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Artica II. Le mie regate del 1961

Agosto 1961. Tre settimane su Artica II, gioiello di Marivela, le regate Monaco-Séte e Sète-Ajaccio, mare, vento, imprevisti, una geniale iniziativa nel finale di regata per una bella vittoria di classe, amicizie vecchie e nuove, tutte per una vita. Dalle pagine del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche una storia di vela raccontata in prima persona.
Artica II

Dal Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale. Dicembre 2016, n. 52

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Ero destinato a Catania, presso l’87° Gruppo Aereo Antisommergibili e svolgevo la mia attività di volo con l’S2F quando ricevetti, nella primavera del ’61, una lettera di Gianni Pera, che mi proponeva di fare con lui una regata d’altura con Artica II in agosto. Mi dava tutti i particolari della regata, che sarebbe stata in due manche, la prima da Monaco a Séte e la seconda da Séte ad Ajaccio, e mi pregava di fare tutte le pratiche per l’assegnazione della barca perché, secondo la normativa dell’epoca, non poteva chiederla lui per regate all’estero, non essendo più in servizio attivo. Mi informava che con lui sarebbe imbarcato l’Ingegner Zamorani e mi chiedeva di completare l’equipaggio.

Marivela

Mi diedi subito da fare con Marivela e trovai la massima disponibilità.
La barca mi fu assegnata e trovammo la soluzione migliore per l’equipaggio: sarebbe stato composto da quattro aspiranti guardiamarina della quarta classe (uno di più di quelli necessari per completare l’equipaggio standard), che l’Accademia avrebbe designato fra coloro che si erano particolarmente distinti nella vela agonistica nei quattro anni di corso e che avrebbero completato l’iter accademico in tempo utile per imbarcare su Artica II per la regata.

L’equipaggio di Artica II

Ci ritrovammo alla Sezione Velica di La Spezia a fine luglio con Gianni Pera, Gherardo Zamorani (1) e i quattro aspiranti, ormai promossi guardiamarina. La barca era pronta e, appena completate dotazioni nautiche e viveri, partimmo per San Remo, dove avremmo imbarcato l’ottavo membro dell’equipaggio, Enzo Brancaccio, caro amico, compagno di corso in Accademia e mio prodiere di Star. Poco vento ed un mare fastidiosissimo, soprattutto per uno dei guardiamarina che si dimostrò, almeno in quell’occasione, il classico “naupatico incoercibile” e fummo costretti, con il suo consenso, a sbarcarlo all’arrivo. Del resto, l’equipaggio standard di Artica era di sette persone e quindi non ci fu bisogno di sostituirlo (2).

Artica II - l'equipaggio
(L’equipaggio di Artica II: Paolo Giliberti, Enzo Brancaccio,Giovanni Iannucci, Giorgio de Strobel e Gianni Pera. Mancano in foto Gherardo Zamorani e Riccardo Gorla)

Appuntamento a Monaco

Proseguimmo subito per Monaco dove trovammo, già riuniti, gli altri diciassette concorrenti, fra la quali le italiane Xingu di Gianni Lancia (3), Sumbra di Max Boris, Susanna di Giuseppe (Ciro) Brainovich e Boomerang. Fra le straniere, la Statunitense Pacifica, di Giannini, e le Francesi Stemael, Odin e Croc Blanc. Tutte belle barche che rappresentavano, quasi al completo, quanto c’era di meglio nella vela d’altura in Mediterraneo a quei tempi. Artica aveva due certificati di stazza, con e senza elica – a quei tempi non era obbligatorio avere un motore di propulsione funzionante – e, durante la sosta, decidemmo di iscriverci con il certificato “senza”. Sfilammo asse ed elica, le impacchettammo e le stivammo.

