L’attesa è quella dei grandi momenti. L’inizio di una stagione è sempre un grande momento. La prima partita di un campionato è sempre un grande momento, al di là della squadra che devi incontrare. Al grande momento il cuore di Roma ha risposto come sa fare, in effetti come fa da 34 giornate, con un tutto esaurito di abbonati e di biglietti dell’occasione.
Manca poco meno di un’ora all’inizio della partita e mentre mi lascio portare dalla marea di viale dei Gladiatori, la Sud già canta.
Il senso dell’attesa è tutto lì, tutto in quei cori.
L’Olimpico è il solito, vestito di giallorosso da cima a piedi, ma anche il settore ospiti è pieno e i tifosi della Salernitana si faranno sentire tambureggiando e cantando dall’inizio alla fine.
C’è anche qualcosa che è nell’aria e che unisce tutti.
Accade due volte perché è per due volte – prima chiamato dallo speaker e poi nel minuto ufficiale – che l’Olimpico tutto in piedi saluta e applaude il padre che ha cambiato campo, Carlo Mazzone. Applausi di anima e cuore. Commoventi.
I giocatori entrano in campo. Si schierano, l’Olimpico canta a una voce sola. Canta anche Belotti, come tutti. Come tutti anche lui scalpita. Nell’aria c’è anche qualcos’altro. Qualcosa che riguarda lui e tutti noi.
Poi la partita
L’esito è noto. Il 2-2 risponde a quello che abbiamo visto in campo. Una Roma incompleta per squalifiche, diserzioni dell’ultima ora e arrivi che arriveranno, gioca la sua partita. Qualcuno è già in forma, qualcuno meno, qualcuno ha addosso qualche confusione. Tutto comprensibile allo stato delle cose. Bella l’impressione lasciata da Aouar e bella anche quella lasciata da Renato Sanches che ha fatto vedere contrasti di fisicità di grande interesse. Limiti abbastanza evidenti nelle fasce che sono mancate almeno fino alle sostituzioni e vuoto naturale quello lasciato dalla diserzione del signor M., un vuoto che, però, è solo questione di tempo per affinare meccanismi e nuovi ingressi che lo colmeranno.
Poi c’è il Gallo
Era nell’aria. Era nell’aria da un anno, dal primo giorno che ha vestito la maglia giallorossa. Andrea Belotti è giocatore onesto e di sacrificio. Abbiamo atteso noi e ha atteso noi. Lui ha anche sofferto però, perché un attaccante che smarrisce il goal soffre. Intimamente, perché quella mancanza gli rimette in discussione una vita. Andrea Belotti ieri ha segnato tre goal. L’attesa è finita. Per tutti. L’Olimpico per lui è esploso tre volte. Immagino che a lui per tre volte sia scoppiato il cuore, ma lui ha il cuore forte, da atleta e la stagione è appena iniziata. Si dovrà abituare. Ci vogliamo abituare.
Due goal, non tre
Appunto. Al di là del risultato ufficiale, tre goal non due.
L’argomento è delicato e ampiamente discusso. L’occhio indiscreto è amato da tanti, meno da tanti altri. Il bello della tecnologia si dice. Può darsi, ma io preferisco parlare di filosofia. Io non sono sicuro che lo spirito del Gioco – e la maiuscola non è un refuso, ma rispetto profondo – si esprima nel fuorigioco millimetrico. Il Gioco è fatto anche di errori, cosa diversa dalla malafede che diamo per scontato non esista. L’errore è distribuito dalla sorte, a volte lì e a volte là. Poi, per dirla in francese, c’è la sfiga; questa sì che a volte si accanisce e speriamo che il palo di ieri non inizi la stessa sequela che ci ha visto protagonisti lo scorso anno.
Il goal annullato a Belotti per vizio millimetrico mi lascia il dubbio filosofico di cui sopra. Serve al Gioco il fuorigioco millimetrico? Non sarebbe il caso di dare una regola alla tecnologia sfuggendo al destino di esserne sopraffatti? Non sarebbe il caso, come suggerisce un mio amico che di calcio sa più di me, di introdurre un criterio di distanza non millimetrico tra un giocatore e l’altro per determinare il fuorigioco? Purtroppo non sono ottimista sull’esito del dubbio, ma intanto mi prendo il lusso di accreditare a Belotti tre e non due goal.
Discrepanze
Da diversi mesi, in ultimo qualche giorno fa, FIGC, Associazione Arbitri e stampa richiamano e rilanciano su regole e rispetto degli arbitri. Il tema ci è noto per motivi che è inutile riepilogare.
Detto questo, c’è da immaginare e sperare che anche l’operato di un arbitro – nei tempi, nei modi e nelle sedi dovute – possa essere oggetto di opinioni e di critica senza essere accusati di lesa maestà e di voler sovvertire il sistema.
Bene, però c‘è un però e riguarda la partita di ieri.
Belotti in area viene buttato giù da Coulibaly. Da dietro. L’arbitro ha giudicato il contatto leggero. Bene, sarà stato anche leggero, ma l’erba non fa essere il campo meno duro e Belotti non ha potuto completare la sua azione. Il fallo sarà stato anche leggero, ma magri con leggerezza ha impedito un tiro che magari andare fuori, essere parato o magari no. Sorvoliamo.
Accade poi che Gyomber stenda El Shaarawy e a fronte del giallo ben guadagnato sfida la sorte inviando platealmente e sonoramente a quel paese l’arbitro. Quel paese, proprio quello che ha un nome più colorito però. L’arbitro ci va e non accade nulla. Nulla.
Avete presente i proclami sul rispetto degli arbitri? Avete presente i titoloni sui giornali? Ecco, dimenticateli.
Invece di prendersi un rosso Gyomber torna sui suoi passi e continua la sua partita. L’arbitro anche, ma forse in un paese diverso.
A posteriori
Tutti bravi, sì. A posteriori siamo tutti bravi. I commenti valgono quel che valgono. Poi ci sono i giocatori che vanno in campo e chi ce li deve mandare, allenare e guidare. Noi guardiamo ed è già un lusso.
L’uscita, sempre su via dei Gladiatori, è un’altra marea. Stesso mondo, stesso popolo. Gente di mille partite, coppiette, padri e figli, madri e figli, moglie e mariti, lupi solitari. La bellezza del calcio è questa. Poi ci sono le voci perché gli allenatori all’uscita sono migliaia. Voci e commenti che ti circondano e che non puoi non sentire. Uno mi allarga il sorriso e non posso non citarlo. “…avemo fatto segnà uno che è un ex giocatore da tre, quattr’anni…”. Dice così e ovviamente si riferisce a Candreva. Mi cammina al fianco. Mi giro, lo guardo, sorrido e sorride anche lui ma, sempre detto in francese, con il sorriso di uno che je rode. La bellezza del popolo del calcio.
Scambio una battuta, lo saluto e continuo a camminare. Come tutti.
Tutti pensiamo di uscire, ma tutti camminiamo verso la prossima partita.