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Roald Amundsen. Avventura a Nord-Ovest

Custodito da un Mar Glaciale Artico implacabile, il passaggio a Nord-Ovest è stato a lungo il sogno da accarezzare, il mito da svelare. Tanti hanno provato, ma uno solo è riuscito a trovarlo e a segnarlo sulle carte: Roald Amundsen. Esploratore, avventuriero, uomo coraggioso che ha saputo sfidare e vincere i ghiacci del mondo fino a quando il Mar Glaciale Artico non lo ha voluto tutto per sé.
Roald Amundsen

C’è un luogo il cui nome è sulla bocca di tutti, ma che nessuno ha visitato, si trova a Nord del Canada dove l’acqua gela, esattamente dove l’Oceano Pacifico e l’Oceano Artico si incontrano: è il passaggio a Nord-Ovest.
Per secoli se ne è solo immaginata l’esistenza, chiunque tentava di raggiungerlo non faceva ritorno.
Ci sono però luoghi e storie che devono essere trovate e ci sono uomini che a questo dedicano una vita intera. Proprio come Roald Amundsen.

Incontro al destino

Roald Amundsen nasce a Borge nel 1872 in una famiglia di armatori e comandanti. A soli 21 anni già sa che la sua via è quella delle esplorazioni, lascia la facoltà di medicina e prende parte ad alcune esplorazioni della zona artica.
Dal 1897 al 1899 partecipa come primo ufficiale alla prima spedizione invernale in Antartide sulla Belgica comandata Adrien de Gerlanche. Sarà proprio Amundsen che, insieme al medico di bordo Frederick Cook, ne assumerà il comando quando De Gerlanche sarà colpito dallo scorbuto
Nei giorni della spedizione spesso si parla di quello che nessuno ha mai raggiunto e trovato, un luogo a Nord, la cui scoperta e navigazione avrebbe per sempre cambiato le traiettorie mercantili: il Passaggio a Nord- Ovest.

Sir John Franklin, Erebus e Terror

Determinato a essere il primo, Roald Amundsen decide di organizzare una spedizione alla ricerca di quel luogo che forse neanche esisteva. Inizia a parlarne, ma tutti quelli a cui confidava le sue intenzioni scuotevano la testa. Impensabile, dicevano, tentare di nuovo la traversata dopo che la spedizione Franklin del 1845, considerata la più grande di quei tempi, era scomparsa proprio in quella parte di Oceano.
Erebus e Terror, le due navi che al comando di Sir John Franklin tentarono di liberare il passaggio tra i ghiacci artici dalla Baia di Baffin al Mare di Beaufort, non tornarono mai indietro. Vani furono anche i tentativi delle spedizioni di soccorso che, delle navi, trovarono solo pochi resti. Ciò che al tempo si scoprì fu che le navi rimasero bloccate nel ghiaccio vicino all’isola King William e non furono in grado di disincagliarsi. Da un diario di viaggio poi ritrovato in un villaggio Inuit e aggiornato fino al 25 aprile 1848, si è potuto datare all’11 giugno 1847 la morte di Sir John Franklin. Non diverso il destino degli equipaggi, con una ventina di uomini morti a bordo e gli altri morti invece una volta abbandonate le navi per incamminarsi verso un’illusoria salvezza.
Nel 2014 una nave da ricerca canadese della Victoria Strait Expedition ha localizzato il relitto di Erebus, custodito intatto a 12 metri di profondità nelle acque artiche ad ovest di O’Reilly Island, nel golfo della Regina Maud. Il 3 settembre 2016 è invece la volta di Terror, individuata dalla Arctic Research Foundation Expedition a sud di King William Island su un fondale di circa 25 metri.

Gjøa

 

Un peschereccio di sardine

L’unico a dare fiducia ad Amundsen fu Frijtdof Nansen, celebre esploratore norvegese e mentore dello stesso che decise di mettere a disposizione del suo pupillo fondi e conoscenze per affrontare l’impresa verso il Polo Nord Magnetico.
Con Amundsen sono sei gli uomini a bordo della Gjøa, peschereccio di 22 metri: Godfred Hansen, secondo in comando e metereologo; Helmer Hanssen, il timoniere e incredibile suonatore di fisarmonica; Anton Lund, baleniere e cacciatore; Peter Rivstedt, sergente di fanteria e allevatore; Gustav Juel Wilk, ufficiale di artiglieria, il più giovane a bordo, studioso di strumenti magnetici; Adolf Lindstrøm, cuoco con lunga esperienza di vita a bordo.