Artica II al via

Alle 11.00 del 2 agosto venne data la partenza con un venticello leggero da SW ed il solito mare fastidioso che Artica non gradisce affatto. Durante la notte, in vista delle Isole Hyères, dopo un breve periodo di bonaccia, il vento girò a NW e cominciò ad aumentare, fino a costringerci a terzarolare e cambiare yankee e trinchetta. Era una classica “mistralata” che, procedendo, diminuì d’intensità e girò a Nord, consentendoci di lascare gradualmente in rotta per Séte, ma di poter usare entrambe le nostre armi migliori, spinnaker e carbonera, solo nelle ultime miglia. Alle 09.40 del giorno 4, tagliammo il traguardo un po’ stanchi e insoddisfatti del prevedibile risultato quando vedemmo Susanna e Stemael già ormeggiate e rassettate. Un riscontro positivo tuttavia c’era: i guardiamarina erano stati eccezionali, sia per la competenza dimostrata, sia per come avevano reagito al mare ed alle condizioni piuttosto dure della prima parte della regata.

I primi esiti

In banchina avemmo la conferma dei risultati ed apprendemmo che molti dei nostri concorrenti avevano avuto problemi anche seri. Xingu era arrivato primo in reale, ma aveva dovuto cedere la vittoria in compensato a Pacifica, anche a causa della rottura di buona parte dei garrocci della randa, che aveva comportato quasi un’ora di lavoro, ormeggiati ad una boa nella baia di La Ciotat. Boomerang si era ritirato per la rottura dell’albero al largo di Marsiglia e Susanna era andata ad impantanarsi di notte, davanti alla foce del Rodano, riuscendo a liberarsi solo dopo quasi un’ora di vani tentativi.
Cercammo di consolarci per il modesto risultato pensando che c’era la prova d’appello. Il distacco che ci avevano dato in tempo compensato Susanna e Stemael era minimo ed il risultato finale sarebbe stato la somma dei due. Avremmo non solo dovuto mettercela tutta, ma avere delle condizioni più favorevoli alle singolari caratteristiche di Artica II ed anche un pizzico di fortuna.

Il piacere di un breve soggiorno

A Séte rimanemmo solo tre giorni e, per il piccolo paese, di poco più di duemila abitanti, costituimmo una insolita attrazione. A quei tempi e in quel posto un po’ fuori mano, il turismo nautico era quasi inesistente e avere diciotto belle barche – ritiratosi Boomerang ci aveva raggiunto Bembow, dell’Ingegner Recchi, mantenendo il numero invariato – ormeggiate al centro del paese era senza dubbio un evento eccezionale. Il paese era grazioso, ma i dintorni, la regione del Languedoc-Roussillon, apparivano piuttosto piatti e desolati. In regata non avevamo avuto avarie e a bordo non c’era quasi niente da fare per un paio di giorni. “Sguinzagliati” i guardiamarina, noleggiammo un’automobile, ci procurammo delle carte stradali e, con Enzo alla guida, io “navigator” e Gianni e Gherardo seduti comodamente dietro, partimmo alla scoperta dei dintorni. Fu molto più gradevole ed interessante di quanto ci saremmo aspettati e trovammo la cucina, un po’ più “naturale e meno arzigogolata di quella classica francese, molto gradevole. Soprattutto il pesce ed i molluschi erano freschissimi e sempre ben cucinati.
Visitammo la vicina Carcassonne, con la sua cittadella fortificata ed il secondo giorno ci spingemmo un po’ più lontano, in Provenza, e ci fermammo a Montpellier e poi in un paesino delizioso sul mare, Le Saintes Maries de la Mer, anch’esso, come Séte, di poco più di duemila abitanti. Caratteristica e singolare la chiesa, costruita intorno al X secolo, che sembra più una fortezza contro le scorribande dei pirati saraceni, con la sua unica navata disadorna, la torre di avvistamento, le feritoie ed i merli. All’interno anche un pozzo per le riserve d’acqua in caso di assedio. Sul fianco della chiesa, un bell’esemplare della Croce della Camargue che rappresenta le tre virtù teologali: Fede, la croce, Speranza, l’ancora e Carità, il cuore.

