30 ottobre 1974.Quella notte a Kinshasa

Il 30 ottobre 1974, a notte fonda, al centro dello Stade Tata Raphaël non c'è un ring, c'è il Mondo e Alì boma ye non è un coro di tifosi, ma un grido di rivolta.
COVER ALÌ

Non ci credeva quasi nessuno.
Non ci credeva Archie More, un monumento del pugilato, afroamericano anche lui, troppo vecchio aveva detto, troppo vecchio Muhammad Alì per battere George Foreman.
Non ci credevano i giornalisti e neanche quelli del picchetto che reggevano le scommesse
Obiettore di coscienza, renitente alla leva, processato, condannato, licenza di pugile sospesa per oltre tre anni, assolto e poi reintegrato; non era stato facile per Cassius Marcellus Clay diventare Muhammad Alì.
Anche se era stato campione del Mondo dei pesi massimi, anche se era The greatest, il più grande, l’incontro per riprendersi il titolo contro Joe Frazier, combattuto dopo il reintegro, lo aveva perso.
Quel 30 ottobre del 1974, a Kinshasa, Muhammad Alì il pugile, non è il favorito.
Quel 30 ottobre, a Kinshasa, Muhammad Alì il simbolo, ha invece tutto il pubblico dalla sua.

I centomila dello Stade Tata Raphaël sono tutti per lui e a loro, ai centomila, di quello che credono gli altri non importa nulla; loro ci credono tutti, al pugile e al simbolo.
Quella notte, quello non è un ring, è un mondo.
Un mondo semplice, un mondo dove c’è un buono e un cattivo.

Muhammad AlìC’è il nero Muhammad Alì che si è rifiutato di andare in guerra in Vietnam perché, come disse “…sparargli per cosa? Non mi hanno mai chiamato negro.”
Il buono è lui, simbolo del riscatto e della negritudine, quella di Jean Paul Sartre e di Léopold Sédar Senghor.

george foreman

E poi c’è il cattivo, il nero George Foreman, un integrato, uno che piace ai bianchi che lo chiamano negro, uno che a Città del Messico invece di alzare il pugno al cielo come Tommie Smith e John Carlos, quando vince l’oro olimpico sventola bandierine americane.

Tanto basta per far alzare dai centomila allo stadio una voce sola Alì boma ye, Alì boma ye, Alì boma ye.
Alì uccidilo! Alì uccidilo!
Sì, The Rumble in the jungle, la rissa nella giungla, non poteva che essere così.

Muhammad Alì

A Don King, che dopo sarebbe diventato il leggendario organizzatore d’incontri di boxe, andava bene così.
E andava più che bene a Mobutu, il dittatore andato al potere con un colpo di Stato qualche anno prima, che sponsorizza il match per portare Kinshasa sia sotto gli occhi del mondo.

George Foreman è campione del mondo pesi massimi in carica, è forte, ha pugni pesanti, colpisce dappertutto in rapida successione, stende il sinistro, carica il destro e poi ripete, ancora, e poi il montante, uno e due, uno e due e così via fino a che non rompe la guardia e vede l’altro andare giù.  
Proprio come ha fatto con “Smoking Joe” Frazier e Ken Norton, gli stessi che hanno battuto Alì.

George Foreman ha 7 anni in meno di Muhammad Alì, a perdere non ci pensa nemmeno, sono più forte e sono più veloce diceva; prima del match Alì lo ha provocato in ogni modo e lui, li sopra, ci sale anche pieno di rabbia.

Quella notte a Kinshasa

Le prime riprese del match sembrano dare ragione ai pronostici.
A parte uno sprazzo iniziale che fa vedere un Muhammad Alì dei tempi migliori, quello che leggero come una farfalla era capace di pungere come un’ape, è George Foreman il padrone del ring. È lui che colpisce, colpisce duro, colpisce ovunque.

Il pubblico non smette un minuto di tifare Muhammad Alì e Alì boma ye non smette di riempire l’aria.

Foreman - Alì

Alì incassa, alcuni momenti sono drammatici, ma lui si era allenato a lungo proprio per incassare colpi, e questo, Foreman non lo può sapere; lui pensa solo a colpire, Alì pensa a stancarlo.
O forse a sopravvivere.

