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Ottavio Bottecchia. Il Giro che manca

Un Giro d'Italia da Isolato, tre Tour de France, due vinti, ma tutti e tre da campione. Ciclista professionista a 26 anni, una carriera veloce come la sua vita, andata in fuga troppo presto. Ottavio Bottecchia è stato ciclista tra i più grandi. Mordendo miseria, fatica e destino Ottavio Bottecchia è stato soprattutto un uomo libero.
Ottavio Bottecchia

Ottavio io non lo so come sia andata in quel giorno di giugno. Chi dice la mafia delle scommesse, chi la politica, chi un contadino infuriato per l’uva rubata, come se il 3 di giugno l’uva acerba fosse da rubare, chi altro ancora. Chiacchiere, parole costruite, teorie mai provate, illazioni pensate per andare oltre il referto ufficiale del malore e della caduta rovinosa.
Capita così ai più grandi che se ne vanno in un tempo inaspettato. Talmente inaspettato che dopo tutti giurano sull’indicibile e sull’inverosimile pur di svelare il mistero nascosto. Tutti pronti, in mancanza di risposte, anche a inventarlo quel mistero. Così è capitato a te perché tu, Ottavio Bottecchia, sei stato uno dei più grandi.
Io di quel giorno di giugno so solo che è arrivato troppo presto. Forse doveva andare così perché per te che avevi gambe e fiato per essere il più veloce doveva essere veloce anche la vita. Forse per questo il tempo ti è sfuggito davanti proprio come la strada che invece ti lasciavi sfuggire alle spalle.

La vita dei poveri può andare ovunque

Tu ne sai qualcosa perché quando nasci, nel 1894, il Veneto è veramente povero. Tanti veneti vanno a rimboccarsi le maniche per il mondo, ma non la tua famiglia. Voi rimanete a San Martino di Colle Umberto, alle spalle le Prealpi Bellunesi, dall’altra parte pianura e terra da coltivare, Vittorio Veneto è lì a pochi chilometri. Vittorio Veneto, già, ma adesso è presto, ancora non sai cosa significherà per la tua vita. Adesso sai solo che ti chiami Ottavio come il destino di essere l’ultimo di otto figli. Prima era così. I poveri di figli ne facevano tanti, adesso non li fanno più neanche i ricchi. Cresci così, sei il più piccolo di casa, parli quanto basta, a scuola vai per un paio di stagioni e forse impari a firmare, mani e braccia servono presto per strappare lavoro. Gli schei sono gocce di sudore che si asciugano subito, proprio come i soldi che non bastano mai. Fai il carrettiere, il calzolaio, l’ortolano, il muratore, quello che capita, quello che serve.

Ottavio Bottecchia
(Ottavia Bottecchia, primo a destra, in foto di famiglia)

Il mondo scopre l’inferno

Il 28 giugno 1914 l’attentato di Sarajevo apre al mondo le porte dell’inferno, le chiavi sono le revolverate di Gavrilo Princip che ammazzano l’erede al trono degli Asburgo Francesco Ferdinando e la moglie Sofia. La guerra, Grande come mai nessuna prima, inizia un mese dopo, il 14 luglio. L’Italia si barcamena tra le alleanze, le cambia e l’anno dopo, il 24 maggio, il Piave mormora, i fanti passano per andarsi a prendere l’ultimo tempo del Risorgimento incompiuto e le terre irredente. Non sarà per niente facile. Partono in tanti, 650.000 non tornano. Parti anche tu, parte anche tuo fratello Giovanni, lui torna con un pezzo di argento sul petto, tu di bronzo. In mezzo ci sono trincee e Caporetto, gas e coltelli tra i denti, miseria, umiliazione, Carso, sangue, disperazione, Gorizia benedetta, coraggio stretto forte intorno al cuore prima che arrivi Vittorio Veneto. In mezzo, per te c’è la bicicletta da bersagliere assaltatore, mitragliatrice al seguito, 14 chili a vuoto, 30 chili a pieno carico. Bicicletta Bianchi, ripiegabile da mettere a spalla, non per essere peso, ma anima; te la rubano pure e te la vai a riprendere oltre le linee austriache. Ti fanno prigioniero tre volte e tre volte riesci a scappare.
Con calma ed ardimento, sotto violento fuoco nemico aggiustava tiri efficacissimi e falcianti con la propria mitragliatrice, arrecando gravi perdite all’avversario e fermandone l’avanzata. Costretto più volte ad arretrare, incurante del pericolo portava seco l’arma e tornava a postarla aprendo sempre un fuoco violento sul nemico. Lestans, 4 novembre 1917”.
Recita così la motivazione del bronzo che hai guadagnato a 23 anni, dice tanto, ma non tutto. Non dice della bicicletta. La mitragliatrice non la userai più, la bicicletta sarà il tuo riscatto.

