Un viaggio in bici è tante cose insieme. È un’immersione profonda nel territorio che andiamo a visitare. È fatica, divertimento, adrenalina, avventura, contemplazione. È ricarica e rigenerazione. È un mezzo di riconciliazione con il mondo. È amicizia. È sballo. È gioco. È euforia. Un mondo vasto il cicloturismo, in effetti.
La macchina della felicità
Ogni volta che saliamo in sella per un cicloviaggio, la bici ci regala tutto questo. È la macchina della felicità, die Gluecksmaschine, come dicono i tedeschi. Ogni volta l’esperienza si ripete. Emozioni forti che ci fanno sempre tornare a casa più ricchi di quando siamo partiti e che immancabilmente ci portano a porci la domanda: “Quando si riparte? E per andare dove?”. Sì, perché la bici genera assuefazione e dipendenza. Una gradevole dipendenza, alla quale volentieri ci si abbandona, perché migliora – e di molto – la qualità della vita.
Il ciclismo lento
A chi non pratica il cicloturismo queste considerazioni potranno sembrare strampalate. Ma chi va in bici conosce bene queste sensazioni. E a scanso di equivoci chiariamo subito qual è la chiave di accesso a questo mondo. Non è la bici da corsa. Non è il ciclismo agonistico del Giro d’Italia, del Tour de France o della Vuelta. Al contrario, il cicloviaggio è ciclismo lento, ciclismo contemplativo, quello che vorrebbe dilatare all’infinito il tempo di una discesa panoramica, perché quella discesa è godimento allo stato puro, che regala attimi di felicità.
Qui non c’è la schiavitù del cronometro
Nel cicloturismo velocità, watt, potenza sono fattori irrilevanti. Il ciclismo da corsa, con i suoi stress e le sue ansie da prestazione, è distante anni luce. Appare, addirittura, come una declinazione parossistica del ciclismo, perché la bici, per definizione, non può essere un bolide né un razzo, ma nasce come mezzo di trasporto lento. Di conseguenza il concetto stesso di bici da corsa risulta essere una contraddizione in termini. Chi vuole correre, non va in bici; semplicemente sceglie un altro mezzo, magari un jet supersonico, uno shuttle della Nasa o meglio ancora di Elon Musk. Nel cicloturismo non ci sono sponsor, finanza, carovane tv, elicotteri, star system, cocktail illeciti per aumentare le prestazioni né podi su cui salire con le Magnum di champagne da agitare in segno di vittoria. E non è neanche il mondo del cosiddetto ciclismo dilettantistico, che riproduce in piccolo le dinamiche dell’agonismo internazionale a cominciare dalla piaga del doping. Non c’è Gran Fondo o altra garetta locale di paese dove non circolino prodotti venduti sottobanco, propinati da medici e sedicenti allenatori senza scrupoli. Nel cicloturismo l’unica forma di doping sono le tagliatelle all’uovo.
È un mondo che non luccica.
È fatto di amici, di gente che vuole divertirsi e stare bene insieme; ma anche di viaggiatori solitari o di famiglie che vogliono vedere un po’ di mondo, educando i propri figli al rispetto della natura. È popolato da un’umanità varia, di ogni forma e di ogni età, compresi anziani e ultraottantenni. Sì, ultraottantenni, che ancora hanno la forza e la voglia di godersi la vita. Perché fra i tanti pregi del cicloturismo lento c’è anche quello di poter essere praticato in età molto avanzata. Rientra tra le attività motorie leggere, consigliate dai medici per preservare la salute, contrastare i processi dell’invecchiamento, mantenere il più a lungo possibile la funzionalità delle articolazioni, dell’apparato motorio, di quello cardiocircolatorio e respiratorio ma anche dei riflessi e dell’equilibrio. Insomma la Bike Therapy è un toccasana per giovani e diversamente giovani. Già, perché fin quando si va in bici, non ci si può considerare vecchi. Il fanciullino che è in ognuno di noi continua a giocare e a divertirsi e nel far questo ci tiene giovani anche quando l’anagrafe certifica che l’involucro in cui siamo avvolti porta i segni di una lunga storia. La vecchiaia inizia quando la bici finisce appesa a un chiodo in cantina.
Non è mai troppo tardi
Per giunta il cicloturismo lento è una di quelle attività per le quali non è mai troppo tardi. Si può cominciare anche quando il tempo ha scavato i suoi solchi sulla nostra fronte. L’importante è la gradualità. Per chiunque si avvicini al cicloturismo, a prescindere dall’età, la regola aurea è che il divertimento deve sempre prevalere sulla fatica. Se la fatica prevale sul divertimento, vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. In quel caso il dosaggio è eccessivo e va ridotto. Naturalmente la soglia oltre la quale il divertimento lascia il posto alla fatica è una soglia mobile. Si sposta verso l’alto, mano a mano che aumenta l’allenamento. E l’allenamento a sua volta dipende da vari fattori, tra cui il divertimento e il tempo. Se in bici ci si diverte, ci si prende gusto. Poco alla volta si pedala di più, più a lungo, per distanze maggiori, con più dislivello. Non è uno sforzo di autodisciplina. Non c’è autocostrizione. Viene da sé.
La prima volta
La prima uscita sarà in pianura e per pochi chilometri, anche cinque o sei. Per chi non sale in bici da quando era ragazzino, già un’uscita di questo tipo è sufficiente per provare stanchezza. Ma se tornando a casa si porta con sé oltre che la stanchezza anche il divertimento, allora dopo uno o due giorni di riposo si potrà affrontare un’uscita un po’ più impegnativa. E così via. Attenendosi a questa regola aurea, nel giro di poche settimane il corpo si abitua, prende dimestichezza con la sella, con i pedali, con il manubrio. Si riattivano muscoli e capacità rimasti inattivi per decenni. Nel giro di un paio di mesi si arriva facilmente a percorrere i 50, i 60 chilometri. E se ci si prende gusto, si comincia a guardare con interesse anche alle salite. Sì, perché le salite sono bellissime. Sono il sale della bicicletta. Danno una grandissima soddisfazione. Appagano. Anche perché, arrivati in cima alla salita, “spiana” e arriva il momento di godersi la meritata discesa.
Il fattore tempo
Altro fattore determinante ai fini dell’allenamento è il tempo. Quanto più tempo si può dedicare alla bicicletta, tanto più aumenta l’allenamento. È per questo che non di rado i padri in pensione sono più forti dei figli che lavorano: perché hanno più tempo per allenarsi. L’allenamento è più importante dell’età. E se aumenta l’allenamento, si alza di conseguenza la soglia oltre la quale il divertimento diventa fatica. Dunque si possono fare più cose. Dunque ci si diverte di più. Dunque si è sempre più allenati. È così che nasce la dipendenza dalla bici.
Il Belpaese
L’Italia, si sa, è un Paese meraviglioso. Per gli amanti del cicloturismo è potenzialmente un eldorado. Potenzialmente, perché dal punto di vista delle infrastrutture cicloturistiche il Belpaese è molto indietro rispetto alle migliori pratiche internazionali, come in Austria, Svizzera, Germania, Francia, Slovenia. Non siamo all’anno a zero. Ma i percorsi ciclabili sono molti di meno di quelli che potrebbero e dovrebbero essere. È un fattore di arretratezza competitiva. Ed è anche un indicatore pressoché infallibile sulla qualità delle pubbliche amministrazioni locali. Dove ci sono infrastrutture ciclabili ben costruite, c’è anche buona amministrazione. Non per niente il Nord Italia è messo molto molto meglio del Centro-Sud.
Escursionismo al futuro
Risultato: chi voglia fare cicloturismo nel nostro Paese, non può fare a meno delle app di escursionismo come Komoot o Wikiloc. Niente paura. Sono facili da usare e affidabilissime. Komoot, per esempio, mette in condizione anche chi abbia poca dimestichezza con i dispositivi elettronici e l’informatica di creare in pochi secondi un itinerario bellissimo al riparo dalle strade trafficate, ritagliato su misura in base alle proprie esigenze e alle proprie capacità. Il tutto usando lo smartphone. La situazione – va detto – sta poco alla volta migliorando, spesso grazie ad iniziative che partono non dalle “istituzioni preposte”, ma dal basso, cioè da cicloturisti innamorati del proprio territorio che grazie all’uso delle app riescono a progettare e a realizzare percorsi di gran pregio, ripercorribili da chiunque scaricando dal web la traccia Gps.
L’imbarazzo della scelta
Beh, fatta questa premessa, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Volete mettervi alla prova e cimentarvi, come prima esperienza, con un itinerario facile e pianeggiante? L’Aida, Alta Italia da attraversare, fa al caso vostro: dal Moncenisio a Trieste attraverso la Pianura Padana, passando per Torino, Milano, Brescia, Verona, Vicenza, Padova ecc…
Idem per la Riviera del Brenta, la laguna veneta e il delta del Po o per le ciclabili che dal Brennero scendono nella valle dell’Adige verso il Garda. Ma anche la Via dell’Acqua, da Assisi a Roma lungo il corso del Topino, del Nera e del Tevere.
Volete qualcosa di un po’ più impegnativo? Provate la Via Francigena che attraversa lo Stivale dal Passo del Colle del Gran San Bernardo (Valle d’Aosta) a Roma, esperienza da fare almeno una volta nella vita. O l’Eroica, tra le colline del Chianti e le crete del Senese.
Anche il Sud comincia a dischiudere i suoi scrigni.
L’Etna (indimenticabile) e la Sicilia possono essere esplorati in bici grazie a varie ed encomiabili iniziative di micro-imprenditoria locale, reperibili sul web. Nel Cilento si sta affermando la Via Silente. La Calabria ha presentato recentemente la Ciclovia dei Parchi.
Soprattutto le app
Sono le app che danno la libertà di progettare con le nostre forze e in autonomia l’itinerario che più chi aggrada, partendo anche da casa nostra o combinando il treno + bici. Le app sono una svolta, perché sopperiscono alla grave carenza di infrastrutture per le bici in Italia e aprono al cicloturismo i tesori del Belpaese.
Prendeteci gusto!
Se ci prenderete gusto, l’orizzonte ben presto si allargherà.
Vi aspettano i grandi fiumi europei: Reno, Danubio, Rodano; Inn; la costa atlantica della Francia, il Canal du Midi, l’Avenue Verte da Parigi a Londra, il Camino de Santiago … E chi più ne ha più ne metta. Più viaggerete, più avrete voglia di viaggiare. Perché il cicloturismo genera dipendenza. Ed è una dipendenza dolce, alla quale è gradevole abbandonarsi.
Buona pedalata!