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Pietro Mennea. L’epopea di Mexico City

Universiadi di Mexico City, settembre 1979. Pietro Mennea entra nella storia dello sport. Tutti lo ricordano per il primato mondiale nei 200 metri, ma in quei giorni Mennea fa molto di più. Questa è la cronaca dettagliata della settimana epica di uno degli atleti italiani più forte di sempre.
Pietro Mennea

Fin dalla serata del 16 ottobre del 1968, quando Tommie Smith si era esibito nella sua galoppata sui 200 metri ai Giochi di Città del Messico, Pietro Mennea aveva avuto un pensiero fisso: ripetere quella impresa e mettere il suo nome a sigillo di una prestazione destinata a entrare nella storia.

Mexico City

Perché tutto ciò si realizzasse si sarebbero dovute ripresentare le circostanze ambientali favorevoli che solo la disputa di una gara in altitudine potevano offrire.
Infatti, era appurato che l’aria rarefatta delle località di montagna portava indubbi vantaggi alle gare di breve durata: a quelle cioè che si assolvono con poco o nessun debito di ossigeno.
Studiosi di aerodinamica, matematica e statistica avevano fornito al riguardo dati abbastanza precisi, anche se ancora lievemente discordanti fra di loro.
Nei 100 metri un’altitudine come quella di Città del Messico (2.250 metri) avrebbe, secondo il francese Creuzé, lo stesso effetto pratico di un vento di spalle che soffiasse alla velocità di 1.2 m/s.

Tommie Smith
(Mexico ’68. Tommie Smith)

Universiade ’79

Oltre cento nazioni con circa seimila atleti, parteciparono alla nona edizione delle Universiadi che si svolsero dal 2 al 13 settembre.
Le gare di atletica si disputarono dall’ 8 al 12 e furono precedute da un meeting pre- universiade che si tenne il 3 e il 4 settembre.
I messicani, pur difettando in alcuni aspetti tecnico-organizzativo, si impegnarono molto per la buona riuscita della manifestazione. Si pensi solo che per fronteggiare le difficoltà di ambientamento degli atleti all’altura e per intervenire su eventuali malori, furono mobilitati cinquecentodieci medici.

 

La FISU

Ricordiamo che la FISU (Federazione Internazionale dello Sport Universitario) era nata intorno al 1948 per iniziativa di una decina di organizzazioni sportive universitarie di paesi occidentali, staccatesi dalla UIS (Unione Internazionale Studentesca) fondata a Praga nel 1946, con l’intento di tenere separato lo sport dalla politica, proprio nel periodo più delicato di quella che tutti ricordiamo come la così detta guerra fredda.
Dal 1949 (Merano) al 1959 la FISU organizzò ogni due anni le settimane sportive universitarie, Proprio nel 1959 a Torino si disputarono le prime vere universiadi. A quella di Torino erano seguite altre sette edizioni.
L’ambiente della squadra italiana fu rallegrato dalla notizia che raggiunse la nostra delegazione legata alla rielezione alla unanimità di Primo Nebiolo alla presidenza della FISU, la Federazione Internazionale Sport Universitari. Per Nebiolo era la decima rielezione dopo la prima avvenuta a Formia nel 1961

La scelta di Mennea

Pietro Mennea, confortato dalle parole rassicuranti di Giampiero Boniperti circa l’esito della vicenda di Formia e dalla consapevolezza di avere al suo fianco Daniele Cordero di Montezemolo, fratello di Luca, appositamente delegato dalla Sisport, aveva preparato la sua partecipazione all’Universiade con una scrupolosità maniacale. Egli aveva deciso che ai giochi avrebbe preso parte solo ai 200 metri e alla staffetta 4×100; avrebbe corso anche i 100 nel meeting preliminare a titolo di preparazione.
Ecco quindi che alle 12.40 locali (in Italia erano le 20.40) del 3 settembre, Mennea entrò nell’El Estadio Olimpico de la Ciudad Universitaria di Città del Messico, dove il giorno prima si era svolta una grandiosa cerimonia d’apertura, per la disputa della prima delle nove serie dei 200 metri di una prova test.
La gara avrebbe dovuto disputarsi il 1° settembre, ma il timore di un tifone dato in arrivo aveva costretto gli organizzatori a posticipare l’evento al 3.

