Una vita coraggiosa. Accade così a chi ha conosciuto la paura.
Giovanni è un bambino romano, di paura ne ha avuto tanta, di coraggio ne ha avuto da vendere.
Giovanni Di Veroli è un bambino ebreo che nasce a Roma nel 1932, non può sapere cosa lo attende. Gioca, ride e scherza come tutti i bambini. Scende in strada, probabilmente è qui che, come tutti, tira i primi calci al pallone. In piazza forse, che però, si badi “piazza” non è un luogo qualunque. Portico d’Ottavia, l’antico Ghetto, per gli ebrei romani è “piazza” ed è qui che si dipana la vita con le sue vicende; amicizie, amori, gioie, dolori, bambini che crescono e vecchi che se ne vanno.
Una storia di famiglia
Dal 1937 la famiglia Di Veroli si trasferisce a Milano, papà Prospero ha un nuovo lavoro e la vita sembra migliorare.
Poi arriva il 1938 con le leggi razziali; è solo l’inizio di quello che accadrà. La paura diventa vita quotidiana. La dignità è calpestata, padri che non possono lavorare, bambini che vanno a fare quello che si può e dove si può per portare a casa qualche lira.
Ancora non è nulla, perché presto, di vita, non ci sarà quasi più l’ombra. La guerra è una tragedia, il 16 ottobre ’43 – ottanta anni che sembrano ieri – una dannazione. La deportazione, i campi, l’orrore, i mai tornati, i mai nati. Una dannazione anche per i pochi che tornano; i numeri non sono un tatuaggio sulla pelle, ma sul cuore e si passano di generazione in generazione. I numeri sono sempre un mistero, i numeri sono la chiave dell’universo, quelli sono i numeri dell’inferno da tenere a mente, da raccontare, da insegnare, da non far dimenticare.
Giovanni Di Veroli passa dentro tutto questo
La paura bussa forte. A Milano nel 1942 la casa è distrutta da un bombardamento, loro si salvano per miracolo. Si spostano prima in campagna vicino Milano, poi vanno a Velletri dai nonni materni e qui ancora una volta un bombardamento. Tanto vale tornare a Roma dove non hanno più una casa, ma vengono ospitati a Trastevere.
Al rastrellamento del 16 ottobre i Di Veroli scampano per miracolo; rifugi di fortuna offerti da persone per bene li tengono al sicuro per alcuni giorni poi, quando i tedeschi hanno preso tutto quello che era possibile, tornano nelle case ormai vuote del Portico d’Ottavia.
Fino al 1945 si sopravvive di espedienti, un miracolo anche questo, ma il destino per Giovanni è un altro. Lui dedicherà tutta la sua vita ad esserne degno. Lo farà con lo sport, con il lavoro, con l’impegno per Israele che vede nascere, con la solidarietà per la sua comunità e per chi ha più bisogno.
La vita ricomincia
A fine 1945 i Di Veroli tornano a Milano su un camion della Brigata Ebraica. Il lavoro ricomincia, la vita anche.
Giovanni torna a dare calci al pallone, fa un provino con l’Ambrosiana, va bene, ma il padre vuole tornare a Roma: le radici contano.
È il 1949, prima il padre che apre un negozio di abbigliamento in via della Mercede, poi la famiglia lo raggiunge: i Di Veroli sono di nuovo tutti a Roma.
Le ferite sono tante e ancora tutte aperte, ma “piazza” torna a essere casa.
Giovanni inizia a giocare con una formazione ebraica romana, la Stella Azzurra, ma quando la Lazio apre la leva calcio partecipa. È poco più che un ragazzino, ma sta bene in campo. Per dirla con De Gregori il ragazzo si farà.
Di Veroli biancoazzurro
La Lazio lo prende, Giovanni indossa la maglia biancoazzurra e non se la toglierà più. In un calcio che è fatto ancora di ruoli classici, Giovanni gioca in difesa; ha fisico, testa, fiato e grinta. Non si tira indietro, non toglie il piede, non abbassa la testa e quando in campo qualcuno esagera, lui raddoppia e a volte le suona. Si scrive calcio, si legge vita e Giovanni è una roccia.
Nel campionato 1952/53 esordisce nella rosa della Prima Squadra. L’incredibile calcio degli anni cinquanta riserva tante sorprese, anche quello del Campionato Riserve dove le squadre competevano con i calciatori che seppur in rosa, non trovavano spazio in prima squadra.
Bella prova quella del Campionato Riserve: i ragazzi si facevano ossa, muscoli, testa e visione di gioco. In quella stagione lo vince la Lazio e Giovanni Di Veroli, centrocampista per l’occasione, è il capocannoniere.
In serie A
L’annata del ’53 per Giovanni è proprio bella: il 10 maggio esordisce in serie A, in casa, contro la Fiorentina. La Lazio perde, ma l’esordio non scorda mai.
Nelle tre stagioni successive conquista la serie A con cinquantuno presenze, alterna partite nel Campionato Cadetti – così nel frattempo è stato ridenominato quello delle Riserve, gioca due volte in Coppa Italia.
Nel giugno 1954 partecipa con la Lazio a una tournée in Israele, nazione giovane, ma il calcio piace a tutti e cementa amicizie.
Tra i tanti episodi che lo vedono protagonista, impossibile non ricordarne uno che dà la misura esatta dell’uomo oltre che del calciatore.
Campionato Riserve, derby della Capitale, Giovanni subisce un infortunio, non è cosa da poca, ha il perone fratturato.
Pensateci un attimo e provate a immaginare il dolore.
Giovanni Di Veroli stringe i denti e rimane in campo fine alla fine. Un gesto da calcio eroico che vedrà il presidente della Roma Renato Sacerdoti scrivergli una lettera personale di ringraziamento e di augurio di guarigione.
L’avventura con la Lazio finisce nel 1958, in tempo per essere ancora nella rosa della squadra che vince la Coppa Italia. Fulvio Bernardini, il nuovo allenatore, vuole però uomini nuovi e ha in mente un altro gioco.
Giovanni potrebbe cambiare squadra, ma sceglie di non farlo, toglie gli scarpini e si dedica al lavoro.
La nuova sfida
Sono gli anni del boom, l’Italia è in movimento, la grinta di Giovanni di Veroli trova quindi un nuovo campo per mettersi alla prova, il lavoro non lo ha mai spaventato neanche da bambino, figurarsi adesso.
Nel 1959 apre un negozio di camice in via del Corso, poi un altro in via del Tritone, poi diventa padre per tre volte. La sua vita sembra quindi scorrere nel solco del lavoro, nel quale si afferma con successo, e della famiglia.
Poi arriva il 1967
Il mondo è in fermento, l’altra sponda del Mediterraneo ancora di più. Nasser non nasconde le sue intenzioni, prepara la guerra a Israele e con lui sono la Siria e la Giordania.
Giovanni vuole fare la sua parte. Famiglia e lavoro sono al sicuro, Israele no e lui parte per aggregarsi all’esercito israeliano. La sua arma è una macchina fotografica con la quale vuole fermare gli attimi. Il fucile che ha a tracolla è per autodifesa, non lo userà. Segue le truppe, è sulla linea di fuoco e ne lascia preziosa testimonianza con i suoi scatti.
Sei giorni dura la guerra, dal 5 al 10 giugno. Israele ha giocato d’anticipo, la disfatta araba è totale.
Ultimo tempo
Quando rientra a Roma, Giovanni riprende la sua vita: il lavoro, la famiglia, il tifo per la Lazio.
Il primo giugno 2018 Giovanni Di Veroli si mette in gioco per l’ultima volta e il mondo delle persone che gli hanno voluto bene e a cui ha fatto del bene lo saluta con affetto.
Zio Ciccio
La storia di Giovanni è adesso preziosamente raccontata nel libro Una stella in campo. Giovanni Di Veroli dalla persecuzione al calcio di serie A scritto da Paolo Poponessi e Roberto Di Veroli presentato il 30 marzo al Pitigliani, il Centro Ebraico Italiano di Trastevere. Una serata che ha visto la presenza dei vertici della Comunità Ebraica di Roma, della famiglia di Giovanni, degli amici e di tanti semplici tifosi che hanno voluto ricordare il primo e unico calciatore ebreo romano ad avere giocato in serie A.
Una serata in cui la nota particolare è stato sì il ricordo, ma soprattutto l’affetto. Una serata in cui tanti dei presenti ancora una volta hanno parlato di Giovanni chiamandolo con il suo nome affettivo, Zio Ciccio.
Perché se è vero che Giovanni Di Veroli nel 2018 ha cambiato gioco, Zio Ciccio invece non è mai andato via.