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Valanga Azzurra. Cinque anni di leggenda

Alti e bassi per l'Italia dello sci. La squadra femminile c'è, tra gli uomini sono sempre troppo poche le carte da giocare. Complessivamente, manca la profondità.  Serve lavoro sodo, cura del talento, programmazione ed allineamento dei pianeti. C'era un tempo che siamo stati tutto questo. Il tempo di una valanga di emozioni. Una Valanga Azzurra. 
Valanga Azzurra

Noi, oggi

Archiviata la stagione di sci alpino divisa tra l’edizione numero 57 della Coppa del mondo e l’edizione 47 dei mondiali.
I due globi di cristallo più prestigiosi restano a casa Shiffrin e casa Odermatt, fenomeni planetari e superlativi assoluti finiti da un pezzo.
Per noi, delle otto coppe di specialità, c’è quella di discesa con Sofia Goggia, al quarto trionfo dopo 2018, ‘21 e ‘22. Benissimo Federica Brignone, seconda nel SuperG, e Marta Bassino, terza nel Gigante. E sono ancora Federica e Marta a difendere alla grande i nostri colori nell’appuntamento clou dell’anno: il mondiale di febbraio sulle nevi francesi de “L’Eclipse” di Courchevel e del “Roc de Fer” di Meribel.
L’Italia chiude con quattro medaglie. Ci voltiamo e  troviamo alle nostre spalle Canada, padroni di casa, Germania ed Austria. Svizzera e Norvegia davanti e gli americani solo di un soffio: due argenti contro un argento ed un bronzo per noi. La tigre Fede Brignone centra l’oro di combinata e l’argento nel Gigante cedendo di un’inezia (13 centesimi) alla Shiffrin.
Sweet revenge
per Dory, pesciolino senza memoria, Bassino che ferma il crono 12 centesimi prima dell’americana per l’oro del SuperG.
Stecca di brutto Sofia Goggia che inforca a pochi metri dal traguardo della libera con le altre (Curtoni, Pirovano, Delago) nelle posizioni di rincalzo. Mondiale amaro per la regina delle nevi che però fa bene a tracciare il consuntivo della stagione ’22-’23 senza ghirigori: “A parte una discesa dove sono caduta ed il mondiale che è andato come è andato, il peggior risultato stagionale è un secondo posto. Mi devo solo leccare le dita. Ho uno score in discesa libera pazzesco. È stata una stagione dominante, con otto podi su nove gare, mai uscendo dal secondo posto. Cosa voglio di più”.
Chiude la breve analisi, il bolzanino Alex Vinatzer che cancella lo zero maschile con il bronzo dello Speciale, un raggio di luce tra le nubi che incombono da un pezzo sul settore: un ibrido tra veterani senza grandi cartucce, giovani che si contano sulle dita di una mano e una generazione di mezzo mai capace di imporsi per davvero. 
Bilancio, in quattro parole? Ci siamo difesi bene. Senza andare a valanga.
Valanga. Altra cosa, ricordate? La Valanga Azzurra.

Berchtesgaden ’74

La Valanga Azzurra. Etichetta abusata dai media, creata dai media, ma di primogenitura incerta.
Giornalista italiano, stampa austriaca, tecnico tedesco?
Di sicuro c’è solo luogo e data di nascita della Valanga Azzurra: Berchtesgaden, 7 gennaio 1974, Baviera orientale, 24 km da Salisburgo, meno di 200 da Monaco. Località di neve e di storia, non distante dal picco Kehlstein che sovrastava il nido dell’aquila prima di essere bombardato (’45) e raso al suolo (’52). 

