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Il mio tiro mancino

Cosa accade in una sera di ottobre a Luca De Prà, portiere con tradizione familiare e un tiro mancino che attraversa tutto il campo? Questa volta è il destino a tirargli un tiro mancino e a fargli cambiare vita. O forse a fargliela trovare.
Luca De Prà tiro mancino

Sliding doors. L’imprevisto che può cambiarti la vita

Nel 1998 esce nelle sale cinematografiche un film anglo – americano magistralmente interpretato dall’attrice Gwineth Paltrow e, da subito, suscita molto interesse. La storia è articolata su due binari paralleli e si snoda su un evento che accade o non accade per una manciata di secondi: la protagonista si accinge infatti a prendere la metropolitana ma un piccolo imprevisto in un caso, o l’assenza dell’episodio nell’altro, le riserva due destini diversi.
Uno di questi può sempre essere anche un tiro mancino.

1987. Quel tiro mancino

Facciamo un passo indietro al 3 novembre 1987…
Siamo a Genova, città stretta tra il profondo Mar Ligure e le alte cime dei monti appenninici; è appena trascorsa una gradevole giornata autunnale, impegnata al mattino all’università per sostenere un esame all’Isef (oggi Scienze Motorie) e al pomeriggio in visita ai genitori. Proprio così perché chi sceglie lo sport professionistico ne accetta i risvolti piacevoli al pari di quelli meno facili da vivere come la distanza dai luoghi di nascita e dagli affetti più cari, si perdono le relazioni frequenti con gli amici d’infanzia, si cresce in fretta, esci di casa ragazzo e diventi uomo presto, molto presto. 

Ventiquattr’ore non bastano certo a riempire i vuoti ma almeno qualche istante di vecchi ricordi ti fanno sentire profumi d’origine. Gli amici di sempre pressano per trascorrere la serata insieme, i cellulari smart arriveranno molti anni dopo e le uniche immagini “visibili” sono solo quelle virtuali evocate dalle parole di chi racconta, ognuno libera l’immaginazione e questo rende ancor più coinvolgente l’ascolto. Così la serata scorre veloce, il tempo sembra correre più del solito, la focaccia di Recco, accompagnata dalla Bianchetta genovese va giù in un attimo, troppo buona, unica, inimitabile! Si prende la scena e così, all’uscita dal ristorante, è necessario un tempo supplementare per provare almeno a finire un capitolo sorseggiando una birretta fresca.

Il ritrovo è sotto casa di un amico, ci arriviamo tutti in moto, il clima è gradevole, a Genova, si sa, novembre è stagione di alluvioni ma anche di code d’estate, non è raro vedere, nelle giornate di sole, molte persone in spiaggia per un surplus di tintarella e altre serenamente a farsi cullare nel Mediterraneo, ancora tiepido per l’estate appena trascorsa.

I discorsi riprendono, gli amici premono per conoscere i segreti di un atleta professionista, è un piacere raccontare, si rivivono insieme le emozioni delle partite, di una parata che scatena gli applausi del pubblico, della gente che ti ferma quasi fossi un extraterrestre, gli occhi di chi ascolta brillano, chi racconta vive il sogno diventato realtà.

Giovanni De Prà
(Giovanni De Prà)

Nonno Nino

Manca solo una persona che mi aveva trasmesso sangue rossoblù, passione per il calcio e per un ruolo fantastico, speciale e talmente unico da dover indossare una maglietta diversa…

Nonno Nino, Giovanni De Prà, portiere del Genoa degli ultimi 2 scudetti, nazionale e olimpionico nel ’24 a Parigi e medaglia di bronzo nel ’28 ad Amsterdam (i mondiali non esistevano ancora), mai ammonito, mai espulso… FairPlay allo stato puro.
In una gara contro la Spagna, dopo 20 minuti un intervento di un avversario gli frattura un braccio. Resta in campo altri 70 minuti, para tutto, finisce la partita, sviene. Eroe.
Guerin Sportivo, sollecitato da una pioggia di richieste dei tifosi accompagnate da una sottoscrizione popolare, gli dona una medaglia d’oro celebrativa della sua prestazione, quasi fosse al “valor sportivo”. Qualche anno dopo rifiuta le sirene del professionismo del conte Maroni Cinzano, Presidente del Torino, per restare dilettante al Genoa tutta la vita. Chapeau!