Mexico 79

Il record beffato

La corsia, la seconda, non era una di quelle che Pietro prediligeva, ma il ragazzo riuscì a sviluppare in curva un’azione discreta, seguita da un leggero sbandamento all’ingresso del rettilineo, compensato da un energico uso del braccio destro. Nel rettilineo, la sua azione fu determinata, a conferma di uno stato di salute fisica eccellente.
Il verdetto dei cronometristi ufficiali comunicò questi tempi rilevati manualmente: 19.65, 19.75 e 19.77, così che Mennea si era ritrovato un risultato che non valeva niente: un 19.75 manuale che venne arrotondato a 19.8. Vento: + 0,80 m/s.
Prestazione non sufficiente a presentare il primato per la omologazione in quanto dal 1974 la IAAF aveva abolito i primati del mondo realizzati con il crono manuale.
Cosa era successo? Semplice, almeno per i messicani. Per loro quel meeting era inteso come una manifestazione di prova, come si è soliti fare alla vigilia di ogni grande evento, e quindi non avevano comandato il cronometraggio elettrico dei tedeschi della Junghans, pronti ad entrare in attività, ma solo per le gare ufficiali della Universiade.
Mennea pertanto aveva siglato il miglior tempo della sua vita, una prestazione sicuramente inferiore al primato europeo di Borzov (20.00), ma era stato beffato da una deficienza organizzativa.
Ad aggiungere beffa alla beffa, il tabellone luminoso registrò la prestazione attribuendola a un atleta francese: Petro Menea!
L’autorevole intervento di Luciano Barra, segretario della FIDAL, fece sì che il giorno dopo il cronometraggio elettrico fosse installato e funzionante.

Altri tempi

Nella serie di Mennea al secondo posto si classificò il cubano Gonzales (20.5), mentre il tedesco Hofmeister fu terzo (20.5).
I nostri Fulvio Zorn, Mauro Marchioretto e Luciano Caravani vinsero le rispettive serie: la terza, la quarta e la ottava, rispettivamente in 21.6, 21.2 e 20.6.
Dopo quello di Mennea il miglior tempo lo fece segnare l’americano Roberson (20.1) vincitore della nona serie.

Seconde prove

L’indomani, 4 settembre, nella seconda giornata della pre-universiade era in programma la gara dei 100 metri, che vide la disputa di ben sette serie.
Questa volta funzionò il cronometraggio elettrico e quindi i risultati furono confortati dalla più assoluta regolarità.
Alle 12,30 locali Mennea si schierò alla partenza della prima serie dei 100 metri. Il barlettano si posizionò in seconda corsia, con all’esterno il compagno di squadra Lazzer, mentre la settima corsia fu occupata dal sovietico Ignatenko, terzo agli ultimi europei di Praga.
L’atmosfera era fresca. Il vento soffiava leggero a 0.90 m/s.
Ci fu un primo avvio richiamato dallo starter che ritenne fastidioso l’intervento di un altoparlante al momento del via.

