“Si era innamorato di quell’attore grosso e barbuto ammirandolo nei due film western in coppia con Terence Hill, ma dubitava che Bambino fosse credibile nei panni di un poliziotto. E invece, per una legge fondamentale dell’esistenza umana che nessuno ancora ha scritto, ‘Piedone lo Sbirro’ lo aveva conquistato. Lo aveva stregato. Lo aveva soggiogato. Tanto che era andato a rivederlo anche la sera dopo, con un paio di amici, e la sera dopo ancora, da solo. Era come se un cazzotto del commissario Rizzo lo avesse mandato knock out e, una volta riaperti gli occhi, avesse visto tutto con estrema chiarezza. Un’epifania. Una premonizione. No, una certezza: si sarebbe arruolato in Polizia. Avrebbe fatto carriera. Voleva diventare commissario e combattere il crimine che imperversava nella sua città. E voleva un appartamento sul porto di Pozzuoli, dove abitava il suo eroe.”
Bud Spencer. Icona pop
Così comincia la storia di Angelo Russo, un giovane napoletano che resta folgorato dal film interpretato da Bud Spencer nel 1973, protagonista del racconto Il buco nella parete pubblicato sul mio Storie di ordinaria Kazzimma.
Un omaggio sentito, commosso, ad uno dei personaggi più iconici e più amati degli ultimi cinquant’anni, a quel gigante barbuto, burbero ma buono, quasi ingenuo, con il sorriso rassicurante, ma dalla forza straordinaria e con il cazzotto a piccione sempre pronto a tuonare sulla testa del cattivo di turno, come spiegava lui stesso: “Ognuno di noi ha qualcuno sopra di sé che odia, che invidia, che vuol combattere. Può essere il padrone, il capoufficio o il professore che ti dà brutti voti. Io reagisco per tutti…”
Bud Spencer prima di Bud
Carlo Pedersoli, il “bocciolo” di un metro e novantadue che amava Spencer Tracy, era molto più di un attore.
Era un punto di riferimento, come la tazzina fumante di caffè a Piazza del Gesù, come il sorriso innocente della procace Carmela immortalato dai versi di Giovan Battista De Curtis, come una punizione di Maradona all’incrocio dei pali.
Era un vanto italiano nel mondo. Anzi, napoletano, come lui stesso andava orgogliosamente ribadendo in tutte le trasmissioni dove lo invitavano, al pari di Sofia Scicolone, in arte Loren, ultimo monumento vivente di un passato mitico, forse più povero, ma di certo più sereno, più sorridente.
Bud Spencer. Le molte vite di Carlo Pedersoli
Quante vite ha vissuto Carlo Pedersoli?
Atleta di livello internazionale, attore, pilota di elicotteri; autore di canzoni per Ornella Vanoni e Nico Fidenco, ma anche per sé stesso; uomo colto, intelligente, aveva girato il mondo, lasciando il cuore in Sud America, dove, tra mille avventure, aveva addirittura lavorato alla costruzione della strada panamericana nel tratto tra Venezuela e Colombia. Parlava correntemente lo spagnolo, il francese, il tedesco, l’inglese, il portoghese, ma non si era mai liberato di quel suo gradevolissimo accento partenopeo, troppo spesso coperto, nei film, dal doppiaggio del pur bravo Glauco Onorato.
Proprio come il suo amico Luciano De Crescenzo teorizzava nei suoi libri di filosofia partenopea, Carlo aveva trovato il modo di “allargare” la propria vita, rendendola, di fatto, straordinaria. A tal proposito, una volta ebbe a dire: “Io distinguo due tipi di successo: quello che ho avuto nello sport e quello nel cinema. Il primo è mio e non me lo leva nessuno. Il secondo è quello che il pubblico ha deciso di darmi e che mi ha permesso di fare 120 film.”
Carlo Pedersoli, atleta
Se non tutto, molto è stato scritto su Bud Spencer attore, da penne ben più coinvolgenti e autorevoli.
Di Carlo Pedersoli atleta, invece, si parla sempre troppo poco, come se fosse un aspetto marginale, perfino sacrificabile rispetto alla grandezza e alla fama raggiunta dall’attore. Ma Carlo fu protagonista di imprese sportive straordinarie. Vale la pena ricordarle, anche senza nessuna pretesa di esaustività.
Nato a Napoli il 31 ottobre 1929 in una famiglia benestante che abitava in un bel palazzo in Via Generale Giordano Orsini, nel quartiere di Santa Lucia, a pochi passi da Piazza Plebiscito, che allora si chiamava ancora Largo di Palazzo, il giovane Pedersoli si appassiona da subito al nuoto e compie le prime bracciate nel Circolo Canottieri Napoli.
Durante la guerra, nei primi anni ’40 del secolo scorso, si trasferisce con la famiglia a Roma, dove continua a nuotare per la Romana Nuoto, ma pratica anche il rugby ed il pugilato (che torneranno anche nei suoi film).
Nel ’44, a quindici anni, si mette in luce nei 200 rana con il tempo di 3’21”3.
