Sono riuscito a non piangere quel giorno. 18 febbraio, mannaggia. Freddo, cielo buio, minaccia pioggia forse neve e mannaggia un’altra volta. Sono riuscito a non piangere fino a quando non ho visto un signore anziano – bastone ad aiutare il passo incerto, barba lunga, sguardo a terra – procedere verso la chiesa di San Giacomo.
Charly Gaul, piegato dalla solitudine e dalla malattia, qui a Cesenatico per accompagnare Marco Pantani verso l’ultima salita.
L’angelo della montagna ed il pirata. La bellissima amicizia di due generazioni distanti, di un’armonia che il padre desidera con il figlio, di un comune sentire senza parlare, di un pedalare soli contro vento e contro tutti. Due scalatori puri, leggeri, imprevedibili ed istintivi con, di mezzo, planimetria e destino quasi mai dalla loro.
Marco non doveva fare quello scatto la notte di San Valentino, Charly sapeva già che lo avrebbe seguito da lì a breve.
E soprattutto, maledizione, la verità non doveva far finta di niente.
Charly Gaul e Marco Pantani. Dimmi come hanno vissuto
Dimmi tre imprese di Marco Pantani mi chiede Erno mentre su Rai Italia passa la diretta, gruppo compatto, di una tappa piatta, ma sempre bella, del Giro di quest’anno.
Mica facile rispondere, so di fare dei torti, ma nessuno se la prenda.
Giro ’94
La quattordicesima. Marco Pantani ha 24 anni ed ancora qualche capello. Da Lienz a Merano (prendere nota). Riprende Pascal Richard e lo distanzia in discesa con una facilità ed una aerodinamica mai vista.
Tour ’97 e Tour ’98
La tredicesima al Tour ’97. L’Alpe d’Huez più veloce di sempre. C’ero, sai, e quel boato che lo procedeva, tifosi ai fianchi ed elicottero sopra la testa – tornante dopo tornante – lo sento ancora. Jan Ullrich e Richard Virenque, con addosso le maglie più importanti, prendono una bella lezione.
La consacrazione al suo per sempre Tour ’98 con le Deux Alpes dove, sotto una tempesta di pioggia, straccia Ullrich attardato di otto e passa minuti. C’est un géant titola l’Équipe in prima a nove colonne.
E le tre imprese di Charly Gaul?
Va bene, ma qui non è più scrigno personale e setacciare fra i racconti mi è paradossalmente più facile.
Giro ’56
Ventesima tappa del Giro ‘56 da Merano (!) a Monte Bondone. Giornata epica, funestata dal maltempo. Neve, vento, gelo e Gaul che scrive una pagina memorabile di ciclismo. Attacca da subito, solo l’aquila di Toledo, Bahamontes regge ma dura poco. È una solitaria, eroica corsa verso i 1.654 metri della montagna che sovrasta Trento. Gaul evita un burrone quando i freni cedono, ma si deve arrendere allo stop imposto dal suo direttore sportivo, il mitico Learco Guerra, che lo fa scendere dalla bici per infilarlo in una tinozza d’acqua bollente (dono, ben retribuito, di una signora di Levico Terme che mette a disposizione anche la stufa per una veloce asciugatura della maglia). Mossa azzardata, ma vincente. Gaul riparte ed affronta l’inferno del Bondone in condizioni migliori della sbriciolata concorrenza. Taglia il traguardo comunque semicongelato, ci vorranno quaranta minuti per riuscire a proferire parola e realizzare che, dal ventiquattresimo posto della mattina, è salito su su fino alla maglia rosa. Fantini, secondo ad otto minuti; Magni, stoico con un laccio stretto fra i denti per pedalare con una frattura alla spalla, a dodici; Fornara, leader sino a quel momento, costretto al ritiro come altri 43 corridori degli 87 al via.
Tour ’58 e ’59
Due vittorie decisive nel Tour del ’58: da Briancon a Aix-les-Bains con cinque colli da scalare, e la crono da Besancon a Digione.
Nel ’59, invece, la penultima, da Aosta a Courmayeur strappando la maglia a Jacques Anquetil, che becca la bellezza di nove minuti, con un attacco prodigioso sul Piccolo San Bernardo.
Charly Gaul e Marco Pantani. Senza bici non so stare
Il lussemburghese ed il romagnolo. Leggi di Sciarli’ Gol, per i francesi, e non puoi non pensare all’altro con l’accento sulla i del cognome.
Pensieri e parole che rafforzano il legame unico tra i due.
Scrivono di Charly Gaul a fine anni ’50: “Uno sguardo triste e timido sul suo volto, segnato da un’insondabile malinconia come se una divinità malvagia lo avesse costretto a una professione maledetta tra cavalieri potenti e implacabili“. “È piccolo, ma si fa rispettare, anche un po’ guascone“.
Un giorno di Alpi, al Tour ’58, Charly Gaul provoca Louison Bobet senza mezze misure: “Facciamo cosi’, ti dico dove attacco domani, sulla salita di Luitel, anzi ti dico il tornante dove prendo e parto“. Sono dodici i minuti fra i due a fine tappa: la rivincita servita fredda dopo l’incidente dell’anno prima al Giro quando Bobet, complice Nencini, aveva approfittato di una sosta fisiologica dell’avversario. “Ricorda Bobet, sono stato garzone di macelleria, so usare anche il coltello. Ma sei fortunato, mi basta spingere sui pedali per farti male“.
Che poi Charly Gaul non corre contro Bobet, Anquetil, Bahamontes ma contro i suoi incubi oppressivi, contro le sue modeste origini, contro una vita senza sorprese. Contro sé stesso. Alleato solo di due gambe elettriche e di un viso da cherubino che sa come nascondere la fatica. Di poche parole, spesso dure. Tutta l’eloquenza e l’attenzione per la bici, solo per la bici.
Come l’albatros strappato al mare di Baudelaire, senza bici non può stare.
Come Marco Pantani, altrettanto due ruote dipendente, in eterna fuga dall’omologazione che se butta via occhiali e bandana sai che non ce n’è più per nessuno.
La fiamma rossa ed il fantasma
Nessuno è mai andato così forte in salita come Charly Gaul.
Nessuno fino a Marco Pantani.
Due campioni che sono uno, il rosa ed il giallo insieme, senza essersi mai confrontati. Due scalatori, lo stesso fantasma che sfreccia sotto la fiamma rossa a un chilometro dal traguardo che non c’è, perché non è la vittoria, ma il vincere più grande quello che cercano.
O forse non è un fantasma, caro Erno, è un Pierrot che piange le mie lacrime, finalmente mischiate alla pioggia di Romagna.
[Charly Gaul, 8 dicembre 1932 – 6 dicembre 2005; Marco Pantani, 13 gennaio 1970 – 14 febbraio 2004]