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Carlo Airoldi. Lettera aperta allo Sport italiano

Questa non è solo la storia di Carlo Airoldi, una storia che è leggenda e che bisogna continuare a raccontare. Questa è una lettera aperta alle Istituzioni dello sport e all'intero movimento sportivo italiano affinché, dopo 125 anni dalle Olimpiadi di Atene, Carlo Airoldi sia riconosciuto olimpionico ad honorem.
Carlo Airoldi

Ci sono storie già raccontate.
Poi ci sono storie da continuare a raccontare perché il finale che gli spetta ancora non è stato scritto.
La storia di Carlo Airoldi è una di queste.

L’inizio

Carlo Airoldi nasce il 21 settembre 1869 alla Cascina Broggio, a Origgio nel basso varesotto, al tempo provincia di Milano.
Contadini i genitori, gente abituata alla fatica e alla vita di cascina, dove per molti la vita si consumava in una parentesi aperta e chiusa sullo stesso campo.
Per molti, ma non per Carlo, e forse neanche per i genitori che la vita ad un certo punto devono averla cambiata visto che in una lettera Carlo cita il negozio da ferramenta di famiglia.
Figlio di cascina, Carlo inizia a correre, ma non chiedetemi quando e come perché nessuno lo sa bene, ma è normale perché una leggenda ha sempre contorni sfocati e Carlo, diciamolo senza indugi, non è solo un corridore; Carlo è una leggenda.

Prima di andare oltre è necessario sovvertire gli schemi: dimenticate la figura del corridore moderno, l’eleganza tesa e asciutta dei nervi e dei muscoli allungati. Carlo del corridore è esattamente l’opposto, non ne ha il fisico; tozzo con baffoni e gambe corte, torace da 120 e bicipiti da 45, sembra più un lottatore, ma del corridore ha testa e cuore e lì, per la fatica, lui non ha riservato spazio.
La prima traccia di una sua partecipazione a una gara podistica è del 1891 a Gorla, oggi quartiere milanese. Il primo successo gli arriva invece nella 50 km Lecco-Milano, il 22 luglio 1894.
Nell’anno a seguire vincerà altre gare, ma la data che a noi interessa è il 1895.

Torino-Marsiglia-Barcellona

L’8 settembre del 1895 è il giorno stabilito per la partenza della Torino-Marsiglia-Barcellona, una competizione di oltre 1.000 chilometri suddivisa in 12 tappe, in pratica una supermaratona.
Fra la trentina di atleti che si presentano a Torino per la partenza da piazza Carlo Felice ci sono lui e il marsigliese Louis Ortégue, al tempo probabilmente il più forte sulla piazza.
I corridori sanno bene che la corsa sarà dura, ma la realtà andrà oltre ogni loro immaginazione.
Strade alpine, guadi, fondi sconnessi, buche, fango e fatica operano una selezione naturale e tanti si fermeranno per strada. Tanti, ma non loro due che vanno avanti in una sorta di rimpiattino chilometrico, a volte primo l’uno, a volte primo l’altro.
All’ultima tappa di 140 km, quelli che separano Figueras da Barcellona, sono rimasti solo in sei.
Ortégue e Airoldi staccano subito e, come al solito, sono sempre vicini con spalle che si rincorrono, gambe che si superano, teste che si voltano.
Carlo è primo in vista del traguardo e il sapore della vittoria diventa adrenalina pura.
Non sente più la fatica Carlo, forse non sente più neanche le gambe, ma non importa, guarda avanti e poi, ancora una volta, si gira indietro per misurare la polvere che ha lasciato tra lui e Ortégue. Si gira, ma è proprio in quel momento che sotto i suoi occhi il marsigliese si accascia a terra morso dai crampi.

Il pensiero è veloce un attimo.
Il mondo si capovolge.
Carlo entra in un buco spazio-temporale, non corre più verso il traguardo, torna indietro, prende Ortégue, se lo carica sulle spalle, su quelle spalle da lottatore e non da corridore, e solo adesso torna a correre nella direzione giusta.
Quando taglia il traguardo sotto gli occhi increduli di pubblico e giudici sono io il primo! grida e grida ancora.

Epica

La scena è epica.
Pagherei per sapere cosa sia mai passato nella testa dei due quando uno era sulle spalle dell’altro, quando nell’inconsapevolezza che distingue l’archetipo, in quell’ultimo chilometro hanno dato figura plastica al mito di Enea che si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise per portarlo in salvo da Troia che brucia alle loro spalle.

L’impresa di Carlo Airoldi è ripresa in prima pagina da riviste e giornali e il gesto, quel gesto, fa la differenza al punto che in via straordinaria la città di Barcellona gli riconosce un premio che lui, in una sua lettera, quantifica in circa 20 lire e che, peraltro, sembrerebbe aver diviso poi con Ortégue.
Comunque sia, capite bene che uno così non può che essere un uomo fuori dal comune.