10.01

La partenza di Mennea non fu delle migliori. Meglio di lui si mise in moto Lazzer che prese addirittura un leggero margine di vantaggio. Ma poco prima dei 50 metri Pietro innescò all’improvviso il suo miglior meccanismo di corsa, producendosi in una accelerazione fantastica che lo portò a risucchiare Lazzer distanziandolo di quasi quattro metri, per poi proseguire di slancio verso il traguardo.
I primi risultati che emersero, frutto del cronometraggio manuale al centesimo di secondo, parvero all’inizio impossibili: 9.81, 9,82 e 9.83. Poi dopo alcuni momenti trascorsi in una atmosfera di grande nervosismo avvenne la comunicazione ufficiale. L’italiano aveva corso in 10.01, tempo che costituiva il nuovo primato europeo. Mennea spodestava quindi il campione olimpico Borzov che deteneva il primato dal 1972 con il tempo di 10.07.
Pietro Mennea divenne quindi il bianco più veloce della storia dell’atletica. Davanti a lui solo due uomini di colore: lo statunitense Hines (9.95 alle olimpiadi messicane del 1968) e il cubano Leonard (9.98 in quota a Guadalajara nel 1977).
Ganfranco Lazzer si classificò al secondo posto in 10.27, Bene si comportò anche Giovanni Grazioli, vincitore della quarta serie nel tempo di 10.26.

Era il suo momento

Mennea dopo la gara più veloce della sua carriera sui 100 metri, mostrò una tranquillità sconcertante.
Richiesto di impressioni sulla sua gara, Pietro disse: Sì, ho cercato di fare il tempo perché avevo capito che era il mio momento. Se avessi perso quell’attimo non so se in carriera avrei trovato un’altra occasione simile. Ho un solo pentimento: ho faticato fino ai 40 metri per trovare l’assetto e il modo giusto di correre. Dai 40 in su volavo, mi sentivo le ali, capivo che stavo andando fortissimo. Ma quei primi 40 metri non mi hanno proprio soddisfatto. Se li avessi corsi meglio credo che sarei sceso sotto i 10 secondi. Ma comunque sono molto contento e spero di esserlo ancora di più nei prossimi giorni. Richiesto su cosa avrebbe fatto il suo allievo sui 200, il prof. Vittori disse che a suo giudizio il 10.01 sui 100 poteva valere da 19.78 a 19.82 sulla distanza doppia.
A proposito della prova di Mennea ecco le parole del suo tecnico: “Credo che Pietro abbia svolto la seconda metà gara più veloce della sua vita. Una punta simile di velocità: cioè percorrere in 1 secondo 11 metri e 80 centimetri, non era mai stata da lui raggiunta”.

Le velocità medie

Come spesso succedeva di fronte ad una grande prestazione in una gara di sprint, la stampa parlò di medie orarie, argomento sempre interessante anche se un po’ accademico. Mennea per conseguire il 10.01 sui 100 metri, aveva corso in 35 km e 954 all’ora. La media dei due primati mondiali della velocità (19.83 nel ’68 di Tommie Smith sui 200 e 9.95, sempre del ’68, di Jim Hines) fu rispettivamente di km 36,308 e 36.180 km l’ora.
La massima velocità media risaliva anch’essa al ’68, quando sulla non più riconosciuta distanza delle 220y in rettilineo (equivalente a m. 201.17) lo stesso Tommie Smith siglò un fantastico 19.5, corso alla media di 37.139 km.

Il primato salvato

Nei giorni successivi alla impresa si sparsero alcune voci che tinsero di giallo l’avvenimento.
Alcuni giornali messicani, evidenziando il 10.01 di Mennea, parlarono di buon test e di presa di contatto con la pista dello stadio olimpico, senza accennare al fatto che la prestazione costituiva il nuovo primato europeo.
Si diffuse anche la voce che il capo dei giudici messicani, Molinas Celis, non avrebbe avuto intenzione di proporre il record di Mennea per la omologazione, sostenendo che la manifestazione non aveva carattere di ufficialità. Sembra che l’atteggiamento del dirigente fosse dettato da vecchie ruggini con l’ambiente universitario, e che quindi non si voleva aggiungere clamore alle attività legate a quel movimento.
Ma l’azione del giudice venne frustrata dalla iniziativa del tedesco Mayer. Membro della federazione internazionale di atletica, che rassicurò personalmente Luciano Barra, segretario della FIDAL, sulla validità della prova e lo invitò a raccogliere tutta la documentazione probatoria: presenza di giudici, responso fotofinish e del cronometraggio elettrico, anemometro e quant’altro potesse occorrere per la omologazione del primato. Poi intervenne anche Primo Nebiolo che ebbe ampie garanzie da Lopez Portillo, presidente del comitato organizzatore della Universiade, il quale richiamò personalmente all’ordine il giudice ribelle.
L’impresa di Mennea suscitò grande entusiasmo in Italia. A Barletta la famiglia apprese del primato direttamente da Pietro che telefonò subito dopo la gara alla sorella Angela.

