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Enzo Ferrari. La filosofia del dolore

Enzo Ferrari non è una sola storia, ma tante. Questa storia entra in punta di piedi nel suo mondo più intimo e personale, quello di uomo al quale il destino ha riservato grandezza, facendogliela però scontare fino in fondo. Questa è la storia di uomo e del suo rapporto con il dolore.
Enzo Ferrari

Enzo Ferrari non è una storia, è tante storie.
Raccontarne una non significa raccontarle tutte, ma era tempo che volevo scrivere di lui e così ho iniziato a cercare di capire quale uomo volessi raccontare: il pilota, il visionario, l’imprenditore, il padre, il marito o magari l’amante.
Tante storie sì, tante storie.
Allora ho cercato. Ho letto di lui, ho rovistato negli archivi on line di quelle miniere culturali italiane che sono RaiPlay, le Teche Rai e Archivio Luce. L’ho visto Enzo Ferrari e ne ho ascoltato la voce nelle vecchie interviste.  Della sua voce mi hanno colpito le pause, la flemma, l’impostazione quasi teatrale, le parole pesate una ad una. Di lui mi ha invece colpito qualcosa che non sono riuscito ad afferrare subito, ma poi ho capito.  
Enzo Ferrari sembra non essere mai stato giovane.

Un uomo senza età

Complice una vita trascorsa in gran parte senza televisione e quindi senza riprese televisive, l’iconografia classica ci restituisce Enzo Ferrari già adulto, quasi sempre anziano con i suoi capelli bianchi, gli occhiali scuri, il vestito e la cravatta.
Ora, guardatevi intorno con attenzione, anche se stanno iniziando a scomparire può ancora capitare di vederli. Sono in pensione da venti o magari venticinque anni e la mattina escono vestiti di tutto punto, così come sono andati in ufficio per una vita, con la giacca e la cravatta anche se qualche volta sono giacche e cravatte un po’ malmesse. Ma badate bene, non sono malmesse per incuria, è che sono le stesse di venti anni prima, conservate con cura per beffare il tempo impietoso.
Enzo Ferrari mi ha ricordato loro, i pensionati che in quelle giacche a volte un po’ malmesse, ma gonfie di dignità, si tengono stretti e vivi nella memoria di quello che sono stati e che Dio li benedica. Enzo Ferrari mi ha ricordato loro anche se, apparentemente, non hanno nulla in comune se non quello di essere uomini senza età. Apparentemente, già.
Poi ho capito anche questo.
Ho capito che c’è una cosa che si stringe addosso più delle giacche malmesse, una cosa impalpabile e invadente che si chiama nostalgia. E la nostalgia spesso ha un parente scomodo, ingombrante e inevitabile che si chiama dolore.

Una lettura diversa

Ecco, è stato così che ho iniziato a pensare che la lettura che dovevo fare di Enzo Ferrari fosse proprio questa: la lettura di un uomo e del suo dolore.
Mi sono addentrato su questa traccia in punta di piedi fino a quando è stato lui ad aprire la porta e a farmi entrare.
Io credo che soltanto il dolore possa completare la formazione di uomo” così dice Enzo Ferrari guardando la telecamera.
È così che il dubbio mi abbandona. È così che inizia questa storia.

Enzo Ferrari
(Enzo Ferrari pilota)

Figlio della sua terra, Enzo Ferrari ne porta addosso il destino dei motori

Provate a immaginare di essere Enzo e di essere nati nel 1898. Fatevi sfiorare anche voi da macchine sbuffanti e rombanti che in quei primi anni del ‘900 arrancavano, ma anche già correvano, su strade incerte abituate a carrozze e carretti. Provate a immaginare pastrani, calottine e occhialoni sotto i quali si scorgevano appena visi e spesso baffoni d’ordinanza. Immaginateveli coperti di olio, grasso e fango. Stan Lee ci metterà cinquanta e più anni per consegnare all’immaginario i supereroi, ma agli occhi di un bambino del primo ‘900 cos’altro potevano sembrare quegli uomini al volante se non qualcosa di simile a quelli che noi avremmo chiamato supereroi?
Enzo Ferrari subisce da subito il fascino dei motori e della velocità, la prima corsa la vede a Bologna quando aveva dieci anni, ma c’è altro. Da bambino, lui è già grande. A Sergio Zavoli, che nel 1960 lo intervista, dice “…mi ricordo un lontanissimo anno, avevo compiuto allora il mio dodicesimo anno di età, mi sono guardato nello specchio e mi chiesi cosa ero venuto a fare al mondo.”
Se lo chiede a dodici anni, non a venti o a trenta. L’intransigenza di carattere di Enzo Ferrari, la severità verso sé stesso prima ancora che verso gli altri, è già tutta lì, in quella domanda riflessa nello specchio.

