Queste sono le pagine fortunosamente recuperate dal diario di Augusta Van Buren, donna che amava la velocità al punto di andare più veloce persino dei tempi, o perlomeno di quelli in cui è stata chiamata a vivere e lasciare il segno.
Nel 1916 le sorelle Van Buren cercano affannosamente di dimostrare che anche le donne possono contribuire al destino della Nazione servendo nell’Esercito come staffette motorizzate per consegnare ordini e corrispondenza.
Per dimostrarlo fecero un’impresa che rimane impressa nella storia del motociclismo.
Queste sono pagine ritrovate o forse solo immaginate, scegliete pure la versione che vi rassicura di più.
L’importante è che da oggi in poi anche voi possiate raccontare la storia delle sorelle Van Buren.
Aprile 1916
Caro Diario,
è così che si inizia giusto? Non ho mai scritto una pagina di diario prima! L’ispirazione mi è venuta quando Kathy, la ragazza con cui lavoro spesso al bancone del negozio, mi ha raccontato di come lei fin da piccola abbia trovato utile mettere nero su bianco i propri pensieri. E io di pensieri per la testa ne ho tantissimi.
Intanto mi presento: mi chiamo Augusta Van Buren, ma preferisco Gussie, vivo a New York, lavoro in un negozio vicino casa e mi piacciono un sacco di attività che Madre ha sempre definito “poco adatte al contesto”. Sì, caro Diario, è proprio come pensi: il Van Buren presidente, quello del caso Amistad e della crisi finanziaria, è quello che potresti definire un mio parente “alla lontana”. Neanche troppo se pensi che ancora oggi il suo ritratto campeggia fiero nel corridoio principale della nostra casa. Quando ero piccola mio fratello Albert diceva sempre che se un Van Buren come Marty (così chiama il nostro antenato presidente) era riuscito a fare una carriera del genere, una Van Buren come me non poteva aver paura di nulla. E così è stato: sono la fiera proprietaria di un brevetto di volo e della più bella canoa che si possa vedere da questa parte dell’Hudson, oltre che l’unica ragazza che non abbia mai avuto paura di sfidare Matt Nelson, il ragazzo più veloce del quartiere, sul ring. Inutile dire che Madre è intervenuta prima che i dettagli dell’incontro potessero essere effettivamente predisposti.
Ma una vita del genere, piena di possibilità e agi, non è la mia unica fortuna; infatti la mia più grande benedizione ha un sorriso stupendo e una risata contagiosa: mia sorella minore Adeline, detta Addie.
Con lei ho fatto tutto: il mio primo volo in aeroplano, la prima gara di equitazione e anche la prima corsa di moto. Forse è questa davvero la mia più grande passione: adoro sentire il vento che mi scorre intorno, avvolgendomi in una bolla dove non sono più la maggiore delle Van Buren o uno dei milioni di volti che si vedono nelle fotografie dei balli che gli amici dei nostri genitori sembrano così tanto amare organizzare. Sono solo Gussie e al mio fianco non vi è la maestra Van Buren ma semplicemente Addie che non ha mai timore di sporcarsi i pantaloni quando la motocicletta fa un rumore strano e deve fermarsi a controllare lo stato dei bulloni.
Capisci cosa intendo caro Diario? È una fortuna immensa la nostra ma entrambe sappiamo che non ci basta: dover continuare a sorridere e annuire quando Padre liquida i nostri successi come capricci da femmine è diventato un peso sempre più difficile da mandare giù. Noi siamo più di questo, più della commessa e della maestra ma per il resto del mondo sembra che questo di più non possa esistere.
Lo so che è un periodo difficile, avere pensieri del genere mentre si è in guerra da quasi un anno ti sembrerà solo il lamentarsi di una bambina viziata. Probabilmente qualcuno già lo crede.
Ma non ho voglia di preoccuparmi di cosa possano credere su di me. Ho progetti e altre idee che mi infiammano.
Ecco vedi? Mi sono di nuovo persa in questi pensieri bui.
Kathy aveva proprio ragione sul tuo conto, devo ricordarmi di ringraziarla.
Ora però devo lasciarti, tra poco è orario di chiusura e ho un appuntamento importante.
A presto!
Gussie
Aprile 1916
Caro Diario,
perdona l’ora tarda ma sono tornata solo ora dall’incontro con il PM e sono furiosa.
Oh scusa l’ultima volta non te l’ho detto: sono membro del Preparedness Movement, un movimento nato l’anno scorso con il compito di rafforzare l’esercito ora in tempo di guerra. Addie e io ne abbiamo sentito parlare per la prima volta quando il presidente Wilson ha organizzato una conferenza qui per parlarne pubblicamente a tutti. Mia sorella era molto titubante riguardo al partecipare o meno: Wilson prima era stato fermamente contrario a questo Movement e ora improvvisamente voleva farne parte?
Certo, forse quello da parte sua era un eccesso di dubbi ma non riuscivo a dimenticarmi quando fosse rimasta amareggiata dal nulla di fatto dell’ultima manifestazione per il voto femminile che aveva aiutato a organizzare. Quindi, siamo andate e l’idea di poter dare una mano a quei giovani ragazzi così belli che avevamo visto sfilare pochi mesi prima ci aveva riempito il cuore di una nuova speranza. Eravamo tornate a casa che la nostra fiducia in questo progetto sembrava rischiare di affogarci.
Eppure eccomi qui, con la mano che mi trema per la rabbia. Ricomincio: oggi abbiamo avuto una riunione con il movimento e uno dei principali organizzatori ha avvertito che l’Esercito era alla ricerca di una serie di uomini da usare come staffette per trasportare dispacci e provviste da una costa all’altra della nazione. Subito mia sorella e io ci siamo scambiate un’occhiata di sfuggita: era la nostra occasione. Ci siamo alzate per segnarci quando il tenente si è parato davanti a noi: “Voi cosa pensate di star facendo?” ci ha domandato “Le donne non possono prestare servizio”. Una parte di me era sicura che si sarebbe giocato questa carta, già con le suffragette avevamo partecipato a numerose discussioni riguardo questa questione: le donne non possono votare, quindi neanche arruolarsi nell’esercito. Abbiamo tentato in tutti i modi di convincerlo, volevamo e vogliamo ancora prestare aiuto! Ma lui è stato irremovibile. Inutile dirti che, come troppe volte già è successo, siamo tornate a casa senza aver ottenuto niente.
Sono amareggiata. Scusami Diario ma ora non riesco a trovare una scappatoia o un modo diverso di vedere la faccenda. Il paese è in guerra e tutto quello che si aspetta da Augusta Van Buren è che lei vada da Macy’s a comprare un nuovo paio di guanti.
Buonanotte.
Gussie
Giugno 1916
Caro Diario,
non ci posso credere! Addie è un genio, l’ho sempre detto, una vera Van Buren tutta di un pezzo! Ha trovato un modo per farci partecipare, è ancora troppo folle per poterci credere. Meglio che vado in ordine: tornata a casa non ho fatto in tempo a levarmi il cappotto di dosso che qualcuno ha bussato alla porta, era Addie o meglio, un’enorme cartina stradale avvolgeva quella che doveva essere lei. L’ho lasciata entrare e lei, come un regalo a Natale, si è auto-scartata rovesciando la mappa sul tavolo della cucina. Un dedalo di righe, strade e incroci segnati in nero percorrevano l’intera America, da destra a sinistra. L’ho guardata in modo interrogativo e Addie come al solito è eruttata in un fiume di parole.
In poche parole, mia sorella ha di nuovo scombussolato completamente il mio mondo: questa mattina stessa è riuscita a convincere il Movement a lasciarci percorrere una tratta che i corrieri (ovviamente solo maschi) in moto dovrebbero percorrere con il compito di spostarsi tra gli avamposti militari e le linee del fronte per fornire comunicazione necessarie. “Come ci sei riuscita Addie?”, le ho chiesto in continuazione e la sua risposta, per quanto semplice, mi ha spiazzato “Solo gli uomini possono avvicinarci alle linee di combattimento? Noi donne ci inventiamo il nostro modo di aiutare”. Quindi posso ufficialmente annunciartelo: dimostreremo di poter diventate anche noi piloti di spedizioni. Noi, le sorelle Van Buren lo dimostrremo a tutti. Non potevo contenere l’emozione ma poi Adeline ha cambiato completamente il suo sguardo. “C’è una cosa che non ti ho detto”, mi ha sussurrato “Questo sarà un ruolo pericoloso, saremo bersagli evidenti e guideremo in condizioni pessime. Gussie ci dovremo davvero impegnare per convincere il Movement”. Quindi, caro Diario purtroppo nei prossimi giorni non potrò aggiornarti quotidianamente, noi sorelle Van Buren dobbiamo allenarci alla più grande sfida che abbiamo mai dovuto affrontare.
Ora devo andare caro Diario, augurami buona fortuna.
Gussie
Giugno 1916
Caro Diario,
finalmente ho un attimo di tempo per fermarmi e metterti al corrente di come sta andando la nostra organizzazione. Nelle ultime settimane io e Addie ci siamo allenate sempre più spesso fino al punto che ho dovuto prendere un periodo di pausa dal negozio: ormai passiamo quasi tutto il giorno in sella, allenando lo spirito e il corpo alle lunghe ore nella stessa posizione, testando l’attrezzatura e l’abbigliamento, aumentando di volta in volta la distanza. Sono convintissima di aver visto ciò che circonda New York per diverse miglia in ogni direzione. Per fortuna i dolori alle spalle e alle gambe dopo qualche giorno sono diminuiti, il mio timore principale rimane il dover gestire la concentrazione perenne per diverse ore con lo sguardo fisso verso l’orizzonte. La mia fortuna (e non smetterò mai di dirlo) è di sapere di potermi voltare e trovare sempre Adeline al mio fianco che mi sorride da sotto il casco e gli occhialoni.
Domani torneremo al Preparedness Movement a mostrare i nostri progressi. È tutto così chiaro, non mi preoccupa la stanchezza, sento che stiamo facendo la cosa giusta.
A presto.
Gussie
Giugno 1916
Caro Diario,
è fatta. Partiremo il giorno dell’Indipendenza, con una tratta da New York a San Francisco, precisamente da Sheepshead Bay a Brooklyn fino a Lincoln Park, seguendo la nuova Lincoln Highway. Alla fine abbiamo optato per berretti di pelle, occhiali robusti, giacche e pantaloni di pelle con stivali alti fino al polpaccio. Avresti dovuto vedere la faccia di Madre quando ci ha viste per la prima volta!
Useremo delle motociclette Indian Power Plus, con pneumatici antiscivolo Firestone e fari a gas. Sì, hai capito bene, guideremo anche di notte!
Ma soprattutto ci saremo l’una per l’altra, come al solito. L’unica cosa che non so ancora in che quantità ne avremo è il coraggio per affrontare questa impresa che, già so, non sarà una passeggiata. Saremo da sole, dovremo capire come navigare (non ci sono precise indicazioni a ovest del Mississippi), rifornirci di benzina ma anche difenderci. Padre non smette di ripetere come i banditi facciano ancora “assalti alle diligenze” nelle parti più desolate dell’autostrada.
Non vedo l’ora, temo di non riuscire a dormire.
Gussie.
Luglio 1916
Caro Diario,
per la prima volta ti scrivo in viaggio, on the road. Stiamo ancora all’inizio delle 3,800 miglia che ci separano da San Francisco e per adesso tutto quello che ci ha fatto compagnia sono state solo una miriade di mucche, sentieri sterrati e passaggi per carri. Niente di più. Eppure non mi sono mai sentita così libera.
“Minaccia pioggia” ha esclamato Addie stamattina mentre ci preparavamo per partire. Abbiamo una stretta tabella di marcia da seguire e sia mia sorella sia io abbiamo preso molto sul serio la sfida che stiamo affrontando. Per ora le preoccupazioni ci sembrano lontane, siamo troppo ubriache di felicità per l’orizzonte che ci si presenta davanti.
Ci sentiamo al prossimo stop.
Gussie
Luglio 1916
Caro Diario,
il viaggio prosegue bene, siamo stanche e gli elementi della strada iniziano a farsi sentire. Siamo stanche, un po’ affamate e molto sporche. Non piove e la strada è solo un’immensa distesa di polvere e pietre ma non cambierei nulla. Tenetevi le vostre crinoline.
Ciao.
Gussie
Luglio 1916
Caro Diario,
non so se riuscirai a leggere tutte le parole ma le lacrime continuano a cadere sulle parole e l’inchiostro non fa in tempo ad asciugarsi. Non sono lacrime di tristezza ma di rabbia. Rabbia perché il nostro nemico più grande non sono i banditi o il brutto tempo, ma la legge americana.
Questa mattina ci trovavamo a poche miglia da Chicago, attraversando la milionesima piccola cittadina senza nome, quando improvvisamente siamo state fermate da un posto di blocco della polizia. L’uomo che ci ha intimato di fermarci era alto, con una divisa pulita e gli occhiali che scintillavano sotto il sole che finalmente ci stava accompagnando lungo la strada, appena ci ha visto, però, gli occhi dietro le lenti si sono oscurati immediatamente.
“E’ una specie di scherzo?” ci ha domandato sgarbatamente. Io e Adeline abbiamo subito spiegato la situazione, mostrando i documenti e le firme del Movement che ci permettevano di proseguire con il viaggio ma subito abbiamo compreso che per l’uomo il problema era di tutt’altro tipo.
“Cosa state facendo vestite così?” continuava a domandarci e per un secondo, devo essere onesta, ho rischiato di scoppiare a ridere in faccia al poliziotto. Il problema, si è poi scoperto, non era il nostro eccedere di velocità con le moto ma il nostro abbigliamento maschile che, il poliziotto ha ripetuto scandendo bene le parole come se fossimo due bambine, “era illegale e oltremodo scandaloso”.
Quindi, (e questa è la parte più folle di tutte) siamo state arrestate provvisoriamente dalla polizia di una cittadina di cui neanche ho afferrato il nome e portate al commissariato locale. Ed è proprio da qui che ti scrivo, caro Diario, mentre Addie continua a discutere con la sua solita calma con una serie di poliziotti che sembrano ormai starsi divertendo assai nel vederci spiegare più e più volte il motivo del nostro viaggio.
Aspetta, ecco che torna l’uomo con gli occhiali. Ha detto che ci lascia andare, ha contattato il Movement che ha confermato la nostra identità.
“Meglio che ci sbrighiamo ad andare” mi sta sussurrando Addie. “Sì, forse sì” le ripeto io, non voglio che Madre si arrabbi nel sapere che sua figlia maggiore ha aggredito un poliziotto di campagna.
Sono senza parole. A presto.
Gussie
Agosto 1916
Caro Diario,
lo so avrei dovuto aggiornati più spesso ma il nostro viaggio si è rivelato più lungo e pieno di ostacoli di quanto già sembrasse. Ti scrivo dalla terra di nessuno che è la vallata sotto le Rocky Mountains, un posto meraviglioso del Colorado, che mi auguravo di vedere prima. Sì, come vedi dalla data e secondo i nostri calcoli, io e Addie saremmo già dovute essere arrivate a San Francisco, ma la pioggia torrenziale che ci ha fatto smarrire la strada più di una volta e i continui stop da parte di poliziotti annoiati di cittadine del mid-west sconvolti da due donne in motocicletta hanno reso tutto più difficile. Ora siamo ad un punto di svolta, secondo la cartina di Adeline dovremmo continuare a Nord attraverso il Wyoming ma così rischieremmo di perdere ancora più tempo. L’unica alternativa, e sicuramente più veloce, è quella di arrivare in cima a Pike’s Peak (è il nome che vedo sul grande cartello colorato alle mie spalle) e pensare a un nuovo percorso attraverso le montagne.
Non ti nego che ho un po’ di timore nel non riuscire a vedere le cime delle montagne ma l’ansia di non riuscire a completare la missione mi spinge ad andare avanti. Ora scusami, vado a parlare con Addie, ho bisogno di un momento da sola con mia sorella.
Augurami buona fortuna.
Gussie
Agosto 1916
Caro Diario,
perdona la calligrafia un po’ rovinata, ma mi tremano le mani dal freddo. Abbiamo raggiunto la vetta: sono 14,109 piedi di altezza e (almeno secondo Addie) siamo le prime donne a raggiungere questo posto in motocicletta. Ci si è presentato davanti uno spettacolo meraviglioso ma abbiamo dovuto presto lasciarcelo alle spalle per affrontare la discesa. Ora siamo in una radura, stiamo cercando di far accendere un fuoco per riscaldarci un po’ ma tra poco dovremo di nuovo partire. La notte cala presto e rimanere troppo tempo ferme rischierebbe solo di rovinare ancora di più le moto e la nostra salute.
Ti devo lasciare.
Gussie
Agosto 1916
Caro Diario,
piove da innumerevoli ore, la giacca mi si è appicciata addosso come un guanto e non riesco a vedere la strada. L’unica cosa che mi manda avanti è la voce di Adeline accanto a me, sento che anche lei è spaventata. Non ho idea di dove ci troviamo, il vento è così forte dal non lasciarci neanche aprire la cartina. Ho paura.
Le moto si sono incastrate in un fiume di fango, non riusciamo più a tirarle fuori. Ho dolore ovunque ma non posso fermarmi. Adeline continua a gridare aiuto ma non c’è nessuno qui intorno. Siamo sole.
Gussie
Agosto 1916
Caro Diario,
ritiro tutto quello di male che ho detto finora sulle piccole cittadine americane. In certi casi sono il luogo perfetto per trovare degli angeli nascosti. Ti sto scrivendo dalla ridente città mineraria di Gilman, Colorado, seduta davanti la finestra dell’unico diner del posto. Come abbiamo fatto a trovarci qui? Nel modo più banale e geniale di tutti: io e Adeline, dopo aver abbandonato le moto impantanate nel fango a diverse miglia da qui abbiamo camminato, niente di più. Ieri notte nel momento peggiore di tutti non abbiamo trovato nessun’altra soluzione se non questa. Per miglia e innumerevoli ore abbiamo nuotato in una piscina di oscurità del Colorado fino ad arrivare qua a Gilman dove uno sparuto gruppo di minatori è stato benedetto dal miraggio di due ladies della borghesia newyorkese vestite in pelle e ricoperte di fango. Ci hanno offerto un pasto caldo e un luogo per riposarci e tra poco ci accompagneranno a recuperare le nostre moto. Per quanto mi riguarda per adesso mi sento fortunata anche solo a vedere un po’ di sole illuminare le montagne.
Devo andare.
Gussie
Agosto 1916
Caro Diario,
di nuovo la nostra fortuna si è rivelata più magnanima di quanto immaginassi. Ieri mattina ci trovavamo a circa 100 miglia da Salt Lake City quando nuovamente abbiamo perso la pista a causa di un’improvvisa tempesta di sabbia. Abbiamo tentato di continuare per qualche miglio ma continuavamo a rischiare di cadere e non riuscivamo più a distinguere la direzione da prendere.
Mentre tentavamo di ripararci dalle sferzate, abbiamo notato un’ombra avvicinarsi poco a poco e farsi sempre più grande. Non ci volevo credere, era un cercatore d’oro non solo fornito di un carretto trainato da cavalli pieno di provviste ma anche un acuto senso dell’orientamento che ci ha permesso di riprendere il viaggio in poco tempo. Ormai il suono del motore che scoppietta sotto di me sembra essere una canzone di cui conosco a memoria tutte le parole.
Devo andare.
Gussie
2 Settembre 1916
Caro Diario,
siamo arrivate! È il 2 settembre 1916 e San Francisco è più bella e raggiante di quanto potessi immaginare. Adeline e io siamo corse alla sede locale del Prepardness Movement per confermare l’avvenuta missione e non riesco a non sorridere se penso alle facce dei ragazzi che si trovavano lì. Poi ho visto nero su bianco i calcoli della nostra fatica: 5,500 miglia percorse in circa due mesi (sicuramente molto di più di quanto avessimo previsto all’inizio). Oltretutto, si sono complimentati con noi in quanto le sorelle Van Buren sono diventate così rispettivamente la seconda e terza donna a completare un viaggio coast-to-coast in motocicletta. Se ripenso a quello che abbiamo passato per arrivare qua devo darmi un pizzicotto, penso sia ancora dolo un sogno che la Gussie di New York ha costruito nella sua mente durante una pausa al negozio. Eppure sono qui, seduta vicino a mia sorella che ride ripensando a quando uno dei minatori del Colorado ha cercato di convincerci a rimanere lì con loro.
Gussie
Settembre 1916
Caro Diario,
è il nostro quarto giorno a San Francisco e diversi giornali hanno scritto di noi, complimentandosi più con le moto che con le guidatrici. Altre testate invece ci hanno accusate di star inscenando una farsa, di voler solo andare in giro a mostrare “le nostre forme femminili in uniformi eleganti color kakhi e avvolte in pelle”. La me del passato sarebbe stata furiosa per queste parole ma ormai temo di esserci talmente abituata da potermi permettere di scrollare semplicemente le spalle davanti un commento simile.
“Gussie sai stavo pensando una cosa” Addie mi riporta lì con lei mentre passeggiamo “Dopo tanto freddo e vento ho voglia di sole e caldo, nelle moto c’è ancora un po’ di benzina, abbastanza credo per raggiungere il Messico. Vogliamo andare?”.
Caro Diario probabilmente dovrò comprare una penna e qualche foglio nuovo. Ci sono altre miglia da percorrere e io non vedo l’ora.
A presto.
Gussie Van Buren
A Woman can if she will
Purtroppo per le sorelle Van Buren l’Esercito respinse la loro domanda d’incarico come staffette per le spedizioni.
Continuarono però a condurre vite appaganti e sciolte dalle regole dell’America post bellica.
Gussie servì come pilota e membro dei Ninety-Nines di Amelia Earhat, un gruppo dedicato a far crescere i ranghi delle aviatrici e Addie ottenne la laurea in giurisprudenza presso la prestigiosa New York University, una delle poche donne a intraprendere una carriera simile. Tuttavia, anche se la loro missione si è rivelata infruttuosa rispetto ai loro piani, hanno entrambe lasciato il segno nel mondo del motociclismo, vedendo i loro nomi (seppur postumi) inseriti tra i membri stimati dello Sturgis Motorcycle Musem nel South Dakota e nell’AMA Motorcycle Hall of Fame dell’Ohio.