Facile ricordarlo per noi Peter Pan pallonari.
La sua squadra, la sua città. Ascoli Piceno. Il quarto club più antico d’Italia dopo Genoa, Udinese, Juventus.
Il Milan viene dopo.
Facile ricordare Costantino Rozzi, il Presidentissimo.
Quei suoi meravigliosi calzini rossi
Imprenditore figlio di imprenditore, Costantino Rozzi. Il lavoro intralcia lo studio e la laurea, smacco di una vita, arriva “honoris causa” da Urbino. Non è ingegneria, ma sociologia. Gli occhi luccicano lo stesso.
Costruttore edile: Avellino, Lecce, Benevento, Campobasso e naturalmente il Cino e Lillo Del Duca, tutti stadi suoi. Lui che era nato vicino alle Zeppelle, il catino bianconero di allora, senza sapere di calcio (una delle tante mezze bugie che non riusciva a non dire).
Lui e la sua segretaria, in due a portare avanti una società modello: amministrazione oculata, abbonamenti, mercato, stampa, uomo immagine e, all’occorrenza, giardiniere per avere il manto erboso all’altezza dei grandi club del nord. Valorizzazione delle risorse locali e del territorio ma senza chiusure preconcette, e così negli anni il tifoso bianconero vede in campo Anastasi, Brady, Giordano, Dirceu, Novellino, Casagrande, Troglio, Bierhoff, anche se le bicchierate tra piazza del Popolo e piazza Arringo vanno sempre a finire a raccontare le gesta del bomber Campanini e dello squadrone di GB Fabbri. “Ma che galoppate faceva Pasinato, roba da non credere”.
Quattordici stagioni di serie A su 26 di presidenza
Il quarto posto del 1979-’80, la Mitropa Cup, il curioso Torneo di Capodanno con la finale a giugno e la Juve muta. La finale di Anglo-italiano con il Notts County, altra bianconera, e la vittoria di prestigio in quel torneo – la Red Leaf Cup in Canada, 1980 – dove la concorrenza si chiama Botafogo, Nancy e Rangers.
Mille interpreti, Carlo Mazzone il suo diamante più grezzo, più bello. 580 partite con i bianconeri, 211 in C da giocatore, 369 di panchina tra C, B ed A.
“Ma Ascoli è bella come Roma, ammazza”
Il neo-presidente Rozzi gli affida la squadra, ma l’amore smisurato di Carletto parte da più lontano. Dal 17 ottobre 1960, con due partite di A alle spalle con la maglia della Roma, quando questo ragazzone alto e grosso arriva in città.
Papà Edmondo lo accompagna a Castro Pretorio per salire sulla corriera di Cameli, ma a pagare il biglietto è il presidente giallorosso Anacleto Gianni. “Mi devi fare un favore, Carlè. Un anno di C ti farà solo che bene. Torni poi più forte, smaliziato ed ancora più romanista”.
L’impatto lo lascia senza fiato.
“Ma Ascoli è bella come Roma, ammazza”. La sede di corso Mazzini a Porta Romana dove c’erano i Vigili del Fuoco. I tifosi che lo vedono di traverso, perché Giuliano Torelli è di Ascoli e soprattutto un centromediano che non ha bisogno di essere rimpiazzato.
L’esordio, un mese dopo, lontano dal Del Duca, a Livorno per un pareggio e tanti complimenti.
Scrive Il Messaggero: “…non si è limitato a spezzare il gioco avversario, ma è stato bravo a costruire, aprendo il gioco ai laterali e portando palla fino al limite dell’area avversario”. Il ragazzo si farà.
Alla fine della stagione Mazzone incontra Gianni e chiede di poter ricevere lui il favore questa volta: “Mi lasci ad Ascoli, presidè”.
La dimensione ideale, anche fuori dal campo. Conosce Maria Pia, la sua metà più importante. E via via fino a Cristian. Carletto ora bisnonno e già.
Mazzone e Rozzi, il sodalizio più saldo del nostro calcio
La curva sud del Cino e Lillo Del Duca è oggi dedicata al patron, la tribuna est al mister.
Bello così, anche se Er Magara è più da curva, a raccontare aneddoti, e il patron da tribuna, ad elogiare il vino superiore delle sue cantine Villa Pigna di Offida.
Calzettoni rossi. Per sempre
Oggi a Villa Pigna, la frazione di Folignano però, sempre alle porte di Ascoli Piceno – radici profonde per me – c’è il palazzetto dello sport che ricorda Costantino Rozzi. C’è la squadra con i calzettoni rossi a proteggere i parastinchi. C’è la facoltà di architettura, merito del suo saper realizzare i sogni realizzabili.
C’è che mancano uomini così non solo al Picchio, alle Marche, ma a tutti noi italiani.
Uno che salta, sbraita pur continuando a non saper di calcio.
L’altro che si scaglia sotto la tifoseria che l’ha preso di mira per novanta minuti, perché se – non succede, ma non sia mai – faccio 3-3 io ti vengo sotto a brutto muso.
Mancano, sì. E tanto.
…………..
Se vuoi leggere altre storie di Roberto Amorosino clicca qui per acquistare il suo libro