Il dolore di un uomo

Seguendo la linea retta del dolore e tralasciando il resto, Enzo Ferrari con il dolore fa i conti da subito.
La vita con lui va veloce. Anche lei.  È un ragazzo quando nel 1915 muore il padre Alfredo. L’anno seguente muore anche il fratello amatissimo, Alfredo junior detto Dino, con il quale condivideva la passione per le automobili.
Nel 1918 inizia a lavorare in un garage bolognese e conosce Ugo Sivocci; sarà lui a introdurlo nel mondo delle corse. Nel 1919 esordisce in gara pilotando una CMN alla Parma-Poggio di Berceto e con Sivocci gareggia alla Targa Florio. Il 1920, invece, segna l’ingresso di Enzo e Sivocci in Alfa Romeo; la forte amicizia con Giuseppe Campari e Antonio Ascari nasce qui.
Enzo, Ugo, Giuseppe e Antonio sono quasi inseparabili; in officina, in pista, nelle serate. Sono giovani, audaci, invidiati. Con Antonio poi c’è qualcosa di più; lui si fa spesso accompagnare in pista dal figlio Alberto ed Enzo, forse, in quel bambino si rivede e allora ci scherza, ci prende confidenza. Nessuno di loro può sapere quanto dazio l’automobilismo pretenderà dalla famiglia Ascari.
Nell’aprile del 1923 Enzo si sposa con Laura Garello, nel giugno corre e vince il Gran Premio del Circuito del Savio. È qui, dopo questa vittoria, che i genitori di Francesco Baracca, l’asso dei cieli caduto nella Prima Guerra Mondiale, lo esortano ad adottare il Cavallino Rampante sulla sua macchina. Anche in questo caso nessuno può sapere, ma è l’inizio di una grande storia.

FERRARI E GLI ASCARI
(Enzo Ferrari con Antonio Ascari e il piccolo Alberto)

La vita per Enzo sembra in discesa, ma la vita dei piloti non lo è mai del tutto

L’8 settembre del 1923 il primo pit stop: a Monza muore Ugo Sivocci, il mentore di Enzo nelle corse. È uno scossone, ma Enzo ha carattere, tiene per sé il dolore e tira avanti.
Il 26 luglio del 1925 altro pit stop. Il circuito di Montlhéry si porta via Antonio Ascari, il primo della famiglia, ma non l’ultimo. Altro scossone, durissimo. La vita è in discesa, sì, ma per qualcuno si ferma.
Nel 1929 Enzo fonda la Scuderia Ferrari, nel 1930 lascia l’Alfa Romeo e fonda la Auto Avio Costruzioni a Modena.

Dino

Sono stato anche io un corridore, ma bisogna essere dei talenti naturali per essere dei piloti all’apice” così dirà anni dopo. Il 9 agosto 1931, con la moglie già in attesa del figlio, Enzo Ferrari lascia le corse e si dedica interamente alle macchine.
Il 17 gennaio nasce Alfredo detto Dino. Alfredo come il padre, Alfredo come il fratello anche lui detto Dino. Stessi nomi e un destino tutto da scrivere, ma forse già scritto.
“…vorrei dire che è l’unico vero amore, perché il figlio è la continuità di noi stessi”.
Un figlio segna sempre la vita. Amore viscerale, ma anche dolore e Dino, nella cognizione del dolore di Enzo Ferrari, sarà una pietra miliare. Dice anche “…la macchina da corsa per me è come un figlio. Un costruttore la realizza trasformando una materia informe in una meccanica vivente, un’armonia di suoni...”
La macchina come un figlio. Appesi caschi e guanti al chiodo, diventato padre, per Enzo correranno gli altri. Correranno i migliori.
Per lui, soprattutto, correranno le sue macchine. Macchine che sono qualcosa in più. Macchine che sono creature.