Croce Camargue
(La Croce della Camargue)

La premiazione

Fra una gita turistica e l’altra, andammo, naturalmente, anche alla premiazione, dove noi eravamo solo “spettatori” con il nostro misero terzo posto di classe nella prima manche. Fu una bella manifestazione, con il discorso di René Levainville, Presidente dell’Union Nationale pour la Course au Large (UNCL) e Vice Presidente dello Yacht Club de France, seguito da quello di Guido Giovanelli, Vice Presidente dello Yacht Club Italiano e regatante nell’equipaggio dello Xingu. Terminate le formalità e la consegna delle coppe, si passò alla cena. Dopo una serie di antipasti assortiti, vedemmo arrivare quintali di grosse cozze, mentre si riscaldava sul fuoco un enorme piastra metallica, che fu presto quasi rovente e cominciò ad essere ricoperta dagli ottimi molluschi a ondate successive.
L’atmosfera ci sembrò ideale per riprendere i buoni rapporti con l’equipaggio del Susanna, che sprizzava gioia da tutti i pori per la vittoria. L’anno precedente, alla fine della Cannes – Ischia, avevano protestato contro Artica perché non aveva i fanali di via accesi negli ultimi bordi prima dell’arrivo. Era vero, le batterie erano scariche, cosa frequente su Artica II, ma a poppa c’era un flash sempre acceso e il verde e il rosso erano alternativamente mostrati con un altro flash, coperto dal rosso o dal verde della Bandiera nazionale. Da parte nostra c’era stata un po’ di preoccupazione fino a quando apprendemmo che la protesta era stata respinta ed il presidente della Giuria aveva criticato piuttosto duramente l’iniziativa di Susanna di protestare (4).

Verso Ajaccio

Il 7 agosto, la partenza per Ajaccio pose fine agli ozi di Séte ed iniziammo la seconda gamba, di 250 miglia con un tempo splendido, mare calmo e poco vento dai settori meridionali, situazione che si protrasse poi fino all’arrivo. Nel pomeriggio di due giorni dopo eravamo in vista della costa della Corsica e sembrava, dalle imbarcazioni non tanto lontane e identificabili, che ci fossero poche speranze di recuperare il ritardo accumulato nella prima regata. Poco prima dell’imbrunire, Gianni mi chiamò dabbasso e mi disse che, se volevamo avere una chance di vincere la regata, avremmo dovuto accostare a sinistra appena si fosse fatto buio, perché gli altri non ci vedessero, e dirigere per il Passe des Sanguinaires, accorciando notevolmente il percorso. Mi informò che aveva già consultato il portolano francese, che sconsigliava il passaggio di notte. Il faro all’estremità SW delle isole si sarebbe visto, ma ci sarebbe servito poco o nulla, perché al traverso, e di prora non ci sarebbero stati segnalamenti luminosi. Riteneva il rischio accettabile, ma poiché il responsabile di Artica II ero io, molto correttamente, mi disse che la decisione toccava a me.

Artica II piani di costruzione
(Artica II. I piani di costruzione)

L’idea geniale

Non ebbi alcun dubbio e risposi subito che mi sembrava un’idea geniale e che avremmo fatto la massima attenzione per rendere minimo il pericolo di toccare il fondo. Aggiunsi che la velocità molto bassa (facevamo tre nodi scarsi) rendeva innocua anche un’eventuale toccatina.
Messi tutti al corrente della decisione e stabiliti i compiti che ciascuno avrebbe dovuto svolgere durante il passaggio, al crepuscolo cominciammo ad accostare gradualmente a sinistra e, al buio, assumemmo la nuova rotta. Quando eravamo ormai a poche centinaia di metri dal passo subentrò un elemento nuovo ed imprevisto. Il vento, al traverso largo, cominciò ad aumentare e ben presto la velocità salì a cinque nodi abbondanti. Non vedevamo assolutamente nulla, complice il cielo coperto e quindi senza neanche il tenue chiarore stellare. Confesso che avvertii un po’ di preoccupazione, ma durò poco e fu dissipata del tutto, quando già stavo per far lascare le scotte di yankee e trinchetta per ridurre la velocità, dalla voce calma del Guardiamarina Giliberti: “Vieni un po’ a sinistra, abbiamo la prora sulla punta e vedo anche l’isolotto a dritta”. Una vista eccezionale che gli consentiva, unico dei sette, di vedere chiaramente la Point de la Parata e l’Ile de Porri.

