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Charles Miller. Il ciclista romantico

Nell'epopea delle Sei Giorni di fine ottocento Charles Miller è un ciclista eroico, un gigante in pista, ma con gambe che si fanno rispettare anche in strada. Charles Miller è anche un ciclista romantico, però. Questa è la storia sua e del matrimonio più incredibile che il ciclismo abbia mai visto.
Charles Miller

Poche le foto sopravvissute al tempo. Frammentarie le notizie che lo riguardano.
Charles Miller è un ciclista quasi dimenticato. Uno dei tanti.
Eppure il tedesco Karl Müller, ciclista degli anni eroici naturalizzato statunitense come Charles Miller in data imprecisata, è un protagonista assoluto delle Sei Giorni di fine ‘800.
Gambe, muscoli, fiato, testa e cuore: per correre una Sei Giorni non puoi fare a meno di nulla.
Di cuore, poi, Charles Miller ne aveva tanto.
Per questo, oltre che un campione, Charles Miller è un ciclista romantico.

Una gara animalesca

Dure le Sei Giorni, durissime.
Ciclismo estremo che si corre per la prima volta a Birmingham nel 1875 e che in breve tempo dilagherà rapidamente nel mondo anglosassone. Dure al punto che nell’ultimo scampolo del secolo del vapore le Sei Giorni, specialmente negli Stati Uniti, sono apertamente osteggiate.
Nel 1896 il New York Journal le descrive come gare “perniciose per l’uso ragionevole della bicicletta“, mentre il New York Herald le accusa di “disumanità in nome dello sport“.
Accuse che non rimangono inascoltate e che, sempre a New York, sono raccolte e rilanciate da Michael C. Murphy, Commissioner of Health della città e personaggio singolare. Eroe della Guerra Civile americana – quella che voleva liberare i neri del Sud dalla schiavitù -, decorato con Medal of Honor, è lui che nel 1897 cerca di impedire lo svolgimento della Sei Giorni newyorkese ritenendola una “gara animalesca a cui nessun bianco dovrebbe assistere”.
Nessun bianco, si noti bene. Essendo animalesca, evidentemente la gara poteva andare bene solo per i neri.
Alla faccia dell’affrancamento.

Charles Miller
(Charles Miller)

La pista come vita

Insomma, questo è il clima nel quale si trova a pedalare il nostro Charles Miller.
Di lui in rete si rintracciano poche foto e poche notizie. Non sappiamo quando sia emigrato dalla Turingia negli Stati Uniti e non sappiamo neanche quando abbia iniziato a dar di pedale.
Sappiamo però che Charles Miller diventa professionista abbastanza giovane, nel 1897, a 22 anni, e che lo rimarrà fino al 1901.
Appena quattro anni, pochi forse, ma abbastanza per regalare al nostro Charly diverse soddisfazioni.

Un mostro della pista

Premesso l’alone di mistero che ne segna l’ingresso in pista, Charles Miller è da subito un campione delle Sei Giorni.
Nel 1897 vince a New York, è secondo a Chicago e terzo a Detroit.
A New York, dopo aver percorso 3.229 km e sbaragliato 37 concorrenti, Charly vince un premio di 1.500 dollari.
Tanto, veramente tanto a quel tempo.
Il fatto è che Charles Miller non si ferma più.
Nel 1898 ripete il successo di New York e vince a Houston.
Nel 1899 vince l’individuale di San Francisco e ancora una volta vince a New York, quest’ultima però corsa secondo nuove regole.
Michael C. Murphy, l’eroe un po’ confuso della Guerra Civile americana, fallito il tentativo di impedirne lo svolgimento, era invece riuscito a far adottare un nuovo regolamento che cambiava radicalmente la corsa. Non più partecipazione individuale, ma obbligo di partecipazione in coppia e divieto per ogni ciclista di correre più di dodici ore consecutive.
In pratica quasi un’altra corsa.

Madison Square Garden
(Madison Square Garden)

Vincere in coppia

Le regole cambiano, ma per la voglia di vincere di Charles Miller non cambia nulla.
Nel 1899 il suo compagno di vittoria è Frank Waller.
Di ben 16 anni più grande e anche lui tedesco naturalizzato americano, primo alle individuali di Washington e Pittsburgh nel 1894 e ancora di Washington del 1896, gambe toste anche quelle di Frank Waller.
Nel 1900 Charles Miller si iscrive a New York in coppia con Robert “Bobby” Walthour, ma un malessere di stomaco lo costringe presto al ritiro. Peccato. Bobby Walthour, il cosiddetto pirata nero, è uno dei ciclisti più forti del tempo e nei due anni successivi la Sei Giorni di New York è sua.

