Search
Close this search box.

Volodja Yashenko. L’elicottero

Un campione. Uno dei più grandi di tutti i tempi. Volodja Yashenko quando saltava in alto sembrava voler salire fino al cielo. Per questo lo chiamavano l'Elicottero. Un campione di cui si impossessa la ragion di Stato che prima lo usa e poi lo abbandona a sé stesso. Poi arrivano le bottiglie e quelle il campione non riesce a saltarle. E loro, maledette, lo divorano.
Volodja Yashenko

Storia bellissima quella di Volodymyr Yashenko detto Volodja, esaltante e tragica al tempo stesso, come tutte le storie degne di questo nome. Basta sfogliare le pagine della straordinaria parabola di questo autentico prodigio, nato in Ucraina nel 1959. Già da ragazzino sembrava un predestinato e in brevissimo tempo confermerà tutte le promesse, tanto che nel 1977, a solo 18 anni e ancora juniores, in un caldissimo pomeriggio d’estate stabilisce a Richmond negli Stati Uniti il nuovo primato del mondo del salto in alto: due metri e 33 centimetri.
Quel giorno il mondo scopre questo ragazzo ucraino, alto, magro, con i capelli lunghi e scompigliati, un’aria perennemente svagata, dal passo dinoccolato e soprattutto dalla tecnica strabiliante.

Contro tempo

Nel mondo del salto in alto la rivoluzione del Fosbury aveva già quasi del tutto soppiantato la tecnica dello scavalcamento ventrale, il vecchio straddle, bellissimo a vedersi, ma duro da imparare e difficile da eseguire. Ed ecco che all’improvviso compare Volodja Yashenko, con quella sua rincorsa ballonzolante, lo stacco con lo slancio prodigioso verso l’alto della gamba destra, il valicamento dell’asticella con il richiamo della sinistra e infine la ricaduta sui materassini. Il vero e unico erede del grande Valery Brumel, il “re del ventrale”.

Volodja Yashenko

L’altro secolo

Parliamo degli anni Settanta del secolo scorso, quindi ancora in piena guerra fredda.
L’Unione Sovietica sta vivendo la lunga, grigia, stagione della stagnazione brezneviana e ai mammut che sono alla guida dello sport non pare vero di ritrovarsi tra le mani un fenomeno del genere; uno non solo in grado di battere sistematicamente gli americani, ma anche di portare in giro per il mondo un’immagine diversa, nuova e affascinante, dell’Urss.

Milano ‘78

Non ci credete? Si vede che il 12 marzo del 1978 non eravate ancora nati o eravate distratti.
Quella sera ai Campionati Europei indoor nel Palazzo dello sport di Milano, davanti a quasi ventimila persone che lo applaudivano ritmicamente, Volodja diede spettacolo. Non solo vinse la gara, ma con 2 metri e 35 stabilì il nuovo primato del mondo ed entrò nella storia dello sport. Anzi, nella leggenda.
Una serata memorabile, nella quale Volodja l’elicottero diventò una star assoluta in Eurovisione.

Yashenko Milano 78

Sport di Stato

Yashenko è il più forte saltatore in alto del mondo, è famoso, è bello, riceve tremila lettere al giorno dalle sue ammiratrici, tutti lo vogliono, ha solo 19 anni e una carriera di successi davanti a sé.
Purtroppo però Yashenko era come quei cristalli che sembrano perfetti e indistruttibili, ma in realtà sono fragilissimi. Chi governava lo sport sovietico di quei tempi non era portato a queste sottigliezze e pensava solo a sfruttare la pepita d’oro che si era trovata per le mani, senza nessun riguardo per i fragili tendini di Volodja.
Troppe gare, anche quando già si sentiva qualche scricchiolio, e così un primo infortunio al tendine di Achille nel 1978 e nel 1979 un’operazione al menisco. L’anno dopo un nuovo incidente ai legamenti del ginocchio.
I medici che lo operano sono più somari dei funzionari di partito che lo obbligavano a gareggiare anche quando stava male, così sbagliano l’intervento e la frittata è fatta.
Il ginocchio glielo rimettono a posto in Austria, ma ormai Yashenko non è più un atleta.

