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Zamora. Il portiere divino

Campione, artista, figura politica enigmatica, sex symbol, poderoso bevitore di cognac e fumatore compulsivo. Con un nome da film, la vita di Zamora sembra veramente uscita da una sceneggiatura. Invece no. È tutto vero e lui è stato solo un portiere. Uno dei più grandi di sempre.
Zamora

È stato portiere di calcio, di nazionalità spagnola ma di nascita catalana. Le nozioni della sua carta d’identità raccontano di lui davvero poco poiché Ricardo Zamora Martinez (1901-1978) fu tante altre cose: un campione, un artista, una figura politica enigmatica, un sex symbol, un poderoso bevitore di cognac, un fumatore compulsivo. Per inquadrare il personaggio, basti riferire che a causa di uno di questi “innocenti” vizi una volta fu arrestato: aveva contrabbandato dalla Francia sigari “Avana”. È stato il primo grande acquisto del Real Madrid quando i Galacticos cominciavano a prendere forma. Personaggio contraddittorio, a toccarla piano: in quanto catalano, era fermamente contrario alle politiche dei reali di Spagna prima, e del “Caudillo” Francisco Franco poi. Tuttavia, questo non gli impedì di giocare per l’amato “Real” del dittatore. Per tutti, sia che fossero ammiratori oppure detrattori, Ricardo Zamora era “El divino”.

Le “incomprensioni” con il regime

Verso la fine del 1936, i giornali spagnoli riportarono che Zamora era stato trovato morto a Madrid, presumibilmente per mano dei repubblicani che ne avrebbero poi abbandonato il corpo in un canale di scolo. Quella notizia si rivelò falsa, ma quando l’asso fu trovato vivo e vegeto venne comunque catturato dalle milizie repubblicane con l’accusa di dissidenza dal regime, poi tradotto e infine detenuto nella prigione di Modelo, a Barcellona. Sarebbe stato giustiziato se non fosse stato per la sua disponibilità a giocare a calcio con le guardie carcerarie. Grate, non trovarono miglior modo di ringraziarlo se non agevolandone la fuga. Il fuoriclasse riuscirà in seguito a rendersi irreperibile riparando in Francia, dopo una serie di incredibili vicissitudini.

Zamora

I superpoteri di un “portero”

Presenza ingombrante in campo con la sua classe, il suo carisma e la sua tecnica, si distingueva dagli altri giocatori per la ricercatezza nell’indossare le divise delle squadre per le quali giocava: basco per non scompigliare la zazzera impomatata e maglioncino in lana a collo alto o con un ampio scollo a “V”, a seconda della stagione, erano accessori immancabili nella sua “mise”. Parastinchi e guanti completavano il look di quello che sembrava più un gentleman inglese reduce da Ascot che un atleta.
L’abilità di portiere di Zamora era incredibile quanto la sua vita era piena di eventi. Spericolato nelle uscite e dotato di un rinvio con i piedi capace di spaccare i ponderosi palloni dell’epoca, ha ammantato di leggenda la sua intera carriera. Alcuni suoi attaccanti avversari, in più riprese hanno raccontato giurando e spergiurando, di essere stati ipnotizzati dagli occhi dell’asso madridista, arrivando ad autoconvincersi di dover consegnare docilmente il pallone nelle sue capaci braccia. Ma i talenti di Zamora non si esaurivano sul campo di calcio: si rivelò un attore acuto quando fu chiamato a recitare in “Por fin se casa Zamora” (Zamora finalmente si sposa), una commedia del cinema muto, in cui lo zio di Zamora lo costringe a sposare una sua brutta cugina in cambio della sua fortuna.

Ai Mondiali italiani, 1934

Le sue vicende sportive lo videro protagonista durante i mondiali romani del 1934. I quarti di finali proposero quello che sarebbe stato un acceso match tra le “furie rosse” e la nazionale Italiana. La partita, da disputare allo stadio Giovanni Berta di Firenze, mantenne le promesse: i ventidue in campo si picchiarono senza risparmio alcuno. Qualcuno insinuò che furono soprattutto i padroni di casa, approfittando di un arbitraggio benevolo, a usare le maniere forti. Tralasciando la posizione di fuori gioco apparsa lampante a tutti gli spettatori e che aveva permesso all’Italia di pareggiare con Ferrari il gol del vantaggio di Regueiro, era stato soprattutto il mancato fischio della carica di Meazza sul portierone catalano a far infuriare gli ospiti. Più avanti l’arbitro belga Baert fischierà, ma a sproposito, un fuorigioco inesistente di Lafuente, che avrebbe portato in vantaggio gli spagnoli. I tempi supplementari non regolarono i conti tra le due squadre, che così, come previsto dal regolamento dell’epoca, furono chiamate a ripetere il match. Il trattamento riservato dagli italiani agli spagnoli nella partita precedente aveva lasciato in quest’ultimi le scorie più importanti. Per quella ripetizione i Rossi si presentarono in campo senza quattro titolari. Tra questi anche il loro miglior giocatore, l’asso trascinatore di tutta una nazione: Ricardo Zamora.