Il ritorno

Pe non farti mancare nulla ti prendi anche la malaria, poi la guerra finisce e torni a casa, ritrovi la famiglia, ma anche la stessa vita di stenti di prima. Qualcosa in più la trovi, in effetti: trovi la delusione. Dopo Caporetto il Re lo aveva detto. A voi, ragazzi senza arte né parte, aveva detto che la chiamata alle armi era sacra perché andavate a combattere per la vostra terra. “Vostra”, proprio così aveva detto. “Vostra” perché non sarebbe più stata quella che i padri non avevano mai avuto, ma quella che avreste avuto voi. Vi aveva promesso una riforma agraria che avrebbe dato terra da coltivare ai reduci nel frattempo vittoriosi.  Ci avete creduto tutti, voi veneti, ma anche gli abruzzesi e i cafoni del sud, che poi cafoni lo eravate tutti perché tutti vi legavate i pantaloni in vita con lo spago. Ci avete creduto, ma non andò così. La promessa il Re non la mantenne e non la fece mantenere. Solo dopo alcuni anni ai reduci, ai veneti in particolare, saranno date terre malate da bonificare. I veneti il miracolo lo fecero, morendo ancora una volta di fatica e anche di zanzare maledette. Tu, nel frattempo, sei però diventato altro; sei andato per un po’ a fare il muratore in Francia, ma il destino ti spingeva da un’altra parte.
Torni a casa, inforchi la bicicletta e non ti fermi più.

Tour 1923 Bottecchia
(Ottavio Bottecchia. Tour de France 1923)

Il Tour del destino

Hai 26 anni, non sei un giovanotto, le tue prime gare le troviamo nel 1920. Nulla di speciale, corri da dilettante con la maglia dell’Unione Sportiva Pordenonese, ma porti a casa qualche successo e ti fai notare.
Luigi Ganna è stato il primo a vincere il Giro d’Italia, nel 1909. Adesso ha una sua squadra sponsorizzata dalla Dunlop. Sono loro che si accorgono di te, ti ingaggiano, nel 1922 diventi professionista e ti prendi qualche piazzamento e ancora una volta ti fai notare. Nel 1923 sei ingaggiato dall’Automoto, squadra francese tra le più forti in circolazione; a giugno torni in Francia per il tuo primo Tour. Hai un solo compito, nel quale peraltro non credono troppo neanche loro: tirare per Henri Pélissier. Tu sei veneto, però, le cose le prendi sul serio, forse anche troppo. Vinci la seconda tappa, hai la maglia gialla per sei tappe e alla fine sei secondo in classifica generale. La mia impressione è che tu sia arrivato secondo solo per rispetto al compito che ti avevano assegnato, ma non fa nulla. Nel 1923 tu sei la rivelazione del Tour. Le partenze di notte, le stradacce francesi e i Pirenei infernali non ti hanno spaventato e in qualche modo ne sei una sorta di vincitore morale. Diventi un personaggio, non più solo Ottavio Bottecchia, ma Botescià, come dicevano loro. Il tuo momento di snodo con il destino è proprio questo.

La libertà dal bisogno

La stampa, soprattutto straniera, ti fa grandi titoli; da noi, fa anche altro. La Gazzetta dello Sport lancia una sottoscrizione in tuo favore; primo donatore il capo del governo Benito Mussolini, gli italiani si mettono le mani in tasca e ti fanno arrivare circa 70.000 lire. Per il tempo è una cifra altissima. La tua vita cambia, ti liberi dal bisogno, mangiare per te e la tua famiglia non sarà più un’opzione incerta e non dovrai più riportare a casa i cestini di gara per sfamarla.
Io non corro per sport, né per gli evviva delle folle, e neppure per i fiori delle belle ragazze e tantomeno per la gloria. Io corro per guadagnare del denaro, più che posso, e non ci saranno fatiche o sofferenze bastanti a togliermi dalla testa questo chiodo; guadagnare schei. Corro per la mia famiglia e non temo le sofferenze. Ne ho sopportate ben altre e certo con minor profitto. Corro per la mia famiglia, è povera e farò tutto il possibile perché non viva in miseria…”.
Così avevi detto in un’intervista alla Gazza. Ora sei libero.