Yashenko

Volodja l’elicottero non volerà più

Terminata la via crucis da atleta, Yashenko ne intraprende un’altra da uomo.
Ormai non serve più al regime come arma di propaganda e così viene gettato via come un ferro vecchio. Lo abbandonano tutti. Lui ci mette del suo.
Non era un uomo facile. Aveva una certa pigrizia innata, un po’ alla Oblomov, che, anche quando le cose andavano a gonfie vele, ogni tanto lo portava a scomparire per andare a rifugiarsi nei boschi o a chiudersi da solo in casa, dove per settimane intere dormiva diciotto ore al giorno quasi andasse in letargo.

La vodka poi ha fatto il resto

Per quasi venti anni l’alcool lo ha lavorato ai fianchi, trasformando l’angelo biondo in un uomo precocemente invecchiato, irriconoscibile, in rotta con tutto e con tutti. Alla fine una cirrosi epatica degenerata in tumore gli ha assestato il colpo definitivo.
Volodja Yashenko muore a Zaporož’e, la sua amatissima città che non ha mai voluto lasciare, il 30 novembre del 1999, a solo 40 anni.

 

Silvano Calzini è nato e vive a Milano dove lavora nel mondo editoriale. Ama la letteratura, quella vera, Londra e lo sport in generale. Ha il vezzo di definirsi un nostalgico sportivo.

ARTICOLI CORRELATI

Adolfo Consolini

Adolfo Consolini. L’esempio di un campione

1955. Adolfo Consolini, discobolo, atleta tra i nostri più grandi, è in una scuola. Lo vediamo in palestra, una di quelle di una volta, con pertica e quadro svedese. Adolfo Consolini non è lì per insegnare, ma per essere esempio e affascinare. Quei bambini non avranno più dimenticato. Noi, invece, abbiamo dimenticato le palestre a scuola e, spesso, anche di essere esempio.

Leggi tutto »
Pallone

C’era una volta il pallone

Campi, spalti, regole vecchie e nuove. Tutto pensato per lui. E poi arbitri, pubblico e calciatori. Tutti intorno a lui, ambito, rincorso, calciato e rilanciato. Lui, l’indiscusso protagonista: il pallone. Ma cosa è accaduto al caro e vecchio pallone di cuoio? Come siamo caduti così in basso?

Leggi tutto »
Giovanni Raboni

Giovanni Raboni. Quando il calcio diventa poesia

Tifo, passione, vita di campo, di spalti e gradinate, paradigna universale, il calcio può essere anche poesia. Di più, anche l’immaginifica zona Cesarini può diventare poesia. Giovanni Raboni, poeta, innamorato del calcio e dell’Inter, lo sapeva bene

Leggi tutto »
Clerici

Carlo Clerici. Il gregario con un Giro da campione

Tre Tour de France, cinque Milano-Sanremo, un campionato del Mondo e tante corse in Svizzera. Per cinque volte Carlo Clerici è anche al Giro, sempre da gregario ovviamente. Il fatto è che, da gregario, un Giro d’Italia lo lui vince. Siamo nel 1954 e questa è una delle più incredibili storie del Giro.

Leggi tutto »
Italo Zilioli

Italo Zilioli. L’Amleto del ciclismo

Un campione nonostante tutto. Più che altro un campione nonostante i suoi dubbi e le sue insicurezze. Una persona perbene Italo Zilioli, fisico e tecnica, gambe e polmoni che potevano fare tutto se solo la testa gli avesse dato spago. Tanti piazzamenti importanti, 58 vittorie ma nessuna di queste il grande successo che avrebbe meritato. È andata così e forse proprio per questo di Italo Zilioli ci piace raccontare ancora.

Leggi tutto »
Jacques Anquetille

Jacques Anquetil. Vita scandalosa di un campione

Un campione, ma non uno qualunque. In 15 anni di professionismo, Anquetil si aggiudica 205 vittorie, cinque volte vince il Tour, due il Giro e una la Vuelta. Non uno qualunque, anche perché una vita scandalosa come la sua non è proprio da tutti.

Leggi tutto »