Poi arriva il 1933

Il 10 settembre Monza si porta via Giuseppe Campari, nel frattempo diventato amico fraterno con Enzo che così dirà di lui “…non soltanto era un pilota di eccezionale bravura, ma anche un combattente indomabile, un uomo che pur di vincere non badava al rischio.”
Ugo Sivocci, Antonio, Ascari, Giuseppe Campari: i suoi primi amici delle corse, tutti andati via.
Correre in quegli anni rasenta l’eroismo. Ogni volta che un pilota parte, nessuno può sapere se tornerà indietro, se finirà la corsa.
Si può essere amici nelle corse? Un pilota può essere amico di un altro pilota? È probabile che Enzo Ferrari inizi a non crederci più.

Saranno tanti i piloti che vedrà andare via, ma con loro, con Ascari, Sivocci e Campari, aveva corso insieme. Con loro Enzo è stato pilota tra i piloti. Questo è un dolore diverso, particolare, un dolore che non si cura. Non accadrà più.

Il senso delle cose

Noi abbiamo rischiato la vita, forse in uno stato di euforia morale oppure fisica, ma questo fa parte della ricerca del limite estremo delle possibilità tecniche e umane. Quando si varicano determinate leggi fisiche è ovvio che la catastrofe è inevitabile”.
Così dice Enzo e questa non è una frase, è una filosofia.

“…la catastrofe è inevitabile” dice, manon fraintendete, non si tratta di rassegnazione, non è disfatta annunciata; questa è consapevolezza intima, sfida accettata, regole di un gioco che sono prendere o lasciare e che lui prende.

Mandiamo avanti il nastro

Diamo per scontato quello che accade nel frattempo. Diamo per scontato Maranello nel 1943, la Ferrari Automobili nel 1946, l’esordio in gara del primo modello, la 125, nel 1947, la nascita della Formula 1 nel 1950, le vittorie dei Gran Premi e delle corse su strada, i primi titoli mondiali.
Facciamo un cerchio sul 1945 però. Il 22 maggio la guerra è finita da qualche giorno, ma brucia ancora. Nel triangolo emiliano, poi, brucerà ancora per molto tempo. Il 22 maggio nasce Piero, figlio di Enzo e di Lina Lardi, la donna che amava fuori dal matrimonio. Non sarà facile per nessuno di loro, poi ci penseranno il tempo e la vita.

Alberto Ascari

Facciamo un cerchio anche sul 1949. Pilota di moto, Alberto Ascari aveva esordito con le automobili nel 1940 correndo una Mille Miglia su una Auto Avio Costruzioni 815 proprio di Ferrari. Poi la guerra e poi, con il ritorno alla normalità, Alberto torna alle corse, monta Maserati e si fa notare. Enzo Ferrari gli vuole bene, lo ha visto crescere e adesso lo vuole con lui. Nel 1949 lo ingaggia. Su Ferrari Alberto Ascari diventerà uno dei più forti piloti del suo tempo e, ancora oggi, l’unico italiano ad aver vinto due titoli mondiali di Formula 1.

ALBERTO ASCARI
(Alberto Ascari)


Il 26 maggio 1955 Alberto Ascari incontra il destino che aveva sempre cercato tenacemente di evitare. Nello stesso giorno e alla stessa età in cui era morto il padre Antonio, Monza si porta via anche Alberto. Un pugno allo stomaco, un dolore che Enzo riesce ad anestetizzare. Nel suo Piloti che gente scrive “…ritengo un mio imperativo dovere cercare di conoscere, di un incidente, se esso è dovuto a ragioni tecniche…alla macchina. Anche nel caso Ascari l’indagine tecnica mi lasciò tranquillo: la macchina era in condizioni perfette. Io sento profondamente la responsabilità che mi assumo quando affido una mia macchina a un pilota”.
Tra lui e il dolore Enzo Ferrari ha costruito un muro. Ha capito che se ne deve estraniare. Almeno in apparenza. La sua preoccupazione è quindi dare ai piloti macchine perfette, le migliori possibili per essere i più veloci e per correre in sicurezza. Questo dipende da lui. Il fato no.
Il dolore, però, è in agguato e troverà la sua strada.