Alì incassa, gioca con le corde del ring che gli servono per flettersi come un giunco e assorbire la potenza dei colpi che prende, ma anche per lanciarsi in avanti e colpire anche lui e, incredibilmente non smette mai di innervosire Foreman; colpito in ogni modo da pugni che sono montagne, non mi fai male gli dice alla settima ripresa, quando teste e corpi sono vicini.

L’ottavo round

Foreman è una furia, è sempre più stanco, ma non molla mai.
Neanche all’ottavo round, quando tira colpi e anche se alcuni sembrano soltanto appoggiati, costringe all’angolo Alì.
Lo costringe?
È lui a metterlo all’angolo oppure è Alì a decidere di rimanerci?
Muhammad Alì a 32 anni forse non è più una farfalla, ma punge, eccome se punge.

È cosi che mentre i colpi continuano ad arrivare, ma le guardie sono ormai aperte e abbassate, Alì trova la strada del colpo.

Muhammad Alì

Uno e due e tre per uscire dalle corde, le parti si capovolgono, Alì sembra danzare, Foreman lo segue, Alì colpisce ancora, sono quasi a centro ring, il pubblico urla, un gancio destro, la guardia di Foreman è ormai tutta aperta, Alì colpisce ancora fino a quando entra con un montante sinistro micidiale che precede di un attimo un destro d’incontro senza fine. O meglio, il destro.

Alì - Forema Ko

George Foreman va ko.
Sarà la prima e unica volta della sua lunga carriera che lo farà essere per due volte peso massimo campione del mondo.
Ma guardate le immagini, Foreman va al tappeto ma rimane con collo e testa alta perché se il suo fisico è stremato e battuto, la sua testa no, la sua testa vorrebbe ancora combattere.
Il conteggio è inesorabile.
L’incontro finisce lì.

Muhammad Alì è campione del Mondo, lo stadio esplode e tanta è l’energia primigenia richiamata che dopo poco sullo stadio si abbattono pioggia e vento che sconquassano tutto.
George Foreman non la prenderà bene, dirà che era stato drogato, che Angelo Dundee, l’allenatore di Muhammad Alì, aveva allentato le corde del ring per dare più gioco alla flessibilità di Alì.

Ci vorrà del tempo, George Foreman riprenderà la sua carriera straordinaria, sarà ancora campione del Mondo, non si batterà più con Alì anche se dice che lui avrebbe voluto.
Non lo sapremo mai.

We were Kings

Di George Foreman e Muhammad Alì rimane nella storia anche un’altra immagine, un’immagine che segue di 27 anni la notte di Kinshasa.
Siamo a Hollywood.
Il regista Leon Gast e il produttore David Sonenberg vincono l’Oscar per il miglior documentario con We were Kings che racconta la storia dell’incontro, ma che è anche un grande affresco sulla vita di Alì.
Alì e Foreman sono nel pubblico e quando, i ringraziamenti di rito, Leon Guest li chiama sul palco, accompagnati da una standing ovation i due salgono insieme, Foreman un po’ dietro di Alì, pronto ad aiutare il suo amico già attaccato dal Parkinson, perché nel frattempo di due sono diventati amici.
Perché i due erano Re.

Un’altra storia

Di Muhammad Alì ho un ricordo personale.
Alcuni anni dopo, direi 2005 o 2006, rientrando un tardo pomeriggio in un albergo di New York, lo vedo nella hall e quasi non ci credo.
La malattia era andata avanti, lo sguardo era fisso a cercare chissà cosa, a vedere chissà cosa mentre le mani seguivano un loro tempo a parte, forse loro sì diventate farfalle.
Accanto a lui una donna di mezza età, asiatica, difficile dire di dove fosse, forse vietnamita, forse figlia, sorella o moglie di qualcuno che lui non aveva voluto combattere.
Una sua amica li stava fotografando.
Per le due donne probabilmente è stato bello e forse quella foto la conservano ancora da qualche parte.
Per me è stato solo molto triste.
Il Re era nudo e ci sarebbe voluto rispetto.

The Rumble in the jungle ha segnato non solo il pugilato, ma un’epoca.
Ha vinto il più forte, il più intelligente, il più furbo, il più fortunato?
Non credo sia importante.
Ha vinto The greatest, il più grande.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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