Parigi-Brest-Parigi

Nelle gambe di Charles Miller c’è anche strada, però. E che strada!
Nel 1901 Charly attraversa l’Oceano e va a correre la seconda edizione della Parigi-Brest-Parigi, gara con cadenza allora decennale organizzata dal Petit Journal.
Tra i 113 concorrenti lui è l’unico americano e tale rimarrà per decenni.
1.200 i chilometri della Parigi-Brest-Parigi, corsa dura oggi, immaginate quanto poteva esserlo nel 1901.
Charles Miller la corre da solo, senza assistenza, costretto persino a farsi prestare una bicicletta di fortuna a 350 chilometri dal traguardo, quando la sua lo abbandona senza possibilità alcuna di rimedio.

Miller alla Parigi-Brest-Parigi
(Charles Miller, Parigi-Brest-Parigi 1901)


È un gigante Charles Miller.
Nonostante tutto arriva quinto in 56 ore e 40 minuti. Davanti a lui tre francesi e uno svizzero, ma è Charly che con 1 minuto e 26 fa segnare il miglior tempo sull’ultimo chilometro.
Nell’ordine di arrivo della corsa c’è un dettaglio che vale la pena ricordare: il vincitore è Maurice Garin, da poco naturalizzato francese, ma italiano di cuore, fiato e gambe, nato ad Arvier, paesino poco distante da Aosta.
Dalla Parigi-Brest-Parigi in poi di Charles Miller non si trovano altre notizie.
Ne mantiene in parte viva la memoria  l’associazione dei Randonneurs americani che, in suo onore, ha istituito la Charly Miller Society, albo d’oro dove sono iscritti tutti i ciclisti statunitensi che terminano la corsa con un tempo inferiore a quello registrato da Charly.
L’unica e altra cosa che sappiamo di lui è la data del suo ultimo giro, compiuto il 20 agosto del 1951.

Il ciclista romantico

Nella vita di Charles Miller c’è anche altro, però.
Facciamo un passo indietro, torniamo nel 1898 a New York.
Il 10 dicembre al Madison Square Garden la gara animalesca, come l’aveva definita Michael C. Murphy, si è appena conclusa.
In migliaia sugli spalti acclamano il vincitore. L’impresa è sempre straordinaria, ma quello che sta per accadere sotto i loro occhi non accadrà mai più e loro non lo dimenticheranno mai.
C’è movimento nel parterre del circuito: ciclisti stremati, tecnici, allenatori.
Come un pesce fuor d’acqua, tra loro una donna vestita di chiaro.
Il vincitore le va incontro e con lui tutti i ciclisti.
Gli uomini dalle gambe d’acciaio avevano un patto d’onore. 
Se tutto fosse accaduto il giorno prima come Charly aveva inizialmente previsto, loro, ciclisti eroici di pista, uomini tutti di un pezzo, si sarebbero fermati, sarebbero usciti dalla pista e ognuno sarebbe diventato testimone festoso. In pista si corre, si vince e si perde, ma sempre alla pari e non si approfitta di un matrimonio per guadagnare tempo e distanza.
Matrimonio, esatto.

(Daily Mail and Empire 10 dicembre 1898)
(Daily Mail and Empire 10 dicembre 1898)

Sposi in pista

La madre di Genevieve Hansen non era d’accordo.
Già non voleva che la figlia, lei di Chicago, si sposasse all’Est, figuriamoci poi se aveva mai immaginato che il suo matrimonio potesse essere celebrato su una pista di ciclismo.
È così che all’amore mette una condizione da regina madre: inderogabile.
Passi che Genevieve si sposi a New York in una pista circondata da ciclisti abbrutiti dalla fatica, ma almeno che sposi un vincitore.
Bisogna aspettare la fine della corsa, quindi, ed è così che il matrimonio previsto per il 9 viene spostato al 10 dicembre.
Charly ama Genevieve.
Stringe i denti e spinge forte sui pedali.
Per vincere e per sposarla.
Lui lo sa che lei è l’amore della sua vita, un giorno in più di attesa è solo uno in più dei cinquanta anni che passeranno insieme.
La scena madre è alle 2 del pomeriggio del 10 dicembre.
Nel parterre i
l vincitore e la ragazza vestita di chiaro si prendono per mano, i ciclisti sono tutti con loro, il pubblico inizia