“La testa è un’arma in più per qualsiasi prestazione. Il talento da solo non basta”.
Suona così il fischio d’inizio del dialogo con Dario Marcolin marcando il primo step di un cammino che procede a ritroso fino ai ricordi giovanili. L’opinionista di Dazn ammette “quando commento mi capita di rivivere episodi della mia carriera. Mi rivedo nel giocatore che ha subito un fallo o che centra un passaggio. Qualche volta ho sentito una vera e propria “saudade brasiliana” vivendo le emozioni da stadio come se l’avessi giocata io la partita anziché commentarla”.
Ali da centrocampista
La persona chiave del calciatore dodicenne Dario Marcolin è Ezio Puerari, allora allenatore del Rigamonti. “Fu lui, da un giorno all’altro, a spostarmi dal ruolo di portiere a centrocampista. Io non ho battuto ciglio e ho assecondato lo switch”.
Questa la “farfalla di lancio” di una vita interamente dedita al calcio.
“La mia passione era totalizzante – spiega – l’ho sempre anteposta a qualunque altra cosa. Il senso di responsabilità nei confronti della squadra mi ha portato sempre alla rinuncia di molti divertimenti che potevano solo ostacolare il mio contributo in campo. Un calciatore in erba deve essere un giovane vecchio saggio”.
Barcellona ’92…
“Siamo atterrati a Barcellona come Campioni d’Europa per poi sentirci parte del “tutto a cinque cerchi”. Giravamo per il Villaggio Olimpico alla ricerca di miti come Michael Jordan. Un momento magico e irripetibile. Peccato non aver partecipato alla Cerimonia d’Apertura. Maldini preferì assicurarsi la partita del giorno seguente con giocatori senza vesciche. D’altronde, eravamo lì per giocare”.
La gestione della mente
Dietro a ogni campione c’è un uomo che lavora sui suoi limiti.
Dario Marcolin ne faceva un mantra di vita. “Non ero veloce fisicamente quanto lo ero di mente e con i piedi. Per questo ho dedicato molto tempo alla ricerca della velocità. Mi allenavo da solo, anche nei periodi di pausa, studiavo esercizi alternativi e non smettevo mai di chiedere consigli al preparatore atletico. Mi domandavo sempre “cosa posso fare di più?”, soprattutto quando ero in panchina”.
La partita del cuore
“La finale di Coppa Italia nel ‘98 (Lazio-Milan, 3-1). Eravamo sul tetto d’Italia. Con questa vittoria avevamo consolidato una scelta di vita”. E il risultato era lì in campo, con 3 goal che, segnati nell’arco di 10 minuti, hanno sancito una vittoria biancoceleste attesa da 40 anni.
“Quel fischio finale – sottolinea Marcolin – aveva premiato la forza di un gruppo. Intense emozioni che meritavano di essere vissute un pò di più in campo, anziché tornare subito agli spogliatoi”.
Seconda farfalla: da giocatore ad allenatore
Quando la fine di una carriera prende il nome di trasformazione non esiste la parola “lutto”.
“Avevo una nuova prospettiva ancora prima di salutare i miei scarpini e mi sono dedicato subito agli studi necessari per accogliere questa possibilità professionale. Un salto della staccionata che mi ha fatto tornare a lavorare su me stesso per curare la crescita di un intero gruppo di giovani talenti.
Quando ero io l’atleta – ammette Dario Marcolin – riuscivo a staccare dormendo notti serene. Anzi, ti insegnano proprio a curare il riposo come se fosse il sarto del vestito che distruggi durante l’allenamento. Da allenatore, invece, anche di notte si poteva sentire il rumore del mio cervello, attivo H24. D’altronde, che tu sia giocatore o allenatore, il rettangolo verde resta sempre una sentenza rispetto a tutto quello che hai fatto per arrivare fin lì”.
Un trasformismo inarrestabile
La carriera da allenatore impegna la vita di Dario Marcolin dal 2006 al 2016. La sua voce era già nota e apprezzata dai microfoni di fine partita quindi la terza evoluzione rappresenta un passaggio quasi scontato.
“Vivo ancora sulla mia pelle le emozioni di gioco e commento uno sport che rappresenta una palestra di vita, un insieme di valori, primo fra tutti il rispetto del gruppo, che portano all’integrazione. Non potrei essere più felice”.
Da molti anni, però, si è affacciato un altro amore che invade la sua vita tanto quanto il calcio: il padel.
Qualcosa ci dice che arriverà un’altra farfalla.