“Diventerai una campionessa. Così diceva mio zio. Oggi questo oro lo dedico a lui”.
Luna Mendy, salita sul gradino più alto del podio agli Europei di Kickboxing lo scorso 20 novembre, pensa a suo zio Jean Baptiste Mendy, ex campione del mondo di boxe, venuto a mancare nel 2020. “Adoravo allenarmi con lui. Oggi porto con me i suoi preziosi consigli e il suo DNA da mancino”.
La regina continentale della categoria 60kg rivela i segreti del suo oro dopo due Europei finiti in argento: “Ero più stabile, psicologicamente e fisicamente”.
Un allenamento diverso dal solito
“Il mio istruttore, Marco Ferrarese, mi ha sempre punzecchiata sul fatto che, per dirla con le sue parole, finivo “con il culo a terra”. Abbiamo lavorato molto su questo perché secondo lui ogni volta che riuscivo a rimanere in piedi acquisivo maggiore consapevolezza. Per questo motivo abbiamo inserito nel mio allenamento la terapia d’urto del taekwondo. Ho fatto sparring con un atleta della nazionale finendo più volte a terra. Inutile descrivere il mio annichilimento quando il mio avversario sfruttava un mio attacco per mandarmi al tappeto. Ogni volta che mi rialzavo, però, realizzavo di aver intrapreso una nuova lettura delle traiettorie e che ero sulla buona strada per potenziare la tecnica di difesa dal calcio.
L’ultimo sparring – conclude l’azzurra – di kickboxing prima dei Campionati Europei non mi aveva soddisfatta ma per Ferrarese era stato un successo: “obiettivo centrato, sei rimasta su!” ”.
La connessione sul tatami continentale
Il combattimento è dialogo. E grazie al taekwondo Luna Mendy si è presentata sul tatami continentale di kickboxing più preparata ad apprendere il linguaggio dell’avversario. “Me ne sono resa conto in semifinale. Nella seconda ripresa avevo tempi di reazione più veloci. Il dialogo era diventato spontaneo, sapevo già come rispondere ad ogni sua battuta. Ero in connessione con la mia avversaria. E non sono mai finita a terra”.
Luna Mendy allo specchio
“Quando metto i piedi sul tatami, prima dell’incontro mi muovo per il perimetro e dico a me stessa: questo è il mio posto, è casa mia. Devo dimostrarlo al mio avversario. Guardo lo schermo e voglio che resti solo il mio nome. È sempre stato il mio rito. Quest’anno, però, sentivo di aver perso quella voglia di arrivare anche se, in realtà, stavo dando tutto in allenamento. Mi sono rivolta a una psicologa dello sport. Con lei ho capito che non riconoscevo più, in realtà, il ricordo che avevo di me stessa perché mi ero evoluta come atleta. Questa nuova consapevolezza mi ha messo in pace con me stessa e con il desiderio di dare solo il mio meglio, al di là del risultato. Credo che mio zio avesse previsto anche questo”.