Al liceo ricordo la legge dell’ereditarietà dei caratteri di Mendel, quella dei piselli verdi e gialli, che vede ricomparire alcuni caratteri, detti secondari, nella seconda generazione: il suo talento di campione si è “diluito” nei passaggi generazionali ma la tempra, per fortuna, è arrivata.

Gli amici al bar

Torniamo al gruppo di  amici che abbiamo lasciato nella piazzetta di Quinto al mare, piccolo quartiere incastonato tra i più noti Quarto dei Mille, da cui partì Garibaldi e Nervi, borgo marinaro e ultima propaggine genovese nel levante.
Sono lì seduti su un muretto, una dozzina in tutto, orecchie tese e occhi sbarrati, ma raccontare senza averli di fronte è complicato. Arriva un suggerimento: “perché non metti la moto qui davanti a noi e ci parli del tuo tiro mancino che arriva oltre centrocampo?”
Detto fatto… solo che il tiro mancino sarà quello del destino.

Sono le 23,50 quando un’auto guidata da un tossicodipendente ubriaco fradicio (verrà appurato dai carabinieri alcune ore dopo) piomba sul gruppo a velocità sostenuta senza dare neppure il tempo di rendersi conto di quanto stesse per accadere.
Il rumore richiama alle finestre i residenti, abituati al silenzio della zona, alcuni scendono in strada.
Nel frattempo il pirata ingrana la marcia e fugge via lasciando tracce evidenti del suo passaggio: una moto distrutta, molti ragazzi sotto shock, un portiere professionista sul selciato in una pozza di sangue.
La gamba sinistra è rimasta tra il paraurti dell’auto e il motore della moto, sotto il ginocchio i pantaloni sono squarciati, un pezzo di tibia fa capolino, guardando il piede si vede la suola, un piccolo getto rosso segnala che un’arteria è tranciata.

Ci vediamo domani mattina

All’Isef si studia traumatologia e pronto soccorso, l’esame è andato bene, 30, ora si tratta di mettere in pratica quanto appreso. L’urto è stato violentissimo e velocissimo, il dolore è inibito dall’adrenalina, non posso recarmi in Croce verde ma posso usare la cintura per stringere i vasi e ridurre l’emorragia, qualcuno corre a chiamare un’ambulanza.
Scocca la mezzanotte e invece dei rintocchi si sente forte e chiara la sirena di una piccola auto medica, l’unica attrezzata per la rianimazione. I militi sono compagni di scuola di mio fratello, capiscono, si prodigano per rendere meno doloroso il trasferimento sul mezzo. Impossibile, l’effetto anestetico dell’adrenalina sta svanendo e prende il posto un dolore difficile da trasformare in parole. Per fortuna il tragitto con l’ospedale è breve, 15 minuti, ma il tempo, sappiamo, è una percezione, seppur misurato con strumenti oggettivi.

San Martino: non si tratta del campanaro ma del nome del più grande ospedale della Liguria, una città nella città che pullula di specialisti di giorno ma, di notte, resta in servizio solo un manipolo di medici di guardia.
L’accoglienza è premurosa, la radio di bordo ha permesso ai militi di comunicare col personale della struttura che si è fatto trovare pronto. Responsabile medico della squadra è il “Sega”, al secolo Luciano Segantini, traumatologo d’urgenza, ex pallanuotista di buon livello, appena entrato in servizio. Mi parla, mi rassicura, mi interroga, comprende la situazione. Si allontana, non tanto da non far sentire la sua chiamata al vascolare che è a casa, forse dorme ma risponde presente e spunta dieci minuti dopo. La sala operatoria intanto è allestita, un’ ultima domanda mi accompagna sotto la luce del tavolo operatorio:
“fumo? alcol? droghe?”
“stasera una birretta…è grave?”
“di grave c’è solo il tuo mancino, proviamo a salvarlo, ci vediamo domattina”.

Mercoledì 4 novembre 1987 ore 6,30

Un filo di luce filtra dalle veneziane della stanza, non ricordo di averle mai comprate…l’anestesia sta lasciando lentamente il posto al risveglio, la lucidità è buona ma non adeguata a tornare in porta.
Guardo sotto le lenzuola , una fasciatura bianca copre la gamba dal ginocchio al piede, non si vede gesso , forse è meno peggio del previsto.
Pensieri interrotti dalla voce profonda e direttiva del Sega: “per primo voglio vedere Luca” si sente dal corridoio.
Una manciata di secondi ed eccolo ai piedi del letto, fisico compatto e robusto da centroboa, mani con dita grandi come manganelli, guarda in trasparenza una lastra rx, la vedo anch’io, sembra un puzzle quando apri la scatola, impossibile capire da quale tassello iniziare, “il vascolare ha fatto l’impossibile, se lunedì il piede riceve sangue proviamo a sistemare le ossa, altrimenti tagliamo”.

