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Piero Taruffi. Essere vento

Novantadue record di velocità tra automobili e moto, quarantadue vittorie in gare automobilistiche e ventitrè in gare motociclistiche, una creatura - il Bisiluro -, la progettazione di circuiti e libri che hanno fatto scuola. Precursore dell'aerodinamica su strada, nessuno ha mai parlato alla velocità come ha fatto Piero Taruffi. Non aveva segreti, semplicemente lui era vento.
Piero Taruffi

Via Crescenzio, pochi passi e arrivi a San Pietro. Sono i primi giorni di febbraio del 1949 e in città non si parla d’altro. Il matrimonio è stato bellissimo, nessuno credeva che se ne potesse fare uno così a Roma. Un paio di settimane fa Linda Christian e Tyrone Power si sono sposati nella chiesa di Santa Francesca Romana, lei bellissima nel vestito cucito da quelle ragazze di piazza di Spagna, le sorelle Fontana. Giornali, cinegiornali, radio; tutto il mondo ne ha parlato.
I quattro uomini parlottano tra loro mentre camminano verso il caffè di piazza Risorgimento. Vestono tute da lavoro, sembrano  meccanici e a guardarli bene hanno occhi gonfi di qualche notte con poco sonno. Sono stanchi, ma preso il caffè torneranno in officina dove un altro paio di loro sono rimasti a lavorare. In piazza girano le Topolino, le Motoleggere Guzzi e parecchie biciclette, nel mezzo i tram aspettano al capolinea, sui marciapiedi qualche anziano intabarrato, ragazze che si stringono nei cappottini e signore chiuse nelle pelliccette di astrakan. A tutto questo, i quattro sembrano estranei.

Taruffi in officina
(1948. Piero Taruffi nel garage-officina di via Crescenzio)

Carlo, Piero e gli altri

Piero, ci siamo” dice uno. “Sì Carlo, ci siamo. Venerdì prossimo, il 19, ma io voglio essere lì il giorno prima, forse anche due se facciamo in tempo”. “Faremo in tempo, faremo in tempo” risponde l’altro. “E voglio fare meglio di novembre”, insiste.
Carlo lo sa che Piero è così. Perfezionista, attento al dettaglio, ambizioso. Lo lascia dire perché lui già lo sa che quel venerdì andrà meglio di novembre, anche se novembre non è andato affatto male.
Carlo è Carlo Gianini, Piero è Piero Taruffi. Amici da lungo tempo, ingegneri, visionari. Nel 1949 Piero Taruffi è già un divo, uno dei più forti piloti in circolazione, un recordman. Il meglio, però, deve ancora venire.
A via Crescenzio Piero ci abita. Sotto casa ha un garage che ha trasformato in officina. Ma forse non è esatto. Quello non è né un garage, né un’officina. Quello è l’antro di un dio del vento e questa, forse, è la sua storia.

Volpe Argentata
(Piero Taruffi, la Volpe argentata)

Il genio del tempo

Innegabile. Forse annoiati dal troppo silenzio che avevano intorno, gli dei dell’Olimpo dovevano aver deciso che in quella fessura di tempo tra l’800 e il ‘900 dovesse spirare un vento travolgente, un genio incendiario di anime ed emozioni: si chiama velocità e cambierà tutto.
Marinetti lo intuisce, ne viene soggiogato e scrive Il Manifesto del 1909. Nulla sarà più come prima.
Piero Taruffi nasce nel 1906, il genio del tempo – la velocità – gli sorride, se lo prende subito e non lo lascerà più.
Visionario, tecnico, coraggioso. Così è Taruffi. È difficile fare sintesi di uomini straordinari. Nel caso di Piero Taruffi ci aiutano i numeri, però.  Sì, i numeri hanno una portata che supera le parole. I numeri di Piero Taruffi dicono che ha stabilito 53 record internazionali motociclistici e 39 record internazionali automobilistici. Tutti record di velocità. Tempo e distanza per lui non sono metriche, ma categorie dello spirito. Nessuno come lui, né prima, né dopo.
La prima corsa di Piero è a 17 anni, nel 1923, l’ultima a 51, nel 1957. L’ultima, ne parleremo, è una scelta d’amore.  Nel mezzo, una vita intensa e le sue pietre miliari.

Essere vento

Piero Taruffi aveva capito da tempo che la velocità non era solo questione di spinta e potenza, ma anche di resistenza. Il corpo veloce doveva scivolare, fendere, tagliare il vento. Doveva essere vento. È così che già nel 1931 perfeziona degli studi di aerodinamica e li declina, proprio insieme a Carlo Gianini, in un assetto motociclistico particolare per una Norton 500. Mutuando concetti aeronautici, carena le forcelle anteriori e la ruota posteriore, ridimensiona e sfina il serbatoio, arretra il sellino. Al Gran Premio di Monza il giro più veloce è il suo. Non basta.  Questa è solo una prima tappa.