Pierre De Coubertin

Anche Pierre De Coubertin è un uomo fuori dal comune.
Poco più grande di Carlo, è nato nel 1863, come tutti gli uomini fuori dal comune anche lui ha un sogno, e non da poco: vuole ripristinare i giochi olimpici.
Come spesso accade agli uomini fuori dal comune, De Coubertin il suo sogno lo realizza.
Le prime Olimpiadi dell’era moderna vengono indette ad Atene per l’aprile del 1896; dove tutto ebbe inizio, tutto ricomincia.
Inutile dire che la gara più rappresentativa dello spirito olimpico sia proprio la maratona, che non è solo una gara, ma un’identità.
Carlo può forse fare finta di niente? Impensabile.

Non ci sono delegazioni nazionali ufficiali alle Olimpiadi di Atene, si iscrive chi vuole, l’importante è che risponda ai requisiti dello statuto olimpico; tra questi, il non essere professionisti, definizione che proiettata a ritroso di 125 anni mostra una discreta fragilità.
Carlo Airoldi, lo abbiamo detto, non può far finta di nulla, ma per lui, operaio che arrotonda la paga esibendosi in gare di braccio di ferro, di lotta e sollevamento pesi e sfidando uomini in bicicletta, il denaro non è una questione risolta.

Milano-Atene

Carlo non si perde d’animo e la sua idea è geniale.
Questo deve aver pensato il direttore de La Bicicletta, rivista sportiva al tempo più seguita, quando Carlo gli si presenta proponendogli i suoi racconti in cambio del supporto logistico della rivista per andare ad Atene.
La cosa straordinaria è che Carlo ad Atene vuole andare a piedi.
Da Milano ad Atene ci sono quasi 2.000 chilometri, due imperi – quello asburgico e quello ottomano – e molte lingue di cui Carlo non ne conosce neanche una.
Sembra una follia, ma l’avventura ha tanti nomi e l’ignoto ferma solo i pavidi.
Il direttore accetta senza colpo ferire e nasce così una modernissima media partnership.

Alle ore 16,00 di un uggioso 28 febbraio 1896, dopo un riscaldamento di 5 chilometri sulla pista dell’Esposizione Internazionale Ciclistica, Carlo si lascia Milano alle spalle e, con una sacca a tracolla e poche cose dentro, inizia la sua corsa su sterrati che il disgelo ha fatto diventare un letto di fango.
Dopo alcune tappe in Italia il 5 marzo è a Trieste, regola le formalità del passaporto e alle 17,00 del giorno dopo riparte.
Il 7 è a Fiume; in 8 giorni di freddo, pioggia e strade infangate ha percorso 520 chilometri.
Il viaggio continua serrato e con tutte le difficoltà possibili; cadute, intemperie, notti all’addiaccio, cani che sembrano lupi, banditi e persino gare improvvisate per guadagnare qualche soldo.

A Ragusa, splendida città veneziana dell’adriatico balcanico che poi cambierà nome in Dubrovnick, il Console italiano ferma il suo cammino.
Troppo pericoloso avventurarsi a piedi e da solo in Albania dove non esistono strade costiere e il banditismo è imperante.
Gli paga lui il biglietto di terza classe del piroscafo – nome dall’eco salgariano ormai desueto, ma che ha tutto il sapore dell’epoca – che in tre giorni di navigazione lo porterà a Corfù.
Da Corfù il balzo verso Atene è in tre tappe, Carlo ci arriva nel pomeriggio del 31 marzo ed è accolto da un rappresentante del Comitato Olimpico.
Il giorno dopo si reca dal Console italiano che lo accompagnerà a rilasciare interviste in vari giornali locali, tra questi Akropolis, la più importante testata ateniese.
Sembra tutto in discesa, ma non sarà così.
Il clamore dell’impresa e le sue precedenti vittorie fanno di Carlo Airoldi un concorrente temibile.
Per qualcuno, forse, un nemico.

Il grande rifiuto

Carlo si iscrive alla corsa Maratona-Atene, ma non riceve il pettorale, dicono che glielo faranno avere.
Passano alcuni giorni senza aver notizie fino a quando, il 6 aprile, due membri del Comitato Olimpico lo accompagnano a Palazzo Reale dove lo riceve il presidente nonché figlio di re Giorgio di Grecia, il principe Costantino.
Il principe lo incalza di domande, vuole sapere di lui, del suo viaggio, della sua storia, sembra curioso e interessato, ma è solo il percorso di avvicinamento alla domanda fatidica; ha mai ricevuto premi in denaro per le sue vittorie?
Carlo non sospetta nulla e tranquillamente racconta del premio ricevuto dalla città di Barcellona, circa 20 lire.
È in trappola.