Zamora

E qui si passa dalla cronaca alla leggenda

Le voci sulla clamorosa defezione si sprecarono. Il portiere al termine di quel duro confronto era uscito sulle sue gambe e senza nessuna apparente menomazione, cosa poteva essere successo di così grave da non permettergli di disputare lo spareggio? La versione più accreditata è quella che sostiene un’azione di “ammorbidimento” da parte di taluni emissari in camicia nera. Va ricordato, infatti, che Zamora era l’unico catalano della squadra. Le sue antipatie per il regime dittatoriale erano ben note. A confermare la consistenza di certe voci, le sue contemporanee partecipazioni con la maglia gialloblu nella rappresentativa della Catalogna. Alla luce di queste premesse, appare plausibile che il fuoriclasse non avesse granché a cuore le vicende della nazionale spagnola e che potesse aver ceduto, di buon grado, davanti a certe offerte degli emissari del Duce. Di conseguenza, è credibile che si fosse chiamato fuori dalla competizione accusando un finto infortunio. Tuttavia, che potesse essere proprio lui il fatidico anello debole di quella nazionale, rimane però solo un’ipotesi figlia di illazioni e, come tali, non dimostrabili.

Una disputa impari

Va da sé che quello spareggio diventò, date le premesse, una disputa ad armi impari. La Spagna onorò l’appuntamento giocando alla morte e vendendo cara la pelle, malgrado le tante assenze. Ne uscì battuta, ma di misura, per uno a zero, colpita ad inizio partita da un gol di un’altra stella dell’epoca, il “Balilla” Giuseppe Meazza. L’Italia poi vincerà il mondiale, eliminando in semifinale con grande fatica la fortissima Austria e regolando in finale la Cecoslovacchia di un altro portiere leggendario, Frantisek Planicka.

 

Il tramonto, l’allenatore

Zamora proseguì la sua carriera calcistica difendendo i pali del Real Madrid ancora per due anni. Il suo approdo nella squadra dei “Reali” avvenuto nel 1930, aveva contribuito a riempire una bacheca ancora vuota: vi troveranno spazio due “Campeonato Nacional de Liga de Primera División”, ottenuti nella 1931-32 e 1932-33 e altrettante Coppa di Spagna, nel 1934 e 1936.
Ricardo Zamora terminerà la sua carriera di calciatore in Francia, nel 1938, dopo aver difeso per due anni la porta del Nizza, città dove era riparato a seguito dello scoppio della guerra civile in Spagna. Come allenatore vinse due campionati nazionali con l’Atletico Madrid, 1939-40 e 1940-41. Nel 1952 fu anche Commissario Tecnico della nazionale spagnola, ma per sole per due partite amichevoli, contro l’Irlanda e la Turchia.

zamora

La leggenda

La sua vita terrena terminerà nel 1978, nella sua amata Barcellona, consegnando il personaggio Ricardo Zamora alla leggenda. Ancora oggi, malgrado i pochi, sfocati e confusi fotogrammi rimasti a disposizione che ne ritraggono le gesta, è indicato come il miglior portiere di tutti i tempi. Le testimonianze sono autorevoli: tra questi uno dei più grandi cantori delle gesta, Eduardo Galeano, che nel suo libro “Splendori e miserie del gioco del calcio” parlando del “Divino” disse “Era il terrore degli attaccanti. Se lo guardavano negli occhi erano perduti: con Zamora in porta, lo specchio si rimpiccioliva e i pali si allontanavano fino a perdersi di vista”. Il poeta Pedro Montón Puerto gli dedicò un’intera ode, “Oda a Ricardo Zamora”.
Per dare un’idea dell’eccezionale carisma e della fama planetaria che avvolsero il fuoriclasse catalano, si riporti l’aneddoto secondo il quale quando a Stalin fu riferito che un uomo di nome Zamora (si trattava del politico Niceto Alcalá-Zamora y Torres) sarebbe stato presidente della Seconda Repubblica in Spagna, egli equivocò, esclamando: “Ah, il grande portiere!”.

 

Filippo De Fazio nato a Bari nel 1966, vive in provincia di Pavia. Grande appassionato di sport segue e racconta le vicende del calcio italiano, attuali e passate. Coltiva interessi per la musica, la lettura, l’Aikido, l'arte e la buona cucina. Collabora con più testate giornalistiche e, nel luglio 2023, ha pubblicato il suo primo libro, “Un anno in Nerazzurro”, dedicato alla sua squadra del cuore.

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