Il 16 settembre si laurea campione italiano nella categoria Allievi. Intanto, comincia a divertirsi anche con la pallanuoto.
L’anno successivo vince la Coppa Buozzi nei 100 rana, segnalandosi così ai tecnici della nazionale. Tuttavia, per ragioni di lavoro, il padre si trasferisce con la famiglia in Sud America. Carlo, che si era appena iscritto alla facoltà di Chimica a La Sapienza, mette da parte l’agonismo per lavorare prima a Rio de Janeiro in una catena di montaggio, poi a Buenos Aires come bibliotecario e quindi a Montevideo presso l’ambasciata italiana.
Titoli e record
Tornato in Italia nel 1949, Carlo viene ingaggiato dalla S.S. Lazio Nuoto. Si dedica alla farfalla, ma soprattutto allo stile libero, ed entra a far parte della squadra di pallanuoto. È addirittura eclatante il suo esordio in campionato: chiamato a sostituire il grande Aldo Ghira, segna quattro reti come centroboa nel pareggio interno con la Florentia.
Così debutta anche in Nazionale, in occasione dell’incontro con la Jugoslavia a Spalato.
Il 4 settembre, agli Assoluti di Roma, vince il suo primo titolo tricolore nei 100 stile libero.
L’anno successivo si dedica soprattutto ai 100 stile libero, pur senza trascurare la pallanuoto, nella quale arriva a sfiorare lo Scudetto. Ai Campionati Europei del ’50 a Vienna è quinto nella finale, mentre con la staffetta 4×200 è ai piedi del podio.
Agli Assoluti di Genova si assicura tre titoli nazionali: a livello individuale nei 100 stile libero, e con le staffette nei 3×100 artistica e nei 4×200 stile libero.
Qualche giorno dopo, a Salsomaggiore, fa fermare il cronometro a 59”5 nei 100 stile libero: è la prima volta che un italiano scende sotto il minuto sulla distanza. Il 30 maggio del ’51 migliorerà ancora il suo record, portandolo a 58”9, anche se ai successivi Giochi del Mediterraneo, in Egitto, fa segnare un 58”7 nella sua frazione della staffetta 3×100 mista.
Helsinki 1952
Nel 1952 partecipa alle Olimpiadi di Helsinki, ma non riesce ad entrare in finale.
Si consolerà confermandosi nuovamente campione italiano, abbassando il suo personale a 58”2.
Intanto, come pallanuotista giunge terzo nella classifica cannonieri con 27 reti, che valgono il quarto posto in campionato per la sua compagine.
Settebello 1956
Segue un periodo di risultati altalenanti per il nostro eroe, forse anche distratto dal richiamo del cinema, dove debutta con le prime comparsate. Nel ’55 vince il campionato invernale con la Lazio, e l’anno successivo vince la medaglia d’oro con il Settebello ai Giochi del Mediterranei di Barcellona.
Dopo nove titoli nazionali (5 individuali e 4 nelle staffette) ed uno scudetto indoor di pallanuoto in solo sei stagioni, il suo rapporto con la Lazio si incrina.
Decide, allora, di tornare nella sua Napoli, dove trova nuovi stimoli e conquista con 58”8 il suo sesto titolo nazionale sui 100 m stile libero con i colori della Rari Nantes. Partecipa quindi alle Olimpiadi di Melbourne, dove raggiunge un rispettabile undicesimo posto.
Prendere o lasciare. Lascia.
Nel 1957 ritorna nella Capitale, ingaggiato dalla A.S. Roma. Ma, ormai, la vita da atleta, fatta di allenamenti massacranti e di sacrifici, comincia a stargli stretta: a soli 28 anni, da un giorno all’altro, Carlo lascia tutto e se ne torna in Sud America: “Quando decisi di capire chi ero veramente, nel ’57, scelsi il Venezuela perché era l’unico paese del Sudamerica in cui non ero mai stato e non avevo amici o conoscenti.”
Carlo tornerà in Italia agli inizi degli anni ‘60. Giocherà ancora qualche incontro di pallanuoto, prima con la Roma e poi con le Fiamme Oro. Tuttavia, con la partecipazione alla Olimpiade di Roma, la sua carriera agonistica può dirsi terminata.
Per Carlo Pedersoli inizia una nuova vita. Nasce Bud Spencer. Il resto è scritto nella storia del cinema.
Il gigante barbuto dal cuore napoletano si è spento a Roma il 27 giugno 2016.
Le sue spoglie riposano al cimitero del Verano. Nel 2017 la città di Budapest gli ha dedicato una statua in bronzo alta 2 metri e mezzo, che lo ritrae nei panni di Bambino in Lo chiamavano Trinità, con la scritta Mi sohasem veszekedtünk, cioè “Non abbiamo mai litigato”, riprendendo le parole di Terence Hill al funerale del suo grande amico.
A Napoli, le autorità non sono andate oltre la concessione della cittadinanza onoraria del 26 marzo 2015. Conoscendolo, si sarà fatto una risata ed avrà intonato le note di una sua canzone, che racchiudeva perfettamente la sua filosofia di vita: “Futtetenne!”, ovvero “fregatene”.
E ridici su.