Il commento di Borzov

Borzov seppe del record di Mennea mentre si trovava all’Istituto di Educazione Fisica di Kiev. Il giornalista Gianni Merlo lo raggiunse telefonicamente grazie alla collaborazione di un collega dell’agenzia Sovietski Sport che gli fornì il numero di casa del campione olimpico.
“Non sono affatto sorpreso che sia stato Mennea a battere il mio record – disse – Lo conosco da tanto tempo e so che ha le qualità necessarie per poter raggiungere risultati di eccellenza, casomai potrei essere meravigliato del fatto che ci abbia messo tanto tempo ad arrivare a questa meta”.
Richiesto se fosse dispiaciuto di aver perso il primato Valeriy rispose: “No, fa parte della legge dello sport. Sono contento comunque che sia stato proprio Mennea che è mio amico a migliorare questo primato che avevo stabilito nel 1972. La sua prestazione in fondo gli rende giustizia per tutti i sacrifici che ha fatto in questi anni”.

Il commento di Berruti

Anche Livio Berruti espresse il suo pensiero sulla prestazione di Mennea: “E’ un’impresa che fa onore allo sport italiano e premia la costanza, la tenace, la cocciutaggine di un atleta che da anni si prepara ad ottenere questi risultati”. E poi aggiunse: “Con qualche avversario di valore, Mennea potrebbe scendere sotto i 10 secondi nei 100 metri. Ma si tratta di una possibilità teorica. Un exploit simile è sempre legato a questioni sottili di rendimento fisico e di condizione psicologica”.

Verso i 200

Adesso l’attenzione di Mennea si concentrò tutta sulla gara dei 200 nel programma ufficiale della Universiade.
Il momento sognato da Pietro per undici anni, tanti ne stavano per trascorrere da quel 16 ottobre del 1968 quando su quella stessa pista Tommie Smith aveva corso la distanza nel fantastico tempo di 19.83, stava per realizzarsi. Anche lui era nelle stesse condizioni ambientali per confrontarsi con il suo idolo di gioventù.

Mexico 79
(Mexico ’79. L’apertura dell’Universiade)

Universiade al via

Tre giorni dopo quel prologo che aveva creato tanta attesa nell’ambiente italiano, sabato 8 settembre, l’Universiade aprì il suo sipario alle 10 del mattino.
Il presidente Nebiolo, ingolosito dalle prestazioni di Mennea, si era espresso favorevolmente ad una partecipazione di Pietro anche sui 100 metri, oltre che ai programmati 200. Si ipotizzò anche la possibilità che Mennea corresse la sola batteria per poi ritirarsi presentando un certificato medico che non gli precludesse la partecipazione alla gara dei 200.
Ma alla fine il buon senso di Vittori e Mennea prevalse e si rimase fermi sul programma stabilito.

I 100 metri

La prima gara di velocità furono appunto i 100 metri dei quali si corsero sette batterie.
Il miglior tempo (10.08) lo fece registrare l’americano Mike Roberson, vincitore della seconda batteria.
Bene anche l’altro americano Mel Lattany che si aggiudicò la prima batteria in 10.25. Anche gli italiani si comportarono molto bene. Caravani vinse la quinta batteria in 10.40, mentre Lazzer si impose nella sesta in 10.35.
Roberson vinse anche la prima semifinale migliorandosi a 10.07, mentre degli italiani il solo Caravani (10.23 nella terza semifinale) si guadagnò l’ingresso alla finale, battendo Lattany. Sfortunato Lazzer, escluso dalla finale avendo fatto segnare il peggior tempo (10.40) dei terzi classificati.
In finale Mike Roberson si impose con grande autorità in 10.19, battendo il tenace polacco Leszek Dunecki (10.30) e il britannico Ainsley Bennet (10.38). Caravani fu solo sesto in 10.46, ma ancora una volta davanti a Lattany, solo settimo in 10.50.