Truffi Rondine 500
(1937. Piero Taruffi su Gilera Rondine 500)

Il caso Rondine

La seconda tappa del suo cammino si chiama Rondine 500. Una regina, non solo una moto, la Rondine è un capolavoro di innovazione motoristica nato nei primi anni ’20 da due giovani ingegneri romani, Carlo Gianini e Piero Remor. Vicende varie vedranno il motore passare attraverso varie sigle industriali – GBR, Opra, CNA – prima di arrivare in Gilera.
Il momento di snodo per la Rondine è quando Piero Taruffi, collaborando con la CNA, la declina in chiave aerodinamica.

Il 12 maggio 1935 è lui che la porta a vincere il Gran Premio di Tripoli e che, il 19 novembre, sulla Firenze-Mare fissa il record mondiale assoluto di velocità toccando i 244,316 km/h.  Ed è sempre lui che il 21 ottobre 1937 sulla Brescia-Bergamo, porta la Rondine ormai diventata Gilera e con motorizzazione potenziata, a battere quindici record, tra cui quello di velocità con 274,181 km/h.
Fate caso. Firenze-Mare, Brescia-Bergamo. Strade, autostrade per i canoni dell’epoca. Sfidare la velocità, su quell’asfalto e in quelle condizioni, era un patto con Dio. O con gli dei. Per Taruffi, sicuramente era un patto con il suo genio.

Tarf

Il Bisiluro è una storia a parte. Impossibile da definire, ma con le sue quattro ruote, il Bisiluro è tecnicamente un’automobile. Soprattutto, però, il Bisiluro è intuizione, studio e coraggio. Intuizione per averlo immaginato; studio minuzioso, da ingegnere meccanico quale Taruffi era, per averlo realizzato; coraggio, per averlo guidato oltre i limiti.
Quattro ruote, due corpi d’acciaio affusolati, uno per il motore e uno per il pilota, due staffe centrali che li uniscono, circa 250 chili di peso schiacciati a 80-90 centimetri da terra. Quattro diverse motorizzazioni motociclistiche: un Guzzi 500, poi un 250, un 350 e un 500 Gilera e infine, sul secondo modello, un 1720 Maserati.

Piero Taruffi deposita il brevetto nel 1946; questo ircocervo lo chiama TarfPer tutti sarà il Bisiluro e segnerà un’epoca.

Bisiluro 1948
(1948. Tarf 1. La prima uscita del Bisiluro)

I giorni del Bisiluro

Piero Taruffi e il Bisiluro sono intesa alchemica, anime pressofuse, uno e l’altro, uno con l’altro e straordinari sono i loro giorni.
Alla prima uscita ufficiale, il 28 e 29 novembre 1948 sulla Brescia-Bergamo, Taruffi fissa sei record internazionali e fa capire da subito che il Bisiluro non è solo un esperimento.
Il 18 febbraio 1949 è sulla fettuccia di Terracina che non è una solo una strada, ma arteria pulsante di un dio veloce. La fettuccia di Terraccina è un tratto della via Appia, la regina viarum che univa Roma a Capua quando la storia era giovane e il mito di Enea sbarcato su quelle coste del Circeo ancora vivo. Intorno c’è l’Agro Pontino bonificato a braccia e sudore, poderi, canali e casali.
Lì, in mezzo a tanta ansia di futuro, Piero Taruffi e il Bisiluro hanno scritto la storia della velocità.

Non una, ma più volte. Dopo i record del 12 febbraio 1949 con il Bisiluro Tarf 1motorizzato Gilera, ci sono quelli del 20 marzo 1951 con il Bisiluro Tarf 2 motorizzato Maserati.
Su quella carreggiata larga 7 metri, leggermente a dorso di mulo perché così si facevano le strade a mestiere un tempo, nel 1951 Piero Taruffi bussa alla primavera incalzandola a 313 km/h. Quel 20 marzo 1951 lui non è più veloce del vento, lui è il vento.  E lo sarà ancora fissando altri record su circuito, nel 1953 a Monthlery in Francia e a Monza, l’ultimo nel 1957, in notturna.

