L’undici agosto 1928 non è un sabato come gli altri per gli americani.
Herbert Hoover parla alla Stanford University ed accetta la nomination repubblicana per la corsa alla Casa Bianca.
Ma c’è un americano, al di là dell’oceano, che ha ben altri pensieri. Si chiama John Daley, non arriva a 53 kg come impone la categoria dei pesi Gallo, e si appresta alla finale olimpica di Amsterdam.
Pensieroso, ma fiducioso.
Ha un anno di più del rivale, diciannove contro diciotto, ma soprattutto dieci centimetri di altezza a suo vantaggio. Un cammino liscio, quattro vittorie su quattro, per entrambi – e tutte ai punti – ma quelle di Daley sono state accompagnate dal gran baccano degli americani a bordo ring e gli ammiccamenti di critici e giudici sempre disponibili.
Fiducioso, ma non tranquillo.
Conosce poco l’avversario, ma ha avuto modo di studiarlo. Ha tecnica, agilità di gambe e tronco, resistenza. Il suo entourage non intravede pericoli e lui è bravo a nascondere i dubbi.
Di certo c’è che è una gran bella sera d’estate olandese
L’aria è frizzante, il pubblico – che riempie il Padiglione Wrestling delle finali di boxe – caldo come mai. La finale di Daley, dei pesi Gallo, è la seconda in programma. Negli ultimi minuti prima del gong, il pugile del Massachusetts mima colpi, immagazzina le nozioni, immagina scenari.
Fa insomma quello che si deve fare, quello che sa fare.
Quello che è fuori dal suo controllo è il fattore che decide il confronto.
Il suo avversario, il civitavecchiese Vittorio Tamagnini, non solo è ostico, ma ha un appuntamento con la storia. Picchia per vincere, e picchia duro, ma per non solo per far male. Per essere la prima medaglia d’oro italiana della storia della boxe olimpica.
Da quella sera Vittorio Tamagnini è, per tutti e per sempre, l’uragano di Amsterdam.
Vittorio Tamagnini conduce il match dall’inizio alla fine con l’autorevolezza del più forte e chiude senza un segno sul volto. Il verdetto ritarda qualche minuto, ma è all’unanimità per il nostro.
È l’inizio di una giornata memorabile. Carlo Orlandi piega un altro statunitense, Stephen Halaiko, nei pesi Leggeri. Piero Toscani trionfa nei Medi superando il ceco Jan Hermanek.
Tre volte d’oro e prima piazza assoluta nel medagliere della disciplina con la ciliegina del bronzo del mosca Cavagnoli. Torneremo sul gradino più alto del podio della categoria pesi Gallo altre due volte con Ulderico Sergo a Berlino 1936 e Maurizio Stecca a Los Angeles 1984 in quella notte che Rimini aspettò l’alba festeggiando davanti alla piadineria di famiglia.
Vittorio Tamagnini quattro anni dopo, da professionista, riscrive la storia per un’altra prima volta.
Il 25 giugno 1932 sfida il leggendario Alfonso Teofilo Brown, sul quadrato Panama Al Brown, regalando stavolta quindici centimetri all’avversario, campione mondiale Gallo.
Si combatte al Padiglione 3 della Fiera di Milano, dieci round, per i pesi Piuma e senza titolo in palio. Nessun italiano aveva mai battuto un campione del mondo in carica.