Enzo e Dino Ferrari
(Enzo e, sulla destra, Dino Ferrari)

Ancora Dino

Dino è il futuro. Cresce tra macchine, circuiti e piloti, studia ingegneria, progetta motori. Dino è la Ferrari che verrà. Dino ha un problema, però. Un problema che si chiama distrofia muscolare. Per Dino il futuro non esiste.
Il 30 giugno 1956 Dino muore e per Enzo è una trasfigurazione. Il dolore ha colpito dove sapeva di fare più male, dove sapeva che sarebbe rimasto per sempre. La malattia fu un’agonia. Il giornalista Giampaolo Ormezzano racconterà che Enzo gli aveva confidato che in un certo momento aveva pensato di lanciarsi con il figlio dalla rocca di San Marino.
Un padre, un genitore, non si rassegna mai. La mia speranza è sempre stata non nel miracolo, ma nella possibilità di recupero attraverso delle diligenti cure così come capita con un motore. La mia speranza è stata troppo forte ed ho dovuto arrendermi” così dice Enzo.
Il funerale di Dino sarà un momento di dolore sentito e corale.
La comunità di Maranello, umana prima ancora che di lavoro, il mondo dei motori e tutta Modena si stringono intorno a Enzo per salutare Dino.  Accade però anche qualche cosa di incredibile per il luogo e per i tempi.
Al corteo funebre il labaro del Raggruppamento Giovanile del Movimento Sociale Italiano di Modena accompagna il feretro. Lo aveva chiesto Dino così come aveva chiesto di essere vestito con una camicia nera. Enzo rispetta le volontà del figlio ed esegue. Tutti sanno, tutti vedono, nessuno alza un fiato. In una terra a lungo dilaniata è un miracolo. Un miracolo del dolore.

Il 1956

Dolore, delusione, speranza, futuro che manca, futuro che torna. Nel 1956 c’è tutto.
Il 3 giugno a Monza si corre l’ultimo Gran Premio della stagione. Manuel Fangio entra in pista da predestinato; è in testa e vuole vincere il titolo. La sua Lancia-Ferrari però rompe. Peter Collins, suo compagno di scuderia, fa l’impensabile: si ferma, gli consegna la sua macchina e gli dice “…sono giovane, avrò tempo per vincere, adesso tocca a te”.
Fangio sale, corre e vince il mondiale. Per ringraziare, lascia la Ferrari e passa in Maserati. Peter Collins entra nel cuore di Enzo, ma il tempo no, il tempo Peter non lo avrà.
La morte di Alberto Ascari nel 1955, l’abbandono di Manuel Fangio nel 1956. Enzo Ferrari cambia tutto. Nell’anno che gli ha portato via Dino, trova la forza di guardare in faccia il futuro. La Scuderia Ferrari diventa giovane.
Il 2 dicembre 1956 Enzo Ferrari presenta i cinque piloti di Scuderia per la stagione ’57. Il futuro sono loro.

Per la stampa i cinque diventano subito la Ferrari Primavera

Stagione giovane e di rinascita la primavera, proprio come avrebbe dovuto essere la Scuderia Ferrari senza più Alberto Ascari, Nino Farina e Manuel Fangio.
I cinque piloti del futuro sono Eugenio Castellotti (26 anni),  Luigi Musso (30 anni), Peter Collins (25 anni), Mike Hawtorn (27 anni) e Alfonso de Portago (30 anni).
Sono giovani, belli, eleganti, veloci. Hanno donne bellissime, hanno vitalità intensa, caratteri guasconi. Sfidano la sorte ogni volta che salgono in macchina, ogni volta che tentano di andare più veloci del tempo.
Il tempo li lascia fare, ghigna alla loro insolenza, li fa illudere, ma presto inizia a chiudere il sacco.
Eugenio Castellotti
muore durante delle prove sull’Aerautodromo di Monza il 14 marzo 1957.
Alfonso de Portago
muore il 12 maggio 1957 nel tragico incidente di Guidizzolo, quello che oltre a lui e il navigatore Edmund Nelson vedrà morire altre nove persone e fermerà la Mille Miglia.
Luigi Musso
muore il 6 luglio del 1958 a Reims durante il Gran Premio di Francia.
Peter Collins
, il pilota gentiluomo che pensava di avere tempo per vincere, muore il 3 agosto del 1958 a seguito di un incidente durante il Gran Premio di Germania.
Mike Hawtorn
, l’inglese che correva con farfallino, nel 1958 vince il titolo mondiale e poi mantiene la promessa che aveva fatto a sé stesso. Si ritira. Non basta. Muore il 22 gennaio 1959 andando fuori strada con la sua Jaguar in una normale strada inglese di campagna.
La Ferrari Primavera dura più di una stagione e meno di una vita. Di cinque vite.