Bisiluro Tarf 2
(1951. Piero Taruffi con ll Bisiluro Tarf 2 sulla fettuccia di Terracina)

Anni cinquanta

Aperti con i record del Bisiluro, gli anni cinquanta per Piero Taruffi sono formidabili. Nel 1950 debutta in Formula 1 con Alfa Romeo, poi entra in Ferrari e nel 1952 sarà terzo in classifica mondiale. Nel 1950 debutta alla Carrera Panamerica, la vince nel 1951 su Ferrari 212 e ne correrà tutte le cinque edizioni. È su queste strade che definire pericolose è un eufemismo, che iniziano a chiamarlo Volpe argentata.
Nel 1954 vince la Targa Florio su Lancia D24, nel 1956 la 1000 km del Nürburgring, nel 1957 la 1000 Miglia su Ferrari 315. È artefice dei successi della Gilera, di cui lascia la direzione sportiva solo nel 1955, ma anche della grande storia motoristica della Cisitalia. Si dedica alla divulgazione e al giornalismo; nel 1953 pubblica “Tecnica e pratica della guida automobilistica da corsa”, testo oggi introvabile e di culto.
Accade anche altro. Accade che il 12 aprile del 1952, nella chiesa di Piazza di Siena, nel cuore di Villa Borghese, Piero sposa Isabella. Alla promessa dell’altare presto se ne aggiungerà un’altra, la promessa della 1000 Miglia.

Taruffi 1000 Miglia
(1957. Piero Taruffi vince la 1000 Miglia)

L’ultima 1000 Miglia

Siamo nel 1957. Piero Taruffi ha 51 anni, non è più ragazzino.
La 1000 Miglia è faticosa, richiede concentrazione, lucidità, resistenza fisica e mentale. Ne ha corse già 15 edizioni; terzo assoluto nel 1933, primo di categoria nel 1938 e nel 1940, poi una lunga serie di ritiri.
A 51 anni quel titolo gli manca e sa che non ha più molto tempo per vincerlo.
Nessuno può sapere però che il 12 maggio, alla curva di Guidizzolo, finirà anche il tempo della 1000 Miglia. A Guidizzolo si fermano per sempre Alfonso de Portago, il suo co-pilota Edmund Nelson e nove spettatori assiepati per vedere passare i bolidi, tra loro cinque bambini.
Isabella non avrebbe voluto che Piero la corresse ancora. Lui sa che non può rinunciare, ma da uomo di sfida le dice “Corro, vinco e smetto per sempre”. Dall’Olimpo quegli dei annoiati che gli avevano assegnato il genio della velocità, applaudono.
Piero Taruffi vince la 1000 Miglia del 1957, l’ultima edizione competitiva. Dal giorno dopo la sua vita sarà diversa. Aveva promesso, ha mantenuto.

Piero Taruffi
(Piero Taruffi)

Sebring ‘54

Uomo di successo, a me piace ricordare Piero Taruffi  per un altro episodio. Non un successo, non in senso stretto almeno.
Siamo nel 1954. A Sebring, Florida, si corre la quarta edizione della 12 Ore. Gara dura, tappa del Campionato Mondiale Sport.
Il 7 marzo Piero Taruffi su Lancia D24 è lì. Sulla livrea rossa spicca il cerchio bianco che incastona il numero 38. Copilota, il francese Robert Manzon.
Alle 10 del mattino di un venerdì freddo e piovigginoso, cinquantanove macchine sono alla partenza. Tra queste, quattro Lancia e tutte schierano equipaggi temutissimi: la numero 36 è con Manuel Fangio ed Eugenio Castellotti, la numero 37 è con Alberto Ascari e Luigi Villoresi, la numero 39 è con Porfirio Rubirosa e Gino Valenzano.
Fino a sera le Lancia sono quasi sempre in testa, ma un problema ai freni ferma la 37 e  un problema al cambio ferma la 36. Nel buio di Sebring un monocolo guida la corsa. Davanti a tutti, con un solo faro acceso, è la Lancia di Taruffi. Il regolamento di gara però non contempla la suggestione; il direttore minaccia bandiera nera se la macchina non si ferma. Il richiamo ai box è d’obbligo, la sosta è di pochi attimi, nulla di più, poi si riparte. Poi accade tutto. Accade che mentre è ancora in testa, il motore pianta la Lancia. Robert Manzon molla e va a piedi verso i box. Piero Taruffi no. Piero Taruffi spinge la macchina fino ai box e dopo la spinge ancora verso il traguardo. Lo taglia così. A spinta. Aveva un tale vantaggio che, nonostante tutto, sarebbe quarto in classifica finale. Naturalmente non conta ed è squalificato. Non vince, ma giganteggia. Proprio come Ralph De Palma nel 1912 a Indianapolis.

Piero Taruffi Sebring

Un gigante

Ecco, dei record ho già detto, delle 42 vittorie in gare automobilistiche e delle 23 in gare motociclistiche e della progettazione dell’Autodromo di Vallelunga, dico ora. Alla fine della storia ho trovato però anche la sintesi che all’inizio mi sfuggiva. Una sola parola, un solo concetto. Un gigante, Piero Taruffi è stato un gigante.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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