Artica II naviga a vista

Guidati dal nostro “uomo radar”, passammo in velocità ed avemmo anche la fortuna, nella bonaccia che sembrava persistesse al largo, di essere accompagnati da una bella brezza costante, che variava solo in direzione, seguendo l’andamento della costa, e che prendevamo al lasco o di bolina, ma senza mai dover bordeggiare. Tagliammo l’arrivo qualche ora prima dell’alba e in porto trovammo solo Xingu – apprendemmo poi che era passato anche lui dal Passe des Sanguinaires, ma con la luce del tardo pomeriggio – ed un paio di la Classe.

Primi della classe

Potemmo goderci anche più di qualche ora di sonno prima di essere svegliati dall’arrivo degli altri, che cominciarono ad apparire in porto a giorno fatto, dopo aver trascorso una triste notte in bonaccia e ariette. Il nostro tempo compensato, aggiunto a quello della prima regata era più che sufficiente per classificarci al primo posto nella seconda classe.
Nel primo pomeriggio, tutta la flotta era all’ormeggio, furono pubblicate le classifiche e la sera ci fu una bella cerimonia di premiazione, anche se non c’erano le cozze. Xingu aveva recuperato lo svantaggio su Pacifica – forse proprio grazie al passaggio dal Passe de Sanguinaires – e, primo assoluto in compensato, si era aggiudicato la “Losange d’Or”, quell’anno il più ambito trofeo del Mediterraneo per la vela d’altura.
Noi di Artica II , con la bella coppa per il primo della 2a Classe, fummo sportivamente applauditi soprattutto dall’equipaggio del Susanna e Ciro, subito dopo la premiazione, venne ad invitare Enzo e me a fare con ­loro la Regata dei Tre Golfi.

Un giorno di vacanza

Avevamo ancora sufficienti giorni di licenza ed accettammo con piacere. Nel pomeriggio, prima della premiazione, Artica, che avremmo dovuto consegnare a Napoli al Comandante Bini, era stata sistemata in assetto da crociera e i guardiamarina avevano rimesso a posto l’asse e l’elica, un’operazione che non sembrava essere particolarmente complicata, anche perché l’avevano smontata loro. La mattina dopo, salutati Gianni e Gherardo che tornavano a Roma, imbarcati viveri e bevande, decisi di prenderci un giorno di vacanza e di partire presto l’indomani. Era una bella giornata di sole, i giovani avevano conosciuto delle ragazze e proposero di invitarle a bordo per una veleggiata nella baia, un bagno di mare e colazione. La proposta fu accolta e in tarda mattinata eravamo in mare. C’era una leggera brezza e dopo poco alzammo un po’ di vele e fermammo motore, dirigendo per un punto di fonda vicino alla costa, dove fare bagno e colazione.

