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Antonio Spataro. Olimpiadi da medico dello sport

Le Olimpiadi raccontate dalle emozioni di un medico sportivo. La testimonianza esclusiva del professore Antonio Spataro, Chief Medical Officer Italian Olympic Team, nell'intervista rilasciata a Vincenzo Mascellaro per Sportmemory
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Molti della mia generazione hanno imparato a conoscere meglio il canottaggio, uno sport povero e poco conosciuto come girava nell’ambiente, grazie ai fratelli Abbagnale che dal 1981 al 1993 dominarono la scena mondiale della disciplina e forse soprattutto grazie alle memorabili telecronache di quel Giampiero Galeazzi che risvegliò in ciascuno di noi la passione, se non per quello sport in particolare, certamente per il tricolore o lo sport sudato. Fu qualcosa di diverso rispetto a quel Campioni del mondo ripetuto per ben tre volte da Bruno Pizzul nel 1982. Il calcio era da molto più tempo nelle corde di ciascuno di noi. 
Ricordo che la notte di Seul eravamo tutti attaccati alla televisione per la finale olimpica del 1988, la barca azzurra andava di “pari remo” con quella inglese, per la stampa già vincitrice dell’oro olimpico, e Galeazzi che dichiarò di avere iniziato la telecronaca con l’animo scuro, quasi certo della sconfitta degli italiani (pura scaramanzia?), terminò la telecronaca col piglio del grande combattente e senza voce. Perché il canottaggio è uno sport per gladiatori. E anche lui è stato un canottiere/gladiatore.
La prua italiana è prima e loro sono i più forti”. E noi con lui.

Quella notte un’importante figura di riferimento per gli Abbagnale ha potuto gioire per i suoi pupilli dell’epoca. Si tratta del professore Antonio Spataro, medico della Federazione del canottaggio da oltre tre decenni.

Cosa ricorda di quella notte delle Olimpiadi, professore, e cosa le ha lasciato sul piano umano più che professionale un connubio così lungo con gli Abbagnale e Peppiniello (Di Capua, per chi non lo ricordasse). Ci racconti delle sue emozioni.

Grande è stata l’attenzione che poeti e scrittori dell’antichità greco-romana hanno riservato ai fatti olimpici. Le Olimpiadi moderne grazie all’avvento della TV hanno reso alcune prestazioni epiche. Il canottaggio figura tra gli sport olimpici a partire dalle origini, dal 1896, ed è stato sempre il simbolo dello sport dilettantistico. I fratelli Abbagnale e Peppiniello di Capua rappresentano l’esempio concreto dell’attività sportiva praticata liberamente perché si ama e vi si trova piacere.  Da coltivatori di gladioli nella loro terra, grazie al loro zio medico allenatore Giuseppe La Mura, sono riusciti a diventare eroi del nostro tempo. In presenza di scarse risorse economiche, allenamenti duri effettuati all’alba sul mare di Castellamare di Stabia, corsa e remo senza respiro, hanno piano piano consacrato questi tre uomini nella storia dello sport italiano. Proprio nel 1988 ero stato nominato medico della squadra juniores di canottaggio, iniziando così il mio percorso di medico dello sport. Ricordo il timore riverenziale tutte le volte che li incontravo durante i raduni a Piediluco prima della partenza per le olimpiadi di Seul. Proprio lì ho vissuto la mia prima grande emozione attraverso le immagini TV.

Come cambiarono fisicamente e mentalmente gli Abbagnale e Di Capua nel periodo compreso da quando li prese in cura il primo giorno fino alla fine della loro carriera di sportivi, e come è cambiato lei?

Un cambiamento fisico è stato inevitabile nel tempo, mentalmente invece sono rimasti sempre uguali. Determinati, competitivi, puliti, onesti, disponibili al dialogo. Io sono cresciuto con questi valori che mi hanno permesso di avere successo nella mia professione. Non dimenticano mai di farmi gli auguri di Natale o per il mio compleanno. Un privilegio immenso

In cosa consiste la cura, l’assistenza di un medico di una Federazione, per gli atleti del canottaggio in particolare o per atleti in generale, se preferisce?

Oggi nel canottaggio o in altri sport è impossibile gareggiare con speranze di successo senza l’apporto delle conoscenze della medicina dello sport. Infatti è anche grazie al controllo dell’allenamento attraverso parametri biologici e un’assistenza medica e fisioterapica continua ed immediata che l’atleta è in grado di competere ad alti livelli e vincere.  

In oltre trent’anni di attività sul campo è facile immaginare che lei sia stato testimone di innumerevoli cambiamenti, sul piano delle cure, degli allenamenti e dell’alimentazione, e anche la scienza o la medicina sportiva avranno fatto di sicuro tanti passi avanti, cosa ci dice al riguardo?

Oggi sappiamo molto di più sulle patologie a cui può andare incontro l’atleta. Ecco perché negli anni è stato elaborato un “High Performance Management Model” che consiste in un team sanitario costituito da diverse figure professionali (medici dello sport, nutrizionisti, psicologi, fisioterapisti, osteopati, chiropratici) capaci di interagire con gli allenatori, gli atleti, i centri dotati di apparecchiature all’avanguardia e specialisti in tutti campi della medicina. In particolare il nostro punto di riferimento è l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport “Antonio Venerando” del CONI, centro di eccellenza mondiale a Roma per la prevenzione e la cura delle patologie degli atleti e degli sportivi. 

