è il 29 giugno 1933 al Garden Bowl di Long Island.
Preceduta dal dramma che vede Ernie Schaaf morire quattro giorni dopo il loro match del 10 febbraio al Madison Square Garden, la sfida per contro il campione del mondo in carica dei pesi massimi Jack Sharkey sembra essere in bilico.
Primo Carnera però non ha responsabilità per quella morte e sarà la stessa madre di Schaaf a scrivergli che quel mondiale lo deve combattere anche per il figlio che ha perso.
Il 29 giugno Primo Carnera combatte, vince in sei riprese e, figlio del suo tempo, dal ring saluta il pubblico alzando romanamente il braccio.
È un trionfo. Gli italiani d’America, quelli ancora brutti, sporchi e cattivi, trovano un motivo di riscatto e di speranza e giù lacrime tra dialetti, inglese masticato e criature da crescere.
Questo, però, è solo il primo 29 giugno della vita di Primo Carnera.
Villa Borghese
Il trionfo oltrepassa l’Oceano in un battibaleno.
Sbarcato a Napoli dal Conte di Savoia, il 22 ottobre 1933 Primo Carnera è a Roma nel campo di Piazza di Siena a Villa Borghese dove, davanti a 70.000 persone in visibilio, combatte contro il basco Paulino Uzcudum, campione europeo di categoria, e vince.
Nessuno di quei 70.000, neanche l’ultimo dei ragazzini arrampicati sugli alberi, dimenticherà mai di esserci stato.
La vita dopo
Il titolo di Primo Carnera non durerà molto; lo perderà il 14 giugno 1934 contro Max Baer, proprio dove lo aveva conquistato appena un anno prima.
Primo Carnera però non è solo un pugile, è un idolo. Combatte ancora, fa tournée in Sud America e gli viene data una seconda possibilità per il mondiale.
Il 25 giugno – ancora una volta di giugno – allo Yankee Stadium il suo l’avversario è un pugile che farà storia, Joe Louis, fortissimo. Sei riprese primo del ko tecnico.
La carriera da pugile di Primo Carnera finisce qui.
Il cinema si era già affacciato e ne farà ancora altro, una ventina di film in tutto. Poi c’è la pubblicità. Ci sarà anche la lotta, ma è un di cui nella sua vita.
Il ritorno a Sequals
Primo Carnera è stato tante cose. Pugile e attore, lo sanno tutti. Amante della musica lirica e della poesia, capace di recitare a memoria interi brani della Divina Commedia, questo è leggermente meno ricordato.
La montagna che cammina, uno dei suoi soprannomi, ha un sapore tolkeniano poco sottolineato, ma certo non avrebbe sfigurato nella battaglia finale al Cancello Nero di Mordor contro Sauron.
A me piace invece ricordarlo con il suo altro soprannome, il Gigante Buono, italiano che più italiano non si può.
L’altro 29 giugno
Il 29 giugno del 1967, nel paese che non aveva mai smesso di amare, lo stesso giorno in cui 34 anni prima aveva conquistato il titolo di Campione del Mondo, da tempo malato di diabete, Primo Carnera sorride, indossa i guantoni e si addormenta per affrontare l’ultimo match.
È ancora una volta di 29 giugno che si compie il destino di Primo Carnera, il Gigante Buono.
Coincidenze, parentesi, suggestioni.
Forse niente di più.
Forse.