Lunedì 9 novembre 1987 ore 5,00

Volano pezzi di piombo a forma di disco, una bottiglia d’acqua va in frantumi, un disco rotola fino al corridoio, altri ricoverati si svegliano, il buio crea un’atmosfera paranormale. La caposala accende la luce, svelato il mistero:  avevo vissuto in sogno la normale domenica di campionato, partita NocerinaBenevento, derby campano di serie C che ci stava regalando la vittoria per 1 a 0 e l’arbitro, con la mano alzata, aveva indicato 2 minuti di recupero.
Palla in mano, la metto a terra per far scorrere istanti preziosi, la riprendo, nessuno si smarca, il pubblico rossonero è pronto ad esplodere di gioia, le streghe fischiano di paura e rabbia, il direttore di gara porta il fischietto alla bocca, lancio la palla per il più lungo e potente tiro mancino e … sbammm! Peccato che abbia rinviato i pesi che tenevano in trazione il piede sinistro!

Ore 7,30

Rivedo la luce, forte, abbagliante. Sento l’inconfondibile odore di iodio, diverso da quello del mio mare, anche nel colore che cambia a contatto della pelle, rosso mattone, arancio ed infine giallo. Ci siamo, è il grande giorno, il Sega ha tra le mani il mio mancino, si concentra. Buio. L’intervento è riuscito, il puzzle è ricomposto!

 La mia Champions League

Venti mesi dopo quel terribile 3 novembre arriva una telefonata dal segretario dell’Acqui, società militante nel campionato di serie D, neo promossa e alla ricerca di un portiere. Il cuore va a mille, per l’emozione di tornare in campo e per la paura di dover raccontare dell’incidente. Inizio a parlare, dall’altro capo una voce risoluta esclama: “sappiamo tutto, se vuoi ripartire con noi è pronto un biennale”.
Dopo il tiro mancino del destino, la mia seconda vita calcistica è ripartita dalla serie D, la mia Champions League!

Seconda Parte

Sliding doors. Campionato di serie B ultima giornata, il Genoa affronta al Ferraris il Venezia e, in caso di vittoria, le porte della serie A si sarebbero aperte matematicamente. Vittoria per 3 a 2 , che la festa abbia inizio!

Luca De PraI giornali snocciolano nomi altisonanti, Abbiati in porta, Lavezzi per completare il reparto offensivo insieme a Milito, Guidolin sulla panchina, tutto è pronto per una stagione indimenticabile.
Già indimenticabile…

I giornali cominciano a cambiare i titoli, i nomi famosi dei calciatori lasciano spazio ai meno noti, per il momento, giudici e magistrati. Parte l’indagine Figc, pochi giorni e viene resa nota la richiesta di retrocessione per illecito sportivo.
Il Genoa tenta un disperato ricorso. Inutile. 8 Agosto: la Caf rende esecutiva la sentenza ed emette il verdetto…serie C. Anche questo niente male come tiro mancino

Molti tesserati, convinti dell’ormai imminente fine del Grifone, cominciano a riversare sulla scrivania del segretario le richieste di risoluzione contrattuale. È una processione. Svanisce in un sol colpo tutto lo staff della prima squadra ad eccezione di Gianluca Spinelli, preparatore dei portieri agli inizi carriera e uomo di fiducia del Presidente Preziosi.
Nella squadra Primavera resiste il mister Torrente, genoano d’adozione e terzo giocatore nella storia rossoblù per numero di presenze. Deve ricostruire lo staff, manca poco all’inizio del ritiro, le notizie sul Club allontanano i professionisti.
Squilla il cellulare, è Spartaco Landini, direttore sportivo, con la sua inconfondibile voce mi chiede di raggiungerlo a Villa Rostan, sede del club più antico d’Italia.

Firmo in bianco!

Luca De Prà Allenatore e preparatore di portieri, professionista presso Genoa Cfc. VP di Apport (Associazione Preparatori Portieri) e Responsabile Studi e Ricerca

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