The swinging London
Gli Shel Carson Combo furono una band musicale formatasi nell’Inghilterra degli anni ’60 che probabilmente neanche quelli della mia generazione, esperti, profondi conoscitori o anche solo amanti della musica rock, hanno conosciuto o ricordano. Dovremmo provare a chiedere a Renzo Arbore se abbia mai avuto notizia di loro. Eppure la sua fortuna (e che fortuna!) quel gruppo la fece in Italia con la vendita in due, tre anni di oltre cinque milioni di dischi, i mitici 45 giri che d’estate, al mare, amavamo ascoltare in compagnia degli amici negli altrettanti mitici mangiadischi, una delle invenzioni più cult di quell’epoca, e 5 album LP.
Si fecero notare con le loro prime apparizioni al The Roaring Twenties, nella Carnaby Street che gli alternativi del resto del pianeta stavano imparando a conoscere. I quattro ragazzi del Gruppo, molto meno noti dei quattro di Liverpool, suonavano in realtà cover, erano davvero bravi, almeno così riportano le cronache dell’epoca, ma sempre di cover si trattava.
The Rokes
Nel 1962, dopo un lungo periodo trascorso ad Amburgo dove ottennero un più che discreto successo, pochi giorni prima di tornare a Londra vennero contattati da Tommy Steele che aveva necessità di una band di accompagnamento per il periodo del suo tour in Italia.
Steele aveva acquisito una certa notorietà nel nostro Paese grazie ad alcuni suoi pezzi inseriti nella colonna sonora di Europa di Notte di Alessandro Blasetti. Dopo Torino, Milano, giunsero a Roma e qui, all’Ambra Jovinelli vennero notati da un certo Teddy Reno che li volle assolutamente come band di appoggio alle esibizioni di Rita Pavone in giro per l’Italia.
Giusto il tempo perché gli Shel Carson Combo imparassero a camminare con le proprie gambe, cambiassero il nome del Gruppo e ottenessero tra il ’66 e l’anno successivo i primi due grandi successi con “Che colpa abbiamo noi” e “È la pioggia che va”.
The Rokes diventarono così i Beatles italiani e Shel Shapiro, frontman della band, un’icona per tutti noi.
San Remo 1967
Ma l’anno in cui i ragazzi entrarono nell’Olimpo della musica cosiddetta leggera fu il 1967 grazie alla partecipazione a San Remo in coppia con Lucio Dalla. Furono i vincitori morali, il loro successo lo ottennero sul mercato della discografia con Bisogna saper perdere e anche grazie ai colpi di tacco dello stivale di Shapiro e al suo accento anglo-italico.
La canzone proseguiva con “…non sempre si può vincere, e allora cosa vuoi?”.
Era qui che volevo arrivare, e con l’occasione spero di aver fatto cosa gradita anche a coloro che come me hanno amato i Rokes e sapevano ancora poco della band.
Wembley e Wimbledon. Italiani diversamente campioni
Bubi Dennerlein, dovremmo aprire un capitolo a parte per questo grande campione (e per suo fratello Fritz), che portò per la prima volta al successo Novella Calligaris nel 1968, a soli tredici anni, con poche parole seppe darle una lezione di vita “sei troppo brava, devi confrontarti con i campioni del mondo, così imparerai anche a perdere”.
E una lezione ci ha dato anche Matteo Berrettini che con il suo sorriso e le sue parole ci ha fatto intendere di saper perdere con grandissima dignità e di sapersi anche rimboccare le maniche. E bravi il Presidente Mattarella e il Premier Draghi che hanno voluto condividere la festa dei vincenti del calcio europeo con il finalista di Wimbledon, trasferendo il messaggio che è altrettanto importante il come si perde.
Wembley. La lezione saltata
Com’è strana la vita, i Rokes, di nazionalità inglese, ottennero il loro maggiore successo in Italia con una canzone cantata in italiano dal titolo Bisogna saper perdere e che oggi, dopo Wembley e Wimbledon, assume un sapore profetico e inascoltato.
Chissà se il popolo d’oltremanica abbia mai sentito questo pezzo e la lezione dei Rokes.