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Ivan Francescato. Sembra ieri

Catch me if you can. Ora prenderti è davvero impossibile. Hai combattuto il destino, pensavamo bastasse una finta delle tue, il cambio di passo, di direzione, puntare e sgusciare. Hai poggiato l'ovale a terra, senza avvisare, venticinque anni fa e sembra ieri. Ivan Francescato. Indiano, zingaro, selvaggio. Unico. 
Ivan Francescato

Inizio anni duemila. I charity shops inglesi e, in seconda battuta, WHSmith. Ore a scandagliare le riviste di rugby, cercando di far fruttare al meglio le poche sterline dell’autoimposto limitato budget. Un giorno, bingo. Una VHS introvabile da noi e quindi imperdibile. “All time greatest rugby tries“. Una selezione delle più belle mete di sempre, ad uso e consumo anglosassone, ben fatta. Azioni straordinarie, di squadra e di singolo, estrapolate dai grandi momenti del gioco più completo del pianeta: test matches, cinque nazioni, tour internazionali, infine i mondiali sulla scena solo dal 1987. Sono autentiche leggende alcuni dei giocatori che poggiano palla a terra oltre la linea bianca di meta: Gerald Davies, John Kirwan, JJ Williams, Phil Bennett, Serge Blanco, Gareth Edwards. Incastonata tra questi gioielli, davvero non me l’aspetto, trovo la meta di Ivan Francescato agli americani.

Lungo la schiena mi torna il brivido di quel giorno d’ottobre 1991

Coppa del mondo, Otley, West Yorkshire. Inizio ripresa. Touche’ per noi, corta del tallonatore Pivetta per il primo uomo, Favero. Schiaffetto all’ovale per il nostro Geronimo, Ivan Francescato. Una frazione di secondo per ricevere, cercare il lato chiuso, finta e controfinta, sbriciolando il muro yankee con una velocità impressionante, devastante, quasi irridente. “Una meta alla Campese” in diretta Rai sentenzia il mitico Paolo Rosi. Da quel momento, una roba del genere sarà “alla Francescato“. A onor di cronaca, chiudiamo 30-9 per noi.

Ivan Francescato

Ivan Francescato era così, Ivan nostro che non c’è più

Il 10 febbraio sarà il suo cinquantasettesimo compleanno. Acquario, il segno. Anzi, il Segno. Nel 1991 ne aveva 24, è il mediano di mischia della nostra nazionale, il suo club è Treviso. È una scheggia di numero nove, istintivo, vede lo spazio dove non c’è o meglio lui lo vede noialtri no, punta l’angolo e poi rientra, c’è tecnica, ma ancora di più fantasia al potere. La sovraimpressione, mentre recupera metà campo tra applausi e abbracci, ricorda i suoi 75 kg. per 1.75cm. Due minuti di partita e non lo perdi più, con quei capelli lunghi pieni di vento, con quella presenza sempre avanti, sempre a cercare il Graal. Ivan suona il pianoforte, non lo sposta. Si dice così dei rugbisti dal 9 al 15, ma Ivan suona con uno spartito tutto suo, illeggibile. Suona e danza, non lo prendevi allora, figuriamoci adesso sui Campi Elisi.  

Della dinastia Francescato

Bruno, Rino, Nello, Manuel e Luca. Tutti in serie A, i primi tre anche azzurri d’Italia. A 19 anni con il Tarvisium, un anno dopo con la Benetton, a 22 il primo scudetto. Lui in regia, Bettarello al piede, Kirwan finalizzatore. Esordio in nazionale, coach Fourcade, in Coppa FIRA, subito meta ai rumeni. La consacrazione ai massimi livelli è proprio del 1991: l’iconica meta, la sconfitta dignitosa con i tutti neri (31-21), non siamo più Cenerentola, siamo propositivi ed il rispetto dell’avversario è la prova provata di un salto in avanti. Il talento di Alessandro Troncon porta Georges Coste, nuovo CT, a spostare Ivan Francescato sulla tre quarti centro. Ivan risponde a suon di prestazioni fino ad essere riconosciuto come uno dei migliori 13 del mondo. C’è nella prima storica vittoria contro una squadra del 5 nazioni, 22-12 all’Irlanda; c’è nel mondiale sudafricano del ’95 dove pieghiamo i Pumas e perdiamo di sette dagli inglesi.

Ivan Francescato

Il giorno di Grenoble

C’è soprattutto nel giorno dei giorni, 22 marzo 1997, a Grenoble contro la Francia, fresca di grande slam. Siamo snobbati, storia vecchia. Senza diretta tv (sarà differita su TMC), senza Parco dei Principi, senza volo diretto: 248 km. di tornanti in pullman da Chieri a Grenoble dove “les Italiens” sono ben conosciuti, ma non come placcatori, piuttosto minatori, operai, camerieri. Cinque minuti e siamo avanti, il resto sono chiacchiere, quelle del doganiere che ci suggerisce di portare il pallottoliere, quelle della federazione ospitante che ci nega il campo da gioco per la rifinitura, quelle degli addetti ai lavori che parlano di una forchetta di 30/40 punti tra le due squadre.

Ivan va in meta

Sgorlon raccoglie l’ovale da terra, trova Troncon che trova Ivan. Vola il 13, quaranta metri e meta. Essai, mes amis. Boia can, è ancora lunga, ma siamo avanti noi. Boia can, dice Ivan, mentre sente tirare il muscolo della coscia, non è possibile, non adesso, non oggi. Ignora il fastidio, pensa solo al prossimo avanzamento, ma il dolore diventa insopportabile, le lacrime si mischiano al sudore. Incredibile sfortuna, ma oggi siamo più forti di tutto e tutti. Gardner, Croci, Vaccari. Completiamo il lavoro con altre tre mete, otto su nove per il piede magico di Domingo, Mazzariol per Ivan, la scossa francese arriva tardi. Finisce 40-32 e del doganiere, raccontano gli azzurri, nessuna traccia. 

Ultima maglia

La sua ultima maglia azzurra è con i Boks a Bologna, 8 novembre 1997, siamo avanti all’intervallo, non alla fine.
Il destino lo placca, a 31 anni, arteriosclerosi delle arterie coronariche. Accade di rado, davvero quasi mai a quest’età e, per di più, atleta.
L’ultimo saluto a Treviso, la nove dell’Italia, la 13 verde Benetton, il tricolore, tantissima gente.
Se siete in zona, è a Santa Bona.
Lo troverete, ma non riuscirete a prenderlo. 

 

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Venti di calcio

 

 

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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