(Gustavo Thoeni)
(Gustavo Thoeni)

È lunedì, in programma il terzo Gigante maschile di coppa del mondo. Non c’è la RAI – la funivia non è ideale per trasportare attrezzature pesanti -, non ci sono giornalisti italiani accreditati (se ne pentiranno), dei nostri solo un fotografo. 
Hinterseer e Berchtold, punte dello squadrone austriaco, osservati speciali. Hanno portato a casa i primi due Giganti stagionali e tanto basta per orientare i pronostici.  Noi bene, secondo Schmalzl e terzo Gros nella prova di esordio, non benissimo.
La nostra stella più bella è Gustav Thoeni, tre coppe del mondo di fila (1971-’73) e oro a Sapporo ’72 proprio nella prova ritenuta la più completa dello sci alpino. È lui il traino della squadra, il piemontese di Salice d’Ulzio Piero Gros segue da vicino poi, sempre più agguerriti, un manipolo tra promesse e certezze guidati in modo irripetibilmente impeccabile da Mario Cotelli supportato dai tecnici Luciano Panatti ed Oreste Peccedi

Piero Gross
(Piero Gross, al centro)

Pierino

Cielo coperto, pendio corto, tracciatura angolata, neve ma non ghiacciata, gara difficile. Porte alternate rosse e blu, tra i 60 ed i 70 km orari nei tratti di scorrimento, la tecnica e la sciolina dicono che siamo i più forti. Pierino Gros si scatena da subito, va giù al limite, cerca il distacco importante. Suo il miglior tempo di manche, dietro di lui ancora Italia: Thoeni ed Helmut Schamlzl che conferma il buon periodo. Hans Hinterseer salta prima dell’intermedio, l’altro austriaco Hauser è il più vicino al podio tinto di azzurro.
Non si può non essere ottimisti nel clan italiano, ma c’è chi ha un diavolo per capello. È cavallo pazzo Erwin Stricker (il mio preferito, apro e chiudo), uno che viene giù senza stare a pensare, genio e di più sregolatezza, ma intendiamoci tutto tranne che un parvenu. Dopo Schranz e Killy, è il primo sciatore a guadagnare il primo gruppo in tutte e tre le specialità dell’epoca (discesa e due slalom). Erwin ne combina una delle sue, va praticamente fuori, ma non molla – non lo sa fare – e risale una porta per chiudere dodicesimo a 2’54” dal Pierino di nome, lui di fatto.  È infuriato, ma a chi dice “fai  buona la seconda manche e sei facile nei dieci”, risponde:  “Decimo? Scommettiamo che vado sul podio?”. Non so se scellini o marchi, ma un preparatore atletico austriaco accetta la sfida e ci lascia bei soldi.

Pokerissimo 

Il tecnico tedesco disegna la seconda manche, ancora più ripida ed angolata, più lunga e quindi tecnicamente più insidiosa. I nostri non sbagliano. Gros controlla, ma la condizione è tale che è ancora suo comunque il miglior tempo. Thoeni, un elaboratore elettronico nella testa, scende benissimo, consapevole che il secondo posto porta punti preziosi. Schmalzl paga un errore nella parte alta. Stricker lo scalza dal podio, sì proprio il cavallo pazzo, rabbia agonistica che non basta mai tra i pali se non sostenuta da una tecnica, in questo caso, superiore. È trionfo Italia, quattro italiani nei primi quattro posti. Sgomitano i fotografi per lo scatto da consegnare alla storia, i nostri atleti raggianti, ma a modo loro, modo di montagna, sci alti e sorriso appena accennato. Solo Massimo Sperotti, fotografo italiano, chiede una foto in più, ancora una mentre tutti gli altri reporter sono già avviati verso la funivia di ritorno. E nel mentre, un boato dalla linea d’arrivo segnala l’impresa impossibile. Ancora uno di noi, Tino Pietrogiovanna, il colonnello valtellinese, pettorale 43, sale su fino al quinto posto. Cinque palle di neve scese giù a valanga come il circo bianco non aveva mai visto.
Si fa la storia, si rifà la foto, è il battesimo della Valanga Azzurra .

Leo David
(Leonardo David)

In ricordo di Leo

Il mito della Valanga Azzurra dura cinque anni. Chiude, strazio che non si cancella, con la caduta di Leo David sulla pista Olimpia delle Tofane. Le belle favole non dovrebbero mai finire male. 

 

…………..

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Venti di calcio

Roberto Amorosino romano di nascita, vive a Washington DC. Ha lavorato presso organismi internazionali nell'area risorse umane. Giornalista freelance, ha collaborato con Il Corriere dello Sport, varie federazioni sportive nazionali e pubblicazioni on line e non. Costantemente alla ricerca di storie di Italia ed italiani, soprattutto se conosciuti poco e male. "Venti di calcio" è la sua opera prima.

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