Si può scegliere una professione per passione, per caso e anche per necessità. Con lo sport è diverso, perché comunque vada all’inizio, poi si rimane sportivo per la vita. Su questo Massimo Salusti non ha dubbi.
“Quando penso oggi a quella persona che ho odiato, che forse ho pure maledetto, ma solo come può farlo un bambino di sei, sette anni, sto parlando di colui che mi obbligava a fare cose che non volevo, che mi costringeva a levatacce la domenica mattina, insomma, quando penso a quell’uomo lì e alle sue imposizioni, ancora oggi mi attraversa il corpo una corrente generata da un mix di sentimenti che non saprei descrivere”.
Queste le prime parole con le quali Massimo Salusti, avvocato da trentacinque anni, nel suo studio, apre l’intervista di un’oretta che andando avanti si rivelerà ricca di sorprese per ciò che nel suo essere un piccolo sportivo, come egli stesso ama definirsi, è riuscito a fare, dimostrando, ove mai ve ne fosse bisogno che non è mai come sembra e tutto è possibile.
Di padre in figlio
“Sarà affetto, o forse nostalgia per non aver saputo cogliere che tutto ciò che all’epoca detestavo era solo volto a formarmi e a farmi crescere in fretta. O magari invece è solamente amore”. Amore, una parola pronunciata da Massimo Salusti a bassa voce, quasi per non farsi capire, anzi pare quasi si vergogni, poi, dopo un profondo respiro confessa che forse è amore perché quell’uomo è suo padre e solo da adulti i figli, soprattutto i maschi, realizzano di non dover avere timore a usare certe parole che – chissà per quale retaggio culturale – sovente sono di esclusivo uso da parte dell’universo femminile. Massimo è naturalmente felice che suo padre, nato nel ’34, sia ancora in vita e soprattutto in perfetta forma.
“Fino a una decina di anni fa aveva ancora il vezzo di illuminarmi sui casi giuridici più complessi perché lui è stato un bravo avvocato”. E, roba da non crederci, l’unica cosa per la quale racconta di non aver subito alcuna costrizione fu proprio l’iscrizione a giurisprudenza e la laurea in legge. Anzi, ricorda che suo padre aveva pure provato a dissuaderlo. Erano ben altre le cose che gli imponeva, e se oggi può affermare di avere praticato più sport, sia pure a livello amatoriale lo deve esclusivamente a lui. Ma quanti sacrifici, dichiara.
La filosofia dello sci
“Era il 1966, avevo sei anni, quell’uomo mi mise sugli sci contro la mia volontà, a lui piaceva sciare, prosegue nel suo racconto, e nella sua testa sognava forse di poter fare un giorno tutte le “nere” dell’arco alpino in mia compagnia”.
L’Avvocato, il grande Salusti si rivela un vero sportivo, amante degli sport estremi, di sicuro un’eccezione per quei tempi. Autoritario come potevano esserlo i genitori dell’epoca, ricorda Massimo “mio padre lo era di più e spesso ricorreva anche a punizioni se mi ribellavo”. La domenica d’inverno è un rito andare al Terminillo e così è stato per buoni cinque anni.
Il piccolo odia lo sci e più si rifiuta per via di una paura indicibile, talvolta capita pure che si bloccasse su una pista, e più il grande si incaponisce. Dai sei agli undici sono cinque anni infernali, da incubo. Non esistono stagioni, sono tutte uguali, l’estate padre e figlio la passano fra lo Stelvio e il Tonale, è così e non si negozia.
A questo punto due episodi di quel periodo che riaffiorano alla mente: “Eravamo sul Gran Sasso, caddi e perdetti uno sci che finì nella vallata con tutto lo scarpone, era facile che potesse accadere, si trattava di attrezzi preistorici. Mio padre non solo non mi venne incontro ma andò via lasciandomi solo. A pomeriggio inoltrato, stanco, forse distrutto dal peso dell’unico sci in spalla, raggiunsi la base. Era il suo modo per farmi diventare uomo in fretta.
Il secondo episodio si verificò invece al Tonale, ero un po’ più grandicello, avevo compiuto undici anni e quella volta finalmente riuscii a ribellarmi tanto che lui con il solo cenno del capo acconsentì che mi buttassi su una pista più facile. Mi passarono davanti due ragazzini, apparentemente miei coetanei, che mi colpirono per la fluidità con la quale scivolavano sulla neve e così decisi di accodarmi a loro. Fu la prima vera volta in cui sulla neve riuscii a sentirmi libero e compresi la bellezza dello scendere a valle su quella strada tutta bianca”.
Il bello dello sci
La vita di Massimo Salusti così cambia, da sciatore frustrato a sciatore convinto, racconta che i successivi sono infatti tre anni bellissimi, estate e inverno sulla neve in compagnia di maestri che contribuiscono a perfezionarlo, a migliorargli la tecnica e a quattordici anni gli permettono di diventare il numero uno tra i suoi coetanei. “Io, che fino a poco prima mi ero sempre sentito un po’ imbranatello, con le ragazze, diciamolo, ero una frana. Insomma, grazie allo sci acquisii personalità, carattere, sicurezza e determinazione. A quel punto pensai di aver conquistato da parte di mio padre la stima del Massimo sciatore. Niente affatto. Non solo non ebbe una parola di conforto o di apprezzamento per il livello che avevo raggiunto ma pensò bene di iscrivermi allo Sci Club Avvocati Romani (SCAR) con il quale mi costrinse a partecipare alle tante gare di sci che si tenevano nelle varie località italiane”.