Le differenze, in meglio e in peggio, dei canottieri di ieri, riferiamoci sempre agli Abbagnale, e quelli di oggi. I giovani secondo lei, hanno fatto o fanno tesoro di ciò che i grandi possono aver loro trasferito, o cure e allenamenti sono del tutto rivoluzionati? Di sicuro la disciplina non ha partorito “nuovi Abbagnale”, o sbaglio?

Dopo gli Abbagnale il canottaggio italiano ha conquistato 11 medaglie olimpiche a testimonianza che la disciplina è viva e vincente.    
Ho assistito nel tempo a notevoli cambiamenti nelle cure e negli allenamenti degli atleti. Basti pensare all’introduzione delle ruote lenticolari nel ciclismo o alla misura del consumo di ossigeno per via telemetrica. Ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, il Prof. Antonio Dal Monte che ha ideato e costruito tali innovazioni. Qualche volta mi costringeva a fare da cavia ai suoi progetti. Ricordo seduto sulla bici, in galleria del vento per ore, con un vento fortissimo in faccia, a provare le eventuali correzioni sul mezzo meccanico.
Oggi i giovani sono più pragmatici, attenti al guadagno e meno visionari e dimenticano spesso i sacrifici e gli insegnamenti dei Maestri. Ai miei allievi della scuola di specializzazione in Medicina dello Sport di Milano, dove insegno, cerco di trasmettere il più possibile le conoscenze e le esperienze vissute in 40 anni di attività con gli atleti e gli sportivi, affinché possano aggiungere passione ed emozione alla loro professione.  

Quante Olimpiadi ha seguito in diretta e, a parte quella di Seoul, quale ricorda in particolare, a prescindere dai successi azzurri? Perché anche le sconfitte o i momenti bui possono fare la storia. Non dimentichiamoci del rigore fallito da Baggio che spesso torniamo a vedere in TV.

Ero presente alle Olimpiadi di Sidney 2000, Atene 2004, Pechino 2008, Londra 2012, Rio 2016, e poi Sochi 2014, Pyeongchang 20018, per non parlare delle Paralimpiadi di Londra, Rio e Vancouver. Tanti successi e qualche sconfitta. È difficile consolare un atleta che si è preparato per 4 anni e poi perde non riuscendo a coronare il suo sogno. È rimasto impresso nella mia mente il pianto disperato di Federica Pellegrini dopo la finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Rio conclusa senza medaglia per soli 26 centesimi. Lo sport in questo è tremendo ma ti insegna a crescere ed affrontare le difficoltà della vita con spirito positivo. Non arrendersi al dolore della sconfitta rende invincibili, infatti dopo è arrivato il quarto oro mondiale, il secondo consecutivo dopo quello di Budapest nel 2017 dove aveva dichiarato che non avrebbe più nuotato i 200 sl nella sua carriera.       

Cosa ci diranno le prossime Olimpiadi di Tokyo, siamo sufficientemente competitivi, chi temiamo maggiormente?

Alle Olimpiadi di Rio abbiamo vinto 28 medaglie (8 d’oro, 12 d’argento e 8 di bronzo), l’Italia chiuse in ottava posizione nel medagliere, alle spalle della Francia e subito davanti all’Olanda. L’auspicio e la speranza sono quelle di migliorare tale dato. In tutte le discipline abbiamo ragazzi e ragazze molto forti che si sono allenati con impegno nonostante le difficoltà della Pandemia. Sportivamente siamo una piccola nazione rispetto alle grandi potenze come per esempio la Russia, la Cina, gli Stati Uniti D’America, la Germania; eppure il modello dello sport Italia, come disegnato negli anni dal CONI, rappresenta ancora oggi un modello vincente capace di far sventolare il tricolore sui podi olimpici.     

Mi piacerebbe chiudere questa piacevole chiacchierata, e la ringrazio per il tempo che ha voluto dedicarci, con un paio di aneddoti, un dietro le quinte, così senza fare nomi, giusto per conoscere il privato, magari un genitore che fa particolari pressioni per caldeggiare il figlio, un atleta che rifiuta un certo tipo di alimentazione o che rifugge dalla fatica fisica alla quale ci avevano abituati gli atleti di un tempo, e forse gli stessi Abbagnale.

Proiettare le loro aspettative vincenti sui figli, è lo sport principale di molti genitori A causa di questi comportamenti abbiamo lasciato per strada tanti campioni. Un luogo comune è “Campioni si nasce e non si diventa”. Non è’ vero se non ti alleni allo stremo, se non mangi o dormi bene, se non sei umile ad apprendere quello che ti viene proposto, se non sei concentrato e determinato sull’obiettivo, se non fai uno stile di vita sano. Tanti fuoriclasse si sono persi nonostante avessero un talento naturale, con qualità fisiologiche e biologiche innate. 
La massima prestazione che ti porta a vincere è un insieme di fattori, dove la forza mentale ha un ruolo fondamentale. Agostino Abbagnale fratello minore di Giuseppe e Carmine Abbagnale vincitore di 2 ori olimpici a Seul ed Atlanta pur essendo già dotato fisiologicamente e tecnicamente rispetto agli altri, al termine degli allenamenti programmati, rimaneva da solo in palestra per continuare ed affinare l’allenamento.  Un esempio per tutti, un vero campione.

Vincenzo Mascellaro, uomo di marketing, comunicazione e lobby, formatore, scrittore e oggi prestato al giornalismo

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