Tour 1924
(Ottavio Bottecchia. Tour 1924)

L’uomo del Tour

Se quello del ’23 è stato il Tour del destino, i due successivi ti consacrano.
Nel 1924 sei il primo italiano a vincerlo e, oltretutto, sei maglia gialla per tutte le sedici le tappe; nessuno così prima di te. Senza nulla togliere al tuo merito e solo per chiosa, c’è da dire che Maurice Garin, vincitore nel 1903 della prima edizione, era un italiano naturalizzato francese da appena due anni e che da italiano aveva vinto tre edizioni della Parigi-Roubaix. Ma tanto è, e non solo tu sei il primo a vincerlo, ma ti ripeti nel 1925 e così sei anche il primo e ancora unico italiano a vincerlo due volte di seguito. Bartali ne vincerà due, ma a distanza di dieci anni e con una guerra mondiale in mezzo. Nel 1924 succede anche altro, nasce tua figlia e tu, che come tutti quelli che non hanno avuto niente sai ringraziare, la chiami Fortunata Vittoria. Tu ringrazi il cielo, il cielo ringrazia te.
Ovviamente i successi non sono mai indolori, uno scotto devi pagarlo anche tu. In Francia la maglia gialla non te la fanno indossare per timore di ritorsioni lungo la strada e le lettere anonime e minacciose contro l’italiano fascista arrivano come se piovesse. In Italia invece ci sono altri che sono campionissimi, altri che in Francia non si sono mai avventurati, altri che masticano male a vederti vincere e a diventare famoso e che certo non ti amano troppo.
Nel 1926 ci riprovi, ma alla decima tappa ti ritiri. Di quella edizione, questa foto che ti ritrae mentre dai la mano al belga Joseph Van Dam è bellissima. La fatica, il sudore, il sorriso, l’improbabile maglia di lana, il tubolare al collo, le mani che si stringono; non so se in questa foto ci sia il ciclismo perduto, di sicuro c’è il ciclismo vero.

Bottecchia e Van Dam
(Ottavio Bottecchia e Joseph Van Dam. Tour 1926)

Ottavio Bottecchia, l’isolato

Ora facciamo un salto indietro, torniamo a quel 1923. Il 24 giugno sei a Parigi per la partenza del Tour, ma lì ci sei arrivato passando per il Giro che hai appena corso dal 23 maggio al 10 giugno. Lo hai corso a modo tuo, sei arrivato quinto in classifica generale, ma primo nella classifica degli Isolati. Ecco perché dico a modo tuo. Gli Isolati sono una storia a parte. Il ciclismo è duro oggi, immaginate quanto fosse duro cento anni fa. Per dirne solo una, cento anni fa il cambio non c’era; ci si fermava al bisogno e si girava la ruota per cambiare rapporto. Fantascienza. Ebbene gli Isolati erano ancora molto di più. Correvano in proprio, senza ingaggio, senza squadra, senza assistenza. Mangiavano e dormivano come e dove capitava, senza pretese e spesso, quasi sempre, senza speranze. Ecco, tu il Giro del ’23 lo hai corso così, stringendo denti, spingendo pedali, ignorando la fame, azzannando la miseria da dove venivi. Lo hai fatto per tutto quello che ti portavi dietro e dentro, per il riscatto che cercavi, per il bisogno che avevi e che non volevi avere più.

Bottecchia
(Ottavio Bottecchia, uomo libero)

Il Giro che manca

Ecco, a 100 anni dalla tua prima vittoria al Tour de France, a 100 anni dal tuo riscatto, mentre da noi il Giro è appena ripartito, mi piace ricordarti per quello che sei stato e non per le polemiche che a distanza di decenni ancora si fanno sul come, sul chi e sul perché sei morto. L’unica cosa certa, lo dicevo prima, è che è accaduto troppo presto.
La cosa che credo è che dopo i dodici giorni di semi incoscienza che hanno separato l’incidente dalla morte, quel 15 giugno sei andato via sereno perché con le 500.000 mila lire che l’assicurazione gli avrebbe riconosciuto, sapevi che la tua famiglia avrebbe vissuto una vita serena.  Tua moglie e tua figlia non avrebbero più dovuto fare i conti per arrivare a fine giornata; a saldare il conto, quello con il destino, ci hai pensato tu.

E allora mi piace pensare che nel palmares del Giro ce ne sia uno che ancora non è stato corso, almeno non quaggiù, non da queste parti: il Giro di Ottavio Bottecchia, viso scavato e poche parole, socialista, fascista o chi se ne frega, bersagliere e muratore, mitragliere che non scappa, che guarda in faccia la miseria e la prende a pedalate.
Il Giro di Ottavio Bottecchia, uomo libero. Il Giro che avresti potuto vincere e che forse, da qualche altra parte, hai vinto davvero.

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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