 Mike Roberson
(Mexico ’79. A sinistra Mike Roberson)

Mike Roberson

Mike era un ragazzo di colore dai tratti fini, nato a Chattanooga (Tennessee) il 28 marzo 1956. Era alto 1.78 e pesava intorno ai 73 chilogrammi. Aveva frequentato l’high school a Winter Park, in Florida, distinguendosi nella fase iniziale della sua carriera sugli ostacoli alti e affiancando spesso nelle prove di sprint Houston McTear. Mike studiava criminologia e psicologia alla Florida State e era tesserato per l’Athletic Attic.
Il suo nome era balzato agli onori delle cronache nel 1975 quando, appena sedicenne, a Gainesville il 2 di maggio, aveva stabilito in batteria, nel corso dei campionati scolastici della Florida, il nuovo record statunitense juniores delle 100y, correndo la distanza in 9.2, un decimo in meno del precedente primato che apparteneva proprio a McTear.
Nel 1976 Roberson aveva corso i 100 metri in 10.2 e le 220y in 20.6.
In Coppa del Mondo a Montreal aveva fatto parte della 4×100 statunitense, che era giunta seconda in 38.77, correndo la prima frazione.
In una intervista post-gara disse che a Mosca avrebbe incontrato volentieri Mennea, del quale aveva una grande stima, e che dopo i giochi sarebbe passato al professionismo nel football, ma non negli Stati Uniti, bensì in Canada.
Roberson chiuderà la sua carriera atletica con il 10.07 ottenuto a Mexico City e con un 20.1 manuale sui 200 metri.

Mennea
(Mexico ’79. Pietro Mennea)

Le batterie dei 200

Lunedì 10 settembre alle ore 12,15, mentre in Italia era l’ora di andare a cena, scesero in pista gli atleti iscritti ai 200 metri, divisi in nove batterie.
A Mennea toccò l’ultima e l’ottava corsia. Pietro indossò la maglia azzurra della nazionale italiana, rifiutando per scaramanzia quella bianca del CUSI, sulla quale appuntò il numero 314.
Insieme a lui in prima corsia si schierò lo svizzero Muster, sua vecchia conoscenza, terzo agli europei di Praga: poi in seconda il congolese Kanza, e a seguire lo spagnolo Gonzales, il malgascio Randrianasolo, il giapponese Harada e il peruviano Elias.
La cappa grigia che si era adagiata sullo stadio si dissolse e apparvero sprazzi di sole fra le nuvole che si rincorrevano in cielo.
Fino a quel momento i tempi migliori appartenevano al brasiliano Silca de Araujo e all’americano Melvin che avevano vinto la quarta e la sesta batteria in 20.55.