Ferrari e De Portago
(Enzo Ferrari e Alfonso de Portago)

La filosofia del dolore

Siamo fatti così. Cerchiamo spiegazioni. A volte le troviamo, a volte no e quando proprio ci sembrano irraggiungibili costruiamo artefatti, le sinapsi montano e smontano, ci fanno trovare altri motivi o, semplicemente, ci portano altrove.
La Ferrari Primavera finisce in tragedia. Il dolore per Enzo Ferrari è ormai diventato interlocutore quotidiano, compagno di vita e di scuderia. Con Dino continua a parlare, quasi ogni giorno lo va a trovare al mausoleo di famiglia, l’assenza diventa una nuova presenza. Parla con lui e io credo che abbia parlato a lungo anche con i suoi piloti.

Tanti altri i piloti che Enzo Ferrari ha visto andare via

In questo viaggio nel dolore di Enzo Ferrari, ci fermiamo ai piloti della Primavera, ma tra i tanti altri che Enzo ha visto andar via vorrei lasciare un ricordo veloce per Wolfgang Von Trips, il pilota aristocratico, per Lorenzo Bandini, il bravo ragazzo amato da tutti,  per il troppo spesso dimenticato Ignazio Giunti e per Gilles Villeneuve che ha avuto coraggio da vendere e che una bella foto ci restituisce mentre ridono insieme.

Ferrari e Villeneuve
(Enzo Ferrari e Gilles Villeneuve)

Il dolore di Enzo

Non sono un ingenuo e non sono un assassino, sono semplicemente un costruttore. Vi è una responsabilità morale in tutto quello che facciamo nella vita. Io sono convinto che il progresso dell’automobile nella sicurezza della viabilità di tutti i giorni è strettamente connesso alle affermazioni sportive. Sono convinto che le corse ci hanno portato a costruire ottime macchine da turismo, ma è ovvio che tutto questo comporta dei sacrifici umani. Sono stati troppi? Non tocca a me dirlo.”
Fatale, da solo mentre guarda in viso il destino che sua vita trascorsa gli ha riservato, Enzo Ferrari al dolore cerca e trova un motivo superiore, un senso, un significato. Non più per sé, ma per gli altri, per il mondo dove ha lasciato un segno profondo come a pochi altri è stato concesso.
È però un’altra intervista, quella del 1960, che ci porta dentro il dolore di Enzo Ferrari.
Accade quando Sergio Zavoli chiede a un collaboratore di EnzoCome si comporta Ferrari dinanzi all’esito catastrofico, all’evento drammatico?

La risposta è lapidaria.
Un disastro, completamente annientato come uomo
E a chi tocca comunicargli per primo la notizia della morte del pilota?” incalza Zavoli.
“In questi casi tocca a qualcuno telefonare (NdA: Enzo Ferrari non assisteva mai di persona alle corse) e dalle lunghe pause, dalle repentine richieste d’informazioni e persino dai singhiozzi che udiamo dall’altra parte del filo comprendiamo il dramma che vive quest’uomo in queste tristi circostanze.”

The Drake
(Enzo Ferrari, The Drake)

La memoria di Enzo

Piero Ferrari di Enzo ha la stessa passione oltre che lo stesso viso.
In azienda con lui, dopo la morte del padre segue la sua strada e conserva la memoria di un patrimonio culturale italiano unico per ingegno e preziosità. Il dolore del padre lo ha visto da vicino e sicuramente toccato con mano. Immagino conservi preziosamente anche questo.
Io mi sento solo dopo tanti allucinanti avvenimenti e quasi colpevole di essere sopravvissuto” così ha detto Enzo.
Superando spazio e tempo, se possibile vorrei tranquillizzarlo.
Vorrei dirgli che no, non c’è nessuna colpa nel sopravvivere, né a un figlio, né ai piloti.
È solo una corsa che si chiama vita.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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