Sorpresa dabbasso

Poco prima di arrivare nella baia dove avevamo deciso di fermarci, uno dei giovani scese dabbasso per prendere del vino da servire come aperitivo, ma si trovò immerso nell’acqua fino alle caviglie in mezzo ai paglioli che galleggiavano. Segnalata l’emergenza, lo raggiungemmo, dopo aver rassicurato le nostre ospiti che non c’era alcun pericolo. Messa subito in moto la pompa elettrica di sentina – le batterie erano rimaste, per fortuna, all’asciutto – non ci volle molto per scoprire la via d’acqua. Dal foro dove avrebbe dovuto essere l’asse dell’elica, insieme all’acqua, entrava la luce! Asse ed elica non c’erano più e la flangia con la sua guarnizione non si trovava. Ci arrangiammo con un tappo di sughero coperto di varie passate di nastro isolante per aumentarne il diametro e la “falla” fu sistemata. Poco dopo la pompa completò l’esaurimento e restava solo da dare una buona sciacquata per togliere il sale, cosa che potevamo rimandare a più tardi.

Cercare di recuperare asse ed elica sarebbe stata pura follia

I fondali erano alti e, del resto, non avevamo alcun elemento per stabilire dove le avevamo perdute. Proseguimmo dedicandoci alla gita, che fu un successo. Bagni e nuotate in un’acqua chiara e pulita, seguite da un’ottima colazione, preparata e servita dai guardiamarina, annaffiata da ottimo vino e seguita da eccellente caffè.

Aspettando la  brezza

La mattina dopo, Enzo ed io ci svegliammo abbastanza presto e andammo a far colazione a terra, lasciando dormire i giovani, che avevano fatto le ore piccole a terra con le loro amiche. Non c’era un alito di vento e, senza le appendici utili del motore, cosa alla quale eravamo comunque abituati, dovevamo aspettare che si mettesse per intraprendere la lunga navigazione, di poco meno di 300 miglia, che ci separava da Napoli.
In tarda mattinata si mise una bella brezza da ponente. I giovani avevano intanto sciacquato tutta la barca, dentro e fuori, ed imbarcato l’acqua, stivato i viveri che avevamo acquistato e potevamo andare. Con il vento che tendeva a rinfrescare, disormeggiammo e, di bolina lasca, in un paio d’ore doppiammo Capo di Muro, lascammo le scotte, alzammo spinnaker e carbonera, dirigendo per Capo Senatosa e poi, con il vento che aumentava, per le Bocche, che passammo all’imbrunire con la classica ponentata, al limite dello spi, che rimase su senza problemi.
Temevo che il vento avrebbe potuto lasciarci una volta in Tirreno, ma avemmo fortuna.  Anche se diminuì di intensità, continuò a soffiare da Ponente e, dopo un giorno e due notti di piacevole navigazione, all’alba eravamo in vista di Capri, avendo fatto, da Ajaccio, una media di quasi 6 nodi. Entrammo nel Golfo e continuammo, dirigendo per la sezione velica della Marina al Molosiglio.

Artica II
(Artica II, anni dopo. Photo credit: Marina Militare)

Incontro nel Golfo

Ero molto imbarazzato pensando a dover consegnare Artica II senza propulsione meccanica, quando vidi uno star con lo scafo rosso, quindi quasi sicuramente di Marivela, che veniva su di bolina, dirigendo verso di noi.
Quando eravamo ad un centinaio di metri di distanza, riconobbi il Comandante Bini (5) e la moglie, Maria Vittoria. La mia prima reazione istintiva fu: “E ora chi glielo dice?” ed Enzo rispose prontamente e correttamente: “Tu, che sei lo skipper!”. Era giusto e mi preparai alla “confessione”. Avvicinatisi, ci salutammo e loro virarono di bordo, procedendo parallelamente a noi, sottovento, a pochi metri d: distanza. Sputai il rospo, spiegando come era successo e mi aspettavo una reazione, almeno minima di meraviglia o disappunto, anche se sapevo che Bini era un gentiluomo e che sarebbe stata più che misurala. Con mia grande meraviglia la risposta fu: “E che importa, tanto siamo abituati ad andare solo a vela con Artica”.

Artica II e le amicizie per sempre

Dopo poco, ormeggiate le barche alla sezione velica e seduti comodamente in un bar vicino, raccontai tutti i particolari dell’incidente e…finì a risate e libagioni offerte, naturalmente, da me. Nel pomeriggio, rassettata la barca e raccattate le nostre cose, ci separammo. Eravamo stati quasi tre settimane insieme, tre belle settimane su Artica II nelle quali avevamo avuto un po’ di tutto ed avevamo rinsaldato con i vecchi amici e stabilito con i nuovi un rapporto di amicizia e reciproca stima che sarebbe durato per sempre. Enzo ed io avevamo ancora sei o sette giorni di licenza e ci preparammo al trasbordo sul Susanna per partecipare a quella che sarebbe stata la mia seconda Regata dei Tre Golfi.

Milazzo, 3 settembre 2016

 

Note:

  1. Gherardo Zamorani, caro e stimato amico, sportivo nel nuoto e nella vela, entrambi praticati attivamente fino a tarda età, è stato, per molti anni, armatore di una bella barca, Madifra, dal nome dei tre figli, Marina, Diego e Franco. Varata nel 1965 e attiva ancora oggi fra le barche classiche registrate dall’AIVE, è lunga 14,80m armata a cutter, progettata da Laurent Giles (dello stesso progetto Susanna e Raggio Verde, anch’esse presenti nelle regate di quel periodo) e costruita dal cantiere D’Este in legno stagionato per trent’anni. Nella sua attività agonistica, molte vittorie in varie regate ed onorevoli piazzamenti in molte edizioni della Giraglia. Nella sua attività fra gli yacht classici dell’AIVE, un 3° posto in un recente campionato CIM.
  2. La composizione dell’equipaggio di Artica II era la seguente: Tenente di Vascello Giovanni Iannucci, responsabile della barca, Gianni Pera, skipper, Gherardo Zamorani, Tenente di Vascello Enzo Brancaccio, Guardia Marina del Corso “Strali” (appena usciti dall’Accademia) Giorgio de Strobel di Campocigno, Paolo Giliberti e Riccardo Gorla. Quest’ultimo avrebbe perso la vita cinque anni dopo, nel tragico affondamento dell’Orsa Minore, insieme ad altri tre membri del suo equipaggio (si salvò solo uno di essi) nel corso di una gamba della Regata dei Tre Dipartimenti del 1966. Le caratteristiche di questa regata interna della Marina, che si svolgeva ogni anno, sono riportate nella Nota 6 del Capitolo delle mie Memorie “1956 – Artica II”, pubblicato sul Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche (CSTN) N° 8.
  3. Giovanni (Gianni) Lancia (1924 – 2014), ingegnere e imprenditore, è stato amministratore delegato della Lancia & C dal ’49 al ’55, anni nei quali l’azienda ha costruito costosi prototipi e molti dei più famosi modelli dell’automobilismo italiano, fra i quali l’Aurelia e l’Appia, ed anche auto da competizione, portando però l’azienda quasi alla bancarotta. Nel ’56, si dimise dalla carica, vendette parte della sua quota azionaria, perse il controllo della società e si trasferì in Sudamerica, dove intraprese il commercio di prodotti in scatola. In Brasile conobbe e sposò, in seconde nozze, l’attrice francese Jacqueline Sassard e un paio d’anni dopo tornò in Italia e si dedicò alla vela d’altura. Con un bel la classe, Xingu, nome di un fiume brasiliano, aveva già partecipato alla Giraglia, stabilendo il record di 30h 57’ 45”.
  4. L’episodio è riportato sul Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche (CSTN) N° 21 “1960 – ‘Cannes-Ischia’ e Olimpiadi della Vela a Napoli”.
  5. Il Comandante Bini era stato a capo della “spedizione” di tutte le imbarcazioni di Marivela e skipper di Artica II nella manifestazione citata nella precedente nota.
Giovanni Iannucci articolo in prima pubblicazione sul Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche - Lega Navale, anno VII, mumero 67

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