Mennea a 19.96

L’avvio di Pietro fu ottimo che gli permise di innescare una progressione prodigiosa, con un comportamento in curva migliore del solito, salvo un leggero sbandamento dopo 60- 70 metri di corsa.
Ma all’ingresso in rettilineo Mennea aveva già stabilizzato la sua andatura. Il tempo ufficioso ai 100 metri fu di 10.16 manuale, tanto da far ritenere che quello automatico sarebbe stato di 10.36.
Poi un rettilineo di corsa impeccabile, sempre in piena spinta, e una chiusura non fluida come quella messa in mostra nella gara dei 100. Ma ugualmente efficacissima.
Passato il traguardo lo sguardo di Pietro si rivolse al tabellone luminoso che riportava un sensazionale 19.96, tempo quattro centesimi migliore di quello di Borzov e quindi nuovo primato europeo. Cancellato il 20.00 del sovietico risalente a Monaco ’72.
Demolito ovviamente in primato italiano di 20.11 stabilito dallo stesso Mennea il 2 luglio 1977 a Milano.
Il vento, leggermente favorevole, era stato di 0.20 m/s, la temperatura intorno ai 15°. La media oraria della sua prestazione fu di km 36,072.
Lontano Muster, secondo classificato con il tempo di 21.01.
Nella storia dello sprint Mennea era diventato il primo uomo bianco a scendere sotto il muro dei 20 secondi netti sui 200 metri.
Nella graduatoria all time Pietro era infatti preceduto da tre uomini di colore: Tommie Smith (19.83), Don Quarrie (19.86) e John Carlos (19.92).

Da oltre otto anni un velocista non era sceso sotto i 20 secondi netti.

In semifinale

Le semifinali, tre per la precisione, furono programmate per martedì 11 settembre. Quando alle 15.40, ora locale (in Italia erano le 23.15), prese il via la prima semifinale il cielo si era fatto scuro al punto che erano stati accesi i fari luminosi dello stadio.
Pietro corse il primo dei tre turni, occupando la terza corsia. Il ragazzo si mise in movimento con una buona reattività, spinse vigorosamente in curva per entrare poi nel rettilineo finale in grande spinta. Irruppe sul traguardo con netto margine sul secondo, il polacco Dunecki, facendo segnare il tempo di 20.04 che procurò qualche delusione nel clan azzurro, ormai abituato a un primato ogni volta che Pietro scendeva in pista. 20.48 il tempo del polacco che precedette l’inglese Bennett (20.67).
Nelle altre due semifinali vittorie del brasiliano Silva de Araujo in 20.46 sull’ivoriano Degnan Kablan (20.88) e del danese Jens Smedegaard (20.69) sull’americano Melvin (20.74).
Alla finale ebbero accesso i primi due di ogni semifinale e i migliori due tempi degli esclusi: Ainsley Bennett (20.67) e il sovietico Victor Bourakov (20.90).

12 settembre 1979

La finale si corse il 12 settembre, un mercoledì. Era un pomeriggio triste e cupo, atmosfericamente parlando. Il cielo era attraversato da nubi dense e minacciose che mutavano continuamente secondo i capricci del vento in quota.
Alle 15.15 (ora locale, mentre in Italia erano le 23.15) Mennea andò ad occupare la quarta corsia. Davanti, in ottava, si collocò il nero britannico Bennett, mentre il polacco Dunecki partì dietro a Pietro, in seconda.
Erano in pista quattro atleti bianchi e quattro atleti di colore.
Il vento era mutevole, ma al momento della gara soffiò in favore dei concorrenti in misura di 1.8 m/s. La temperatura era di 25 gradi e l’umidità alta al 75%.

Mennea
(Mexico ’79. Pietro Menna trionfa nei 200)

19.72!

Allo sparo Mennea si produsse in un avvio rapido e deciso. Subito dette l’impressione di essere veloce come non era mai stato prima.
Percorse una curva perfetta che ebbe del prodigioso anche se al momento dell’ingresso nel rettilineo sbandò leggermente. Si riprese subito ridando serenità al suo volto, fino ad allora sconvolto da una smorfia rabbiosa.
La sua progressione fu eccezionale. I primi 100 metri furono cronometrati in 10.34, ma è nel tratto che va dai 100 ai 150 metri che Pietro dimostrò di avere una marcia in più dei suoi avversari.
Negli ultimi metri Pietro si indurì leggermente ma, mentre il cielo si incupiva sempre di più, riuscì a spingere ancora fin sul traguardo che tagliò vittoriosamente, mentre il tabellone dei tempi della Junghans si illuminava segnando il suo risultato cronometrico.
Questa volta non osò volgere gli occhi al tabellone, ma aspettò che fosse l’urlo dei presenti a dargli la conferma del tempo: 19.72!
Al secondo posto si classificò il polacco Dunecki (20.24), mentre il terzo posto andò al britannico di colore Bennett (20.42). Poi tutti gli altri con tempi oscillanti fra i 20.43 del brasiliano De Araujo, ai 20.88 di Kablan. Staccato l’americano Melvin (22.97), vittima di uno stiramento.