Costantino è categorico, quel premio fa di Carlo un professionista, l’iscrizione gli viene rifiutata, non parteciperà alla gara olimpica.
A nulla vale spiegare che quel premio gli era stato assegnato non per la vittoria, ma come riconoscimento del gesto sportivo – che altro non possiamo chiamare che olimpico – di essersi caricato Ortégue sulle spalle.
Siamo in Grecia, patria delle Olimpiadi che per la prima volta si rinnovano nello spirito decoubertiniano e la corsa Maratona-Atene è un simbolo di identità nazionale.
Troppo alta la posta in palio per dare ascolto alle motivazioni dell’italiano e rischiare che non sia un greco a vincerla.

Atene 10 aprile 1896

Carlo vede andare in fumo il suo sacrificio, l’amarezza gli morde il cuore, ma ancora una volta non si perde d’animo.
Il 10 aprile, ad Atene, oltre 70 mila persone gremiscono le strade attigue e l’Arena dove entreranno i corridori partiti da Maratona alle 14.00.
Alle 16.55, preceduto da colpi di cannone e da un drappello di soldati a cavallo, entra nello stadio il greco Louis che precede altri due greci, Vassilakos e Bellokas.
Il trionfo è completo anche se Bellokas sarà poi squalificato per essere salito su un carro qualche chilometro prima dell’arrivo.
Il pubblico è in visibilio, così come tutta la famiglia reale schierata sul palco d’onore.
È l’esito atteso, un esito che non prevedeva la presenza di Carlo Airoldi e che forse sarebbe meglio chiamare esito calcolato.

Però c’è un però

Carlo Airoldi la sua maratona l’ha corsa lo stesso.
A Maratona, confuso nel pubblico che trepidava per la partenza dei corridori, mischiato ai tanti che in un clima di festa popolare accompagnano gli atleti correndo con loro per i primi chilometri, c’è anche lui.
La differenza con il pubblico festante è che Carlo non si ferma.
Corre senza pettorale Carlo e, a qualcuno che strada facendo glielo fa notare risponde gesticolando di averlo perso.
Corre da clandestino Carlo, ma lo fa per tutti i 42 chilometri.
Corre da clandestino, ma con una tale volontà che non è azzardo paragonare liricamente alla dinamica del movimento che il futurista Umberto Boccioni nel 1913 imprimerà alla sua scultura Forme uniche della continuità nello spazio.

In vista dell’Arena, Carlo ha davanti solo Louis, ma è una tattica.
Carlo vuole entrare così nello stadio, per poi bruciarlo e tagliare il traguardo sotto gli occhi del Comitato Olimpico, della famiglia reale e delle altre decine di migliaia di greci.

Vuole vincere platealmente e platealmente reclamare la sua vittoria.
È un piano esteticamente eroico, perfetto.
O meglio, lo è fin quasi alla fine.
Poco prima dell’ingresso nello stadio un giudice di gara lo vede, capisce e cerca di fermarlo, Carlo lo scansa, ma in un attimo un nugolo di soldati in gonnellino gli sono addosso e lo fermano.
Louis vince la prima maratona olimpica e con lui tutta la Grecia.
Il sogno di Carlo finisce ad occhi aperti in una notte di galera.

La maratona olimpica più lunga della storia

Questa è la storia di Carlo Airoldi e della sua impresa, la maratona olimpica più lunga della storia, iniziata a Milano, passata per Maratona e finita ad Atene.
Lo spirito olimpico è soprattutto partecipazione, il motivo accampato per escludere Carlo Airoldi dalla corsa fu palesemente pretestuoso e se oggi pochi ricordano Spiridon Louis, di Carlo Airoldi si parla ancora.
La storia non si può cambiare, ma la storia può essere simbolicamente riparata.
Una riparazione che Carlo Airoldi non ha ancora ricevuto e forse, proprio nell’imminenza delle Olimpiadi di Tokyo, il momento è giunto per fargliela avere.

La lettera aperta

Questa quindi non è solo la storia già raccontata tante volte di Carlo Airoldi.
Questa è una lettera aperta
che Sportmemory indirizza alle Istituzioni italiane dello sport e atutto il movimento sportivo nazionale affinché Carlo Airoldi, 125 anni dopo il torto di Atene, sia
annoverato ad honorem tra gli olimpionici italiani.

Carlo Airoldi lo merita come riconoscimento formale a un’impresa epica, come risarcimento morale per un torto subìto e come segno manifesto del vero spirito olimpico, quello che a Barcellona nel 1895 lo ha visto tagliare il traguardo portando sulle spalle il suo avversario.

Le Istituzioni italiane dello sport hanno l’opportunità di riparare la storia e possono farlo in un attimo.

A Sportmemory e a tutti coloro che vorranno unirsi a questa richiesta, il compito di chiederlo con forza.

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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