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Mister Panzini

Sì, inutile girarci intorno. Sono passati tanti anni dalla prima volta, eppure mi fa ancora effetto quando mi chiamano così. Mister è una parola con dentro un mondo intero, formula magica capace di aprire porte misteriose. Sullo sfondo del quartiere Tuscolano di Roma, questa volta ho deciso di raccontare una storia che conosco meglio delle altre: la mia. La storia di una vita iniziata in un campetto, passata per un campo e proseguita su una panchina. Andata e ritorno di un moto circolare che si chiama vita.
Mister Panzini

Il pallone, che solo dopo diventerà Calcio, si è preso il nostro cuore quando eravamo piccoli, ha segnato le nostre giornate, scandito tempi, pause ed attese. Soprattutto ci ha obbligato a sognare e a non accontentarci mai facendoci fare sogni sempre più grandi. Più grandi di noi, della nostra età e anche di quelle che sarebbero state le nostre vite.
Il pallone aveva un regno, entrarci era bellissimo, uscirne impossibile. Io, ad esempio, penso di non esserne mai uscito.
Nel campetto sotto casa abbiamo passato pomeriggi interi, lunghi, fantastici. Pomeriggi assetati, accaldati, infreddoliti. Pomeriggi che non abbiamo più dimenticato. Tiri, rincorse, scivolate, marcature, tuffi per parare, finte cadute e calci mirati alle caviglie. Inutile mentire, c’erano anche quelli, li abbiamo presi e dati tutti. Ma non era abbastanza darli e prenderli. Dopo mostravamo con orgoglio segni e cicatrici, fossero di calci presi o di terriccio pieno di sassolini strusciato per difendere come ultimi uomini sulla terra il pallone che avevamo al piede. Eravamo tutti bambini, famelici di vita, tutti calciatori, tutti allenatori e “mister” ancor non sapevamo cosa volesse dire.

Avevamo fantasia

Disegnavamo linee dove non c’erano, alzavamo pali immaginari per sostenere traverse inesistenti. Avevamo fantasia. Inventavamo regole tipo vince chi arriva a 15, oppure ogni 3 calci d’angolo è rigore e la palla è alta quando lo dico io.
Non avevamo colorate borracce alla moda o bottigliette di plastica usa e getta. I più attrezzati si portavano una vecchia borraccia militare comprata a via Sannio o a Porta Portese, panno verde e alluminio, acqua calda dopo cinque minuti. In compenso tutti avevamo mani sporche messe a cucchiaio sotto una fontanella e “se sudi, bagnati i polsi prima di bere”. Così ci dicevano a casa. “Se sudi…”, come se non sapessero già in che condizioni saremmo tornati.

Nasce il Campo Patti

Spesso a Cecafumo mancava perfino “la materia prima” e allora la palla era sostituita da qualsiasi cosa si poteva prendere a calci: barattoli, sassi, stracci arrotolati. Poi le cose accadono. Nel Quartiere arriva Don Paolo Rossi, uno che ci credeva allo Spirito del Signore e cercava di dimostrarlo a tutti rimboccandosi le maniche, il primo, non l’ultimo. Fu lui, a prezzo di enormi sacrifici personali, che riuscì a fare il Campo Patti.
Un silenzio assordante di gioia, un vero campo sportivo con una vera società sportiva, al tempo l’Aurora Tuscolano.
È stato così che il mio gioco del pallone è iniziato a diventare gioco del calcio.
È così che ho iniziato a diventare grande quando il mio primo allenatore, Mister Rinaldi, mi disse che non ero particolarmente dotato, ma correvo tanto e sapevo obbedire. Le istruzioni, i comandamenti di quel nuovo tempio pagano, erano inderogabili ordini barbarici.
Tu t’attaccherai a quello più bravo de loro e nun lo farai gioca’ “. Io ho ubbidito e ho fatto solo quello. L’ho fatto per più di vent’anni. Lo feci anche con Claudio Merlo al mitico Torneo Internazionale Nistri e non devo averlo fatto male se ho potuto fare una Serie D.

Mister Panzini
(Io, penultimo in piedi a destra. Ultima partita da giocatore al Campo Patti)

Campo e panca

Una bella esperienza la serie D, anche se è vero che per poterla fare sono dovuto andare a giocare in Ciociaria, a Ceccano. Eravamo in tre di Roma a fare parte di quella squadra della quale i presidenti erano il dottor Annunziata (Scala detersivi) e il dottor Merlo (caseificio). Ogni tanto qualche ritardo nei rimborsi, ma quando me ne lamentai proprio con il dottor Merlo, lui si scusò ci dette quello che ci spettava e ci invitò a passare nel suo Caseificio. Inutile dire che andammo e ne uscimmo con la macchina carica di caciotte e mozzarelle. Inutile anche dire che, dopo aver trattenuto per noi un po’ di tutta quella grazia di Dio, rivendemmo il rimasto ai vari negozi di alimentari della zona. Ne guadagnammo circa due-tre mesi di rimborsi anticipati e inaspettati.
La mia “carriera” in panchina inizia a 40 anni circa con la Fiduciaria ad un Torneo dopolavoro dell’ENAL. Poi arrivarono i primi corsi all’Acquacetosa e a via Tiburtina. In uno di quei corsi arrivai primo e per premiarmi mi mandarono ad un raduno arbitrale a Subiaco.

L’incontro con Roberto Baggio

A Subiaco ero a bordo campo e ad un certo momento mi si avvicinò Roberto Baggio che iniziò a lamentarsi con me del fatto che la FGCI lo aveva incaricato di trovare i perché della crisi del nostro calcio e suggerire i rimedi. “Ebbene” mi disse “di tutto quello che ho suggerito non è stato preso in considerazione nulla ma proprio nulla!”. Io ascoltai attentamente ma, ad un certo punto, non potei fare a meno dirgli “signor Baggio, Robe’…non puoi immaginare che piacere e che onore mi fa parlare con te, ma io credo che stai sbagliando, io so’ Nello Panzini, del Real Tuscolano!!”. Ancora starà a ride’…
L’arcano me lo rivelò Stefano Caira, il Direttore Sportivo che portò Totti alla Roma e che una sera, nella segreteria del Real Tuscolano, mi disse:”Ma lo sa che Lei è la fotocopia di un altissimo dirigente del CONI ?? è incredibile quanto gli somiglia !!“. Allora mi fu tutto chiaro, gli raccontai l’episodio con Baggio e ancora ride pure lui!

La mia scelta

Guareschi, il papà di Don Camillo e Peppone, diceva che chi va spesso nei cimiteri poi finisce con il rimanerci. Io ho giocato d’anticipo e ho pensato che chi va con i vecchi, poi ci diventa davvero. Inutile dire quanti anni abbia, leggendo quello che ho scritto avrete già le idee chiare. Diciamo che il tempo delle scelte non invecchia mai. Tanti si ritirano e passano il tempo in un qualche centro anziani a giocare a briscola o a tressette. Niente di male, per carità, ma non è per me. La mia scelta è stata diversa: sono tornato al punto di partenza. È così che sono qui, a sgambettare in mezzo a un campo di calcio arbitrando le amichevoli di tutte le categorie e a fare tutto il resto che posso. È qui che incontro i miei ragazzi di una volta, oggi impiegati, commercianti, professionisti, ognuno con una vita diversa, ma tutti con una gioia di rivedermi che gli si legge negli occhi.  Se non vi dicessi il piacere enorme che mi fa, mentirei a me stesso. Io per loro sono sempre il Mister, con tutto quello che questa parola evoca in chi ha calpestato i campi di calcio. Un giorno a Fabio Liverani dissi “Fabio, ma che dici? Tu stai allenando in Serie A e chiami Mister me?” e lui, davanti a tutto il pubblico che c’era quel giorno al Moscarelli, risponde “Quello che m’hai insegnato tu, Mister, l’ho tenuto presente per tutta la mia vita!“. Insomma, chiamale se vuoi…soddisfazioni!

Mister Panzini
(Io in uno di questi giorni)

Tempi moderni

L’età di cui sopra, oltre a dire quello che pnso, mi consente anche di fare paragoni. I ragazzi che oggi si allenano con me hanno diversi difetti di postura. Il motivo ce l’abbiamo sotto gli occhi. Noi e loro. Mi riferisco ovviamente a quella protesi funzionale della personalità, ovvero i telefonini. Inseparabili al punto da determinare una postura dominante, testa bassa e spalle incurvate. In soldoni questo significa dinamica respiratoria condizionata con tutto quello che ne consegue in termini fisici e mentali. Un tema vastissimo, ma per limitarci all’esperienza del campo ecco che io ho riportato in auge vecchi sistemi. Ho fatto adattare i “fratini” in modo che, indossandoli, sono costretti a stare un po’ di più con la schiena dritta e le spalle larghe. Per convincerli gli ho fatto fare una semplice prova: “fate un bel respiro così come siete abituati a stare… fatto?? adesso provate a fare lo stesso respiro con le spalle dritte…vedete che vi si apre il petto? quanta aria in più avete preso?”…risposta…”c’hai ragione Nello…è ‘n’artra cosa !!”.
Ma la “mejo” è stata quando, per farli respirare con il naso, cosa che non fanno, gli ho fatto fare il classico giro di campo con l’acqua in bocca. Ovviamente al termine l’acqua dovevano sputarla ai miei piedi… oh, come erano contenti… alcuni di loro mi hanno detto: “a Ne’…me so’ messo paura … perché pe’ la prima vorta ho sentito l’aria che arrivava direttamente ai polmoni e ho pensato… me dovesse fa’ male?!”
Ecco. I tempi cambiano, ma chi c’è passato anche fosse solo per una volta, lo sa bene.
Il tempo al campo non cambia mai. È il segreto della gioventù.

 

Nello Panzini nasce a Roma l'8 agosto del 1947, oggi pensionato Telecom con "buona memoria", si diverte a raccontare lo sport di una volta ed il contesto storico nel quale si praticava. Tuttora tesserato con il Real Tuscolano nel quale, vista l'età, fa quello che può.

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