Mennea
(Mexico ’79. Pietro Mennea, l’uomo più veloce del mondo)

Nella storia

I secondi 100 metri di Mennea vennero cronometrati in: 9.38.
La media oraria del nostro velocista nella sua corsa mondiale fu di 36.504 km ora.
Il tempo di reazione, comunicato solo in un secondo momento da Mr. Schlenker, capo équipe della Junghans Quartz, fu di 0.13 millesimi di secondo, un tempo eccezionale soprattutto per Mennea che non era certo uno specialista in questa fase della partenza.
Un uomo bianco, undici anni dopo Paul Nash, il sudafricano al quale fu impedito di partecipare all’olimpiade di Città del Messico del ’68 per la politica segregazionista del suo paese, tornava primatista mondiale in una gara di velocità.
Il regno di Tommie Smith era quindi terminato.
Era durato undici anni. Il primato di Mennea sarà più longevo: durerà infatti 17 anni, per la precisione 6.018 giorni, tanti infatti ne trascorreranno fino al 23 giugno 1996, quando ad Atlanta, sulla pista dello stadio che di lì a poco ospiterà i giochi olimpici, lo statunitense di colore Michael Johnson, portò il limite a 19.66. Meno di due mesi dopo lo ritoccherà lui stesso portandolo a 19.32 (1° agosto 1996).
Il primato di Mennea però non verrà cancellato: figura ancora oggi quale record europeo e non si vede ancora all’orizzonte l’uomo che riuscirà a migliorarlo.

Statistiche

Come spesso era successo in occasione di grandi prestazioni, anche in questa circostanza gli elementi che avevano contribuito alla realizzazione del primato si erano manifestati in favore degli atleti: altitudine (2.248 s/l/m), vento (+ 1.8 m/s). Di questi elementi avevano beneficiato tutti i partecipanti a quella finale, tanto è vero che, con la sola eccezione dell’americano Otis Melvin (ultimo in 22.97 in quanto vittima di un infortunio), e l’ivoriano Degnan Kablan tutti avevano migliorato il loro primato personale. Melvin e Kablan lo avevano però migliorato in semifinale e in batteria.
Il progresso più cospicuo lo realizzò il danese Smedegaard che conseguì un più 0.76 passando da un personale di 21.38 a quello di 20.52.

La 4×100. Ancora oro!

In quel pomeriggio non piovve e Pietro poté tornare in pista, quale ultimo frazionista della staffetta 4×100 della quale si corsero le batterie.
L’Italia (Lazzer, Caravani, Grazioli e Mennea) fu impegnata nella seconda batteria e si impose facilmente a Costa d’Avorio, Nigeria, Messico, Gambia e Guatemala, in 38.55, nuovo primato italiano che migliorava il 38.73 del 4 agosto ottenuto a Torino nell’anno, realizzato dalla stessa formazione con la sola variante di Zuliani al posto di Grazioli.
La finale della staffetta si corse giovedì 13 settembre, ultimo giorno del programma di atletica.
In batteria gli Stati Uniti erano stati sorprendentemente eliminati, e quindi il favore del pronostico si era orientato decisamente sul nostro quartetto e su quello francese.La gara di staffetta si avviò alle 16,00. Molto bene gli azzurri nei primi due cambi. Meno bene il passaggio del testimone fra Grazioli e Mennea che però si produsse in una volata vertiginosa che lo proiettò primo sul traguardo in 38.42, tempo che uguagliava il primato europeo della Francia, che in quella finale si fece soffiare il secondo posto dalla Costa d’Avorio (38.73 contro 39.07), e che costituiva ovviamente anche il nuovo limite nazionale.

