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Cesare Rubini, il Principe.

Cesare Rubini, il Principe, campione come pochi, più che un allenatore un condottiero. Trieste, Napoli, Camogli, Milano, ovunque abbia giocato ha lasciato il segno. Oro olimpico per la pallanuoto a Londra '48, colleziona scudetti da giocatore e da allenatore di pallacanestro. Unico e raro, meriterebbe un ricordo in più che lo sport italiano non gli ha ancora concesso.
Cesare Rubini

Carismatico, vincente, dispotico, astuto, elegante, unico, irripetibile.
Nella Hall of Fame di due sport come pallanuoto e pallacanestro, oro olimpico in piscina e argento europeo sul parquet.
In una parola, il Principe.
Cesare Rubini nasce a Trieste nel 1923 e fin da ragazzo pratica ogni tipo di sport: atletica leggera, calcio, hockey a rotelle, lancio del peso, nuoto, sci, tennis, ma soprattutto pallanuoto e pallacanestro nella Ginnastica Triestina. Sia in acqua che in campo è un duro, uno che non molla mai e se c’è da usare le maniere forti non si tira indietro. Un giocatore da avere sempre in squadra e infatti lo convocano in entrambe le nazionali per le Olimpiadi di Londra del 1948. Rubini opta per la pallanuoto e vince la medaglia d’oro.

Cesare Rubini

Dalla Triestina all’Olimpia

Intanto Adolfo Bogoncelli aveva trasferito la Triestina a Milano per trasformarla nell’Olimpia, sponsorizzata prima Borletti e poi Simmenthal.
Cinquemila lire al mese, poi diventate diecimila, per le spese: vitto, alloggio e viaggi pagati. È così che Cesare Rubini approda sulle sponde del Naviglio.
Per dieci anni si divide fra i suoi due amori sportivi e fa il pendolare.
Da ottobre e a maggio giocatore-allenatore di basket a Milano e da maggio a settembre giocatore di pallanuoto a Napoli.
A metà degli anni Cinquanta, anche per ragioni economiche, lascia la piscina per fare solo l’allenatore dell’Olimpia, ma un pezzo del suo cuore resterà sempre in vasca.

Cesare Rubini

Campione come pochi

Dopo i 6 scudetti nella pallanuoto ne arrivano 5 nella pallacanestro come giocatore-allenatore e poi 9 da tecnico con la ciliegina della Coppa dei Campioni del 1966, la prima di una squadra italiana.
Diffidava delle teorie e degli schemi e si vantava di non capire niente di tecnica. Non è andato mai d’accordo con l’inglese, la lingua ufficiale della pallacanestro, ma era un uomo intelligente e quando ha capito che la via americana era quella giusta per trasformare la pallacanestro italiana in basket si è messo di lato.

Non per tutte le stagioni

Chi ha avuto la fortuna di seguire qualche allenamento del vecchio Simmenthal capiva subito come stavano le cose.
Cesare Rubini se ne stava seduto in disparte con la sua maschera impenetrabile da grande capo indiano e lasciava la squadra completamente nelle mani di Sandro Gamba, il suo vice, seguace dei grandi coach americani.
Lui si considerava piuttosto un conoscitore di uomini.

Più che un allenatore era un condottiero

Ma soprattutto, insieme a pochi altri, Cesare Rubini ha letteralmente inventato la pallacanestro italiana.
Non sapeva niente di marketing, però aveva il naso buono e vedeva lontano. Fu lui il primo a importare in Italia le tute di raso luccicante per le squadre e poi la trovata delle “scarpette rosse”, un marchio di fabbrica e una leggenda che vive ancora.

Cesare Rubini

Una vergogna da riparare

A Milano in via Caltanissetta 3, una piccola strada privata in zona Monforte, c’è ancora una palazzina liberty che per moltissimi anni è stata la sede storica dell’Olimpia basket e la vera casa di Rubini. Anzi, il suo regno.
Da un ufficio al pianterreno dirigeva le operazioni, sempre alla sua maniera. Poche chiacchiere e molti fatti.
Ce ne sarebbe un’altra di casa milanese di Rubini, o per meglio dire, ci sarebbe dovuta essere: il vecchio, glorioso Palalido che è stato abbattuto e sostituito da un nuovo impianto.
Quando Cesare Rubini è scomparso, l’8 febbraio del 2011, si era subito pensato di intitolarlo a lui.
Sembrava fatta, poi sono venuti fuori i soliti intoppi e la cosa non è andata a buon fine.
Una vergogna e un delitto di lesa maestà.

 

Silvano Calzini è nato e vive a Milano dove lavora nel mondo editoriale. Ama la letteratura, quella vera, Londra e lo sport in generale. Ha il vezzo di definirsi un nostalgico sportivo.

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