L’incontro con i campioni
Un giorno, a diciassette anni, Massimo Salusti si trova al Tonale nel mezzo di una selezione per maestri di sci, la sua sciata pulita spinge uno dei suoi istruttori a convincerlo di tentare anche quella strada. Non passa l’esame per un’inezia, la cosa gli riesce invece l’anno successivo quando partecipa a una selezione, quella volta nazionale, che si tiene nella stessa località, spalmata su più giorni.
È un immenso piacere, e anche una grande emozione per lui trovarsi a scendere in compagnia di numeri uno dello sci mondiale. Fa i nomi di Gustav Thoeni, Piero Gros, Paolo De Chiesa, tutti componenti di quel gruppo che era stato la valanga azzurra.
Ogni giorno bisogna affrontare una diversa prova d’esame, quella del passo spinta inventato dal nostro numero uno dell’epoca che consente, appunto, a Thoeni di non parteciparvi, Massimo la supera grazie alle tante volte che lo aveva visto fare in TV. È poi la volta dello spazzaneve, Gros si rifiuta ed è costretto ad abbandonare la selezione, Thoeni ottiene il punteggio più alto.
Di lui, ricorda Massimo, lo colpisce soprattutto l’umiltà con la quale approcciò la tecnica e l’esame, sembrava un allievo secchione alla seconda giornata di lezione. Di quelle giornate ricorda che quando non sciavano erano tutti insieme nello stesso rifugio, mangiavano assieme e passavano insieme il tempo libero, bello essere alla pari con grandi campioni. “Alla fine di quelle giornate io passai pure l’esame finale e diventai maestro di sci con una buona votazione, Thoeni passò con dieci su dieci, cosa mai verificatasi prima. Mi rimarrà impressa l’eleganza del suo spazzaneve, cosa che pochi seppero fare così bene”.
Da allievo a maestro
Ha così iniziò l’avventura di Massimo Salusti maestro di sci al Terminillo.
Il Presidente del suo sci club lo invita, anzi lo convince a fare l’allenatore di bambini e ragazzi dagli otto ai quattordici anni, pur essendo solo un maestro, e così tutte le domeniche sveglia alle quattro del mattino e dopo aver caricato sul pulmino i tanti sciatori in erba, a rotazione insieme raggiungono le varie stazioni vicino Roma, Monte Livata, Campo Staffi, e lo stesso Terminillo.
L’estate è poi la volta della Val Senales per mantenere viva la passione e i ritmi di quello che si fa l’inverno con i ragazzi e per il tono muscolare. “È stato un lavoro appassionante, stancante, l’ho fatto con piacere fino a quarantacinque anni, dovendolo peraltro coniugare anche con famiglia e lavoro. Allo sci devo la fiducia in me stesso acquisita negli anni. Di quel periodo mi rimarranno le gioie dei ragazzi che vedevano i progressi giorno dopo giorno, i pianti per sconfitte di decimi di secondo, le cadute, qualcuna pure rovinosa. Ma soprattutto le manifestazioni di affetto ricevute in tanti anni e da me ricambiate con uguale intensità”.
Vela, amore a prima vista
Alla già menzionata età di undici anni, quella della svolta sugli sci, la famiglia era in vacanza in un villaggio turistico dove l’Avvocato, il grande, si cimentò con una deriva. L’esperienza gli è sufficiente perché, una volta tornato a Roma, si convincesse in poche ore a comprare un quattro metri.
È così che Massimo Salusti piccolo si innamora della vela in tempi molto più rapidi di quanto non sia accaduto per lo sci.
Grazie ai buoni guadagni come maestro sulla neve, mette su il gruzzolo per l’iscrizione alla lega navale e per frequentare il corso che lo abilita a prendere la patente nautica. E poi, grazie a due allievi sciatori, uno proprietario di una barca e l’altro, figlio di un armatore, riesce a farsi adottare da entrambi come mozzo.
Il successivo passaggio a istruttore di vela, per il solo fatto che è già maestro di sci, è breve e così pure la partecipazione alle prime minicrociere, verso il Giglio o verso Ponza, a seconda del vento, con barche di circa quarantatré piedi, a suo dire, piuttosto scalcinate. “A seconda degli impegni, nei fine settimana d’estate riuscivo ad alternare vela a sci, ma se potevo scegliere, optavo per la vela, iniziai anche a fare regate, perché questa disciplina non mi fu mai imposta anche se meno remunerativa dell’altra”. Al tempo stesso maturano i tempi perché Massimo prenda la decisione di abbandonare lo sci.
E poi arriva una Olmo
Ma le cose non finiscono qui.
L’avvocato Salusti padre in un momento di follia – parole che usa il figlio – compra per sé una bicicletta, non una qualsiasi, ma una Olmo da corsa senza tener conto che il suo fisico piuttosto corpulento mal si adatta a una due ruote altamente tecnica.
È questa la ragione principale per la quale quell’attrezzo passa di padre in figlio, e così pure la passione per la bici che il giovane avvocato alterna al surf “così da rendere meno noiose le giornate estive a Marina di San Nicola”, una località a pochi chilometri da Roma, come egli stesso afferma.
Nel frattempo, a seguito dell’acquisto di una nuova bicicletta super tecnica nello storico negozio Franchi dell’altrettanto storico quartiere africano, Massimo entra a far parte del team di ciclisti che frequenta il citato punto di vendita e così inizia la nuova avventura, prima venti, poi quaranta fino a duecento chilometri in un solo giorno.
Lo sforzo è grande, il sacrificio è enorme, ma lui, Massimo Salusti, oggi continua a pedalare.