Staffetta oro italia mexico 79
(Mexico ’79. Lazzer, Caravani, Grazioli e Mennea. La staffetta d’oro)

Il commento di Tommie Smith

Ho appreso del record di Mennea giovedì mattina appena arrivato in ufficio – furono le prime parole di Tommie – ma non ho saputo subito il nome del nuovo primatista. La mia reazione? Mi sono sentito improvvisamente vuoto. Il record resisteva da tanti anni che era diventato parte di me stesso. Poi dopo un po’ ho provato felicità per chi me lo aveva tolto perché ho pensato a quanto lavoro e a quanti sacrifici ha dovuto fare per conquistarlo”.
Richiesto sulla durata del suo record Smith disse: “Pensavo che sarebbe stato battuto molto prima. Sono felice che il nuovo primatista sia Pietro Mennea. A casa ho diversi film di Pietro in azione e mi è sempre piaciuto vederli perché ammiro l’atleta italiano. Sono contento che il record me lo abbia tolto lui perché è un grande atleta. Voglio inviargli le mie congratulazioni e dirgli che mi piacerebbe incontrarlo durante uno dei miei viaggi quando farò tappa in Italia, oppure scrivergli una lettera, iniziare con lui una corrispondenza. Vorrei averlo ospite a casa mia in California. Sono un suo grande ammiratore e ho seguito la sua carriera passo per passo negli ultimi anni”.

La settimana straordinaria

Pietro Mennea aveva incontrato a Città del Messico non il day of the days, come gli americani erano soliti definire il giorno nel quale avviene un avvenimento fuori della norma, ma bensì the week of the weeks.
Infatti Pietro dal 3 al 13 settembre 1979 effettuò sette gare tra individuali e staffette, conseguendo questo bottino di primati: cinque primati italiani, quattro primati europei, un primato del mondo e una miglior prestazione manuale sia italiana che europea.

Gli statistici si scatenarono

Nello stilare graduatorie per le gare di velocità gli statistici riportarono anche quella della combinata, cioè la somma dei tempi record dei 100 e 200 metri, che vedeva Mennea al comando con il tempo complessivo di 29.73 (10.01/19.72) contro il 29.93 (10.07/19.86) del giamaicano Donald Quarrie. Al terzo posto figurava il cubano Leonard con 30.04 (9.98/20.06), mentre Borzov era solo quarto con 30.07 (10.07/20.00). Calcolando la velocità media con cui Mennea aveva corso i 200 metri del record, cioè oltre 38 chilometri orari, realizzarono che Pietro avrebbe dato m. 1,12 di distacco a Tommie Smith che aveva realizzato il primato all’età di 24 anni contro i 27 dell’italiano. Il giamaicano Quarrie sarebbe stato distaccato di m. 1,42, mentre Carlos di m. 2,03. Borzov addirittura di m. 2,84.
Inoltre, Mennea si era dimostrato il più longevo dei velocisti avendo realizzato la sua impresa ad un’età superiore a quella degli altri assi della velocità.

I primatisti mondiali

Con la sua eccezionale prestazione Mennea entrò a far parte della magnifica pattuglia italiana dei primatisti mondiali al fianco di: Beccali, Valla, Testoni, Consolini, Berruti, Lievore, Pamich, Morale, Pigni, Gentile, Fiasconaro, Simeoni ai quali vanno affiancati i marciatori Valente, Callegari, e Pavesi degli anni ’20 e gli staffettisti della 4×200 Ossola, Abeti e Benedetti.

 

Gustavo Pallicca Starter internazionale con una passione per i racconti, la fotografia e la storia dell'atletica. Stella d'Oro del CONI al Merito Sportivo (1936-2023)

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