 

Lasciando la terra alle spalle

Il 16 giugno 1903 Amundsen e i suoi salpano. Partono di notte però, per evitare ostacoli dei creditori con i quali, per l’acquisto di nave, attrezzi, strumenti e viveri, era fortemente indebitato.
Il viaggio della Gjøa era però stato organizzato nei minimi dettagli: ogni sosta, ogni rotta e ogni passaggio erano stati studiati da tutto il gruppo. La filosofia di Amundsen per cui era preferibile un gruppo di poche persone, ma affiatate e competenti, si dimostrò vincente; tutti erano occupati, nessuno svolgeva mansioni inutili e questo sostenne il morale nel corso della spedizione.
Prima tappa in Groenlandia, dove imbarcano 20 cani e altre forniture, e poi via verso est.  Gjøa supera Beecheu Island e lo stretto di Franklin, nominato così proprio per Sir Franklin, ed arriva all’estremità meridionale dell’isola King William, oltre il Circolo Polare artico.

Amundsen e l'equipaggio

Amundsen stabilisce base a sud-est dell’isola e qui trascorre due anni a condurre studi sul magnetismo polare. Da qui, nel tentativo di raggiungere il Polo Nord magnetico, più volte affronta marce sulla neve sulle slitte trainate dai cani. Intensi furono anche gli scambi con le comunità Inuit dell’isola, grazie ai quali l’equipaggio del Gjøa poté affrontare al meglio le temperature artiche scambiando i vestiti in lana con le loro pellicce, molto più utili e calde.

Il Passaggio è aperto!

La Gjøa riprende il largo nell’estate del 1905: il 17 agosto raggiunge Capo Coulbourne punto più a nord mai toccato dalle navi dello Stretto di Bering: il passaggio a Nord-Ovest è stato aperto. Non basta. La navigazione prosegue fino al 2 settembre, quando il ghiaccio li ferma sull’isola di Herschel. Amundsen e Rivstedt, impazienti di condividere con il mondo la notizia del successo dell’impresa, ne fecero un’altra. Lasciarono la Gjøa e il resto dell’equipaggio e, con cani e slitta, attraversarono 1.600km di ghiaccio sfidando temperature fino a -50 gradi per raggiungere la stazione telegrafica più vicina in Alaska, a Circle. Spedito il telegramma che annunciava al mondo l’impresa, ovviamente, tornarono a bordo.

Amundsen e l'equipaggio

La Gjøa rimarrà intrappolata fino al 10 luglio dell’anno successivo, quando riuscirà a ripartire per arrivare a Nome in Alaska, dove il 31 agosto sarà accolta da un popolo in festa.
Da allora, se il mondo è stato più vicino, il merito è anche di Roald Amundsen, dei sei della Gjøa e della loro grande avventura.

Una vita così

Per tutta la vita Roald Amundsen subirà il fascino dell’avventura, delle scoperte e delle esplorazioni sui ghiacci. L’impresa del Polo Sud, conquistato il 14 dicembre 1911 in gara aperta con Scott, l’esplorazione del Polo Nord, il volo sul dirigibile Norge con Umberto Nobile.
Per Roald Amundsen la fine, se mai possiamo chiamarla fine, arriva nel modo in cui era vissuto.
Saputo dell’incidente al dirigibile Italia comandato da Nobile, il 18 giugno 1928 Roald Amundsen si alza in volo con un idrovolante per mettersi anche lui alla ricerca dei dispersi. Il Mar Glaciale Artico non perde l’occasione e prende con sé l’uomo che lo aveva sfidato e vinto.
Dopo alcuni mesi i resti dell’idrovolante saranno ritrovati a nord della Norvegia.
Del Comandante nessuna traccia.
Il Comandante è nel grande bianco e, da allora, è ancora lì che riposa.

 

Rachele Colasante nata a Roma nel 1999, da sempre incuriosita dalle storie, studia Lettere a RomaTre cercando di scrivere la sua al meglio. Ancora non sa dove la condurrà il suo percorso, ma per ora si gode il paesaggio.

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