di Carlo e Giulia Ottaviano
“Petruzzu” Pietro Anastasi giocò venticinque partite in Nazionale, segnò otto gol, fu campione europeo nel 1968. Per i siciliani che amano il calcio una gloria. Così come Totò Schillaci, l’attaccante i cui occhi da pazzo bucarono gli schermi tv di tutto il mondo durante quei Campionati mondiali del 1990 che lo avrebbero laureato capocannoniere, nonostante la delusione del terzo posto per la nazionale italiana. Catanese il primo, palermitano il secondo. Ma prima o poi il loro ricordo è destinato – sic transit gloria mundi – all’oblio. Non così per il meno noto – anzi davvero sconosciuto ai più – Franz Calì, il cui nome è invece scolpito nella storia del gioco più amato dagli italiani. Il 15 maggio 1910 fu infatti il primo giocatore a indossare la fascia di capitano all’esordio della Nazionale all’Arena di Milano.
Un primato che nessuno potrà mai togliergli.
La fortuna giocò dalla sua. In campo contro i francesi scese solo grazie alla squalifica di giocatori più titolati e divenne capitano essendo – con i suoi ventotto anni – il giocatore più anziano tra gli azzurri. Che poi in quella prima partita non erano in effetti neanche azzurri: le maglie erano bianche, perché costavano sette centesimi meno di quelle colorate.
Tempi epici, come la stessa vita di Calì.
Nato nel 1882 a Riposto, un paesino sul mare ai piedi dell’Etna, la sua famiglia era stata costretta a emigrare. Il padre era un commerciante di vini che aveva abbandonato la Sicilia dopo l’ennesima rapina a opera di veri e propri pirati durante il trasbordo di botti dalle barche alle navi mercantili in rada. Dall’ultimo assalto non si era ripreso economicamente decidendo così di emigrare a Zurigo e a Ginevra in Svizzera – dove Franco sarà ribattezzato Franz – e poi a Genova. E a Genova, assieme al fratello Salvatore, il nostro si dedica anima e corpo allo sport, tanto da percorrere a piedi ogni giorno i cinque chilometri di andata e altrettanti di ritorno che separano la casa in collina dallo stadio. I due fratelli si dividono il ruolo di portieri e terzini dell’Andrea Doria, allora seconda squadra della città, che poi sarebbe diventata l’attuale Sampdoria.
Franz fa anche l’arbitro, visto che all’epoca il direttore di gara veniva deciso di comune accordo tra gli avversari, e anche in questo caso merita un posto nella storia del calcio perché durante la finale Juventus-Milan di un torneo giocato al Velodromo Umberto i di Torino nel 1902 con le squadre inchiodate sul 3 a 3 dopo i tempi supplementari, decide di non fischiare la fine e di far giocare a oltranza fino al gol che avrebbe decretato il successo: oggi si chiama golden gol. Fatto sta che il Milan non accettò di proseguire l’incontro e la Juventus venne dichiarata vincitrice. Una curiosità in chiave tutta siciliana: all’epoca le maglie della Juve non erano bianconere ma rosa, come quelle del Palermo di oggi.
La carriera in Nazionale di Calì non fu lunga, nonostante gli apprezzamenti per la vittoriosa partita di Milano (6 a 2 sulla Francia), apparsi il giorno dopo sulla «Gazzetta dello Sport»: «Calì fece dar ragione a coloro che insistettero per averlo in linea e questo dice tutto data la lotta che si accese intorno al fortissimo capitano dell’Andrea Doria». E più avanti: «Calì ieri si è confermato per calma, sicurezza e per la perfezione del giuoco il più degno a coprire il posto di capitano del nostro undici nazionale… Il pubblico applaudendo freneticamente Calì ne riconosce il suo valore». Disastrosa invece per tutta la squadra la successiva partita contro l’Ungheria a Budapest, persa per 6 a 1. A di- fesa degli azzurri, ancora bianchi per via delle più economiche maglie, il lungo, estenuante e in parte avventuroso viaggio in treno e i troppi panini al salame mangiati nelle ore precedenti l’incontro. Preparati dalla madre di un altro giocatore – Attilio Trerè dell’Ausonia Milano –, risultarono alla digestione un po’ troppo pesanti, per quanto buonissimi.
Dismesse le scarpe con i tacchetti, per una decina d’anni – salvo l’interruzione della Grande Guerra durante la quale fu anche ferito al fronte –, Franz fu uno dei quattro commissari tecnici della Nazionale. Una passione poco remunerativa. Per vivere – fino alla morte, avvenuta nel 1949 – faceva il fotografo e ancora oggi sulle bancarelle genovesi si trovano sue cartoline di ritratti e paesaggi. Per alcuni anni lavorò pure nel carcere di Forte Sperone a contatto con i prigionieri di guerra croati e serbi che, nel riconoscergli la dote di umanità, gli donarono una scultura con inciso il suo nome. Nel 2010 la Federazione Italiana Gioco Calcio in suo onore ha dato il via proprio dalla natia Riposto alla tournée in occasione delle celebrazioni per i cento anni della Nazionale.
Da “Le storie e i luoghi più strani della Sicilia” (Newton Compton, 2019