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George Clooney e l’epopea dei suoi Ragazzi in Barca

Uscito nelle sale americane a Natale 2023, Boys in the Boat racconta la storia della vera squadra di canottaggio americana che vinse l’oro durante le Olimpiadi di Berlino del 1936. Composta unicamente da outsiders della classe operaia, gli studenti dell’Università di Washington diventano simbolo di una nazione in ricostruzione
George Clooney

“Pale su”. Si potrebbe riassumere così il film di di George Clooney; “Erano ragazzi in barca”, tratto dal bestseller del 2015 di Daniel James Brown e presentato per la prima volta nelle sale americane lo scorso Natale. The Boys in the Boat ricostruisce l’impresa della squadra riserve di canottaggio dell’Università di Washington e di come, quasi con un trucco cinematografico, sia riuscita a raggiungere l’oro olimpico durante le Olimpiadi di Berlino del 1936.

Underdogs

Fin dalla prima scena, ambientata in una fumosa Chicago costellata solo da ciminiere e gruppi umani che si confondono e mescolano fra loro, Clooney non perde tempo: i protagonisti di questa storia sono gli underdogs, i giovani figli di un paese che non concede niente a chi come loro proveniente dal niente. Eppure nel vedere i volti dei ragazzi (cui si deve una menzione d’onore per la somiglianza con i loro corrispettivi storici) non si riesce a scorgere vergogna ma piuttosto un placido sentimento di rivalsa. È in ogni scorrimento sul carrello, in ogni pagaiata in acqua che l’equipaggio delle riserve trova il proprio posto nel mondo, spingendosi sempre più avanti, metro dopo metro.

La Grande Depressione

Vi è la necessità di specificare che questa non nasce come una storia di sport: sono gli anni della Depressione, molti giovani sono abituati ad una vita di mancanze e il mondo universitario in cui si svolge la vicenda rende ancora più evidente le disparità fra classi. Joe Rantz, giovane figlio della working class, presta allo spettatore i suoi occhi per entrare nella vicenda e non si vergogna nel dimostrare che, almeno all’inizio, quello che lo spinge a mettere i remi in acqua non è spirito sportivo ma necessità di racimolare qualche soldo grazie alla pensione per i membri della squadra universitaria.

George Clooney
(I ragazzi in barca di George Clooney)

Callum Turner alias Joe Rantz

Clooney tenta di impostare la sua storia come un vecchio film anni 60 in cui il protagonista, nonostante le difficoltà, riesce a prevalere solo attraverso il duro lavoro e il gioco di squadra ma Callum Turner, attore inglese protagonista della pellicola, conferisce al suo Joe uno spessore diverso. Lui è il protagonista, chi il pubblico dovrebbe favorire (e così è), ma non vi è mai la ricerca di compassione o comprensione quanto piuttosto la necessità di essere veicolo per raccontare una storia inimmaginabile anche per chi effettivamente l’ha vissuta. Interessante è il modo in cui vi sia una certa titubanza da parte sua a connettersi con l’osservatore, prima ancora che con il resto della squadra. Certo, non è la prima volta che un personaggio preferisce svelarsi man mano che la pellicola si dipana ma è il modo in cui Joe Rantz lo fa che lo rende particolare: affidandosi a silenzi, poche parole che permettono solo in parte allo spettatore di diventare pienamente consapevole di ciò a cui sta pensando. Ma alla fine Joe, come gli altri canottieri, è solo un ragazzo, non ha alcun desiderio di essere analizzato quanto piuttosto compreso.

Tecnica e storia

Punto debole della pellicola potrebbe essere proprio l’assenza di numerose interazioni fra tutti i membri dell’equipaggio, ma da parte di Clooney sembra  emergere la necessità di superare il divario ragazzi/atleti per concentrarsi piuttosto sul reale monito espresso dal cardine della storia, il coach Al Ulbrickson, interpretato da un Joel Edgerton in ottima forma. È lui a dire: “sulla barca non state remando in otto, ma siete un unico grande meccanismo”.
È nei campi lunghi che questa necessità di sincronia diventa fondamentale nonché adrenalinica per chi osserva: le scene sono montate veloci, rimbalzando da un volto all’altro, soffermandosi su muscoli tesi all’inverosimile e sul rumore delle pale che, tagliando l’acqua, sembrano voler imitare il rombo di un aereo.

US rowing Berlin 1936
(Berlino 1936. I veri ragazzi in barca)

Berlino ’36

Anche nelle scene di Berlino ’36, quello che emerge è lo spirito di resilienza di ragazzi che rimangono giovani nel loro modo di reagire a una vittoria che, a tutti gli effetti, non era pronosticata. Eppure, sia la squadra sia gli spettatori, si trovano invischiati nella non più flebile possibilità di credere che qualcosa di simile possa accadere. Per quanto il regista preferisca lasciare spazio alle capacità della squadra piuttosto che alle sfide effettive delle competizioni, nulla preclude però di sentirsi il cuore in gola quando gli atleti dell’università di Washington tagliano il traguardo.

Storia americana

Nel voler rappresentare una classica storia americana di riscatto, forse il tentativo di Clooney potrebbe sembrare a tratti arrogante (soprattutto se paragonato ad altri caposaldi del passato come Momenti di Gloria di Hugh Hudson che prende spunto da un’altra vicenda di sport olimpico del primo ‘900) ma il desiderio di portare i propri omaggi a una Hollywood ormai estinta supera l’anacronismo e sfocia in ammirazione. George Clooney dipinge in quasi due ore di film la più classica delle storie: il percorso dell’eroe, costretto ad affrontare sfide di ogni genere, per ottenere ciò che più desidera, trovandosi oltretutto cambiato alla fine del percorso.  È una storia sportiva che forse avrebbe giovato da altri ambiti di contesto interessati, soprattutto legati ai Giochi Olimpici. Memorabile è il cameo di un giovane Jesse Owens, come la decisione della squadra di non salutare la bandiera tedesca durante le cerimonie di apertura (evento non rappresentato sullo schermo, ma solo accennato via radio).

Una bellezza eccezionale

Il regista è andato sul sicuro, dipingendo una storia che smuove le masse e fa appello all’insito desiderio umano di radunarsi intorno ad una radio per celebrare lo sport, primo fra i veri collanti sociali. Lui lo sa e seppur evitando estrosi mutamenti registici fornisce allo spettatore ancora un motivo per emozionarsi e ricordarsi che “uno sport come il canottaggio, duro lavoro e poca gloria, possiede una bellezza che solo gli uomini eccezionali riescono a vedere” (George Yeoman Pocock). George Clooney ha abbastanza fiducia da trovarlo in ognuno di noi.

 

Giulia Colasante si affaccia al mondo nell'ultimo anno del secolo scorso, in tempo per sentirne raccontare in diretta, abbastanza per rimanerne incuriosita. Giornalista pubblicista, laureata in Filosofia e in Scienze Cognitive della Comunicazione e dell'Azione, continua a studiare il futuro che attende lei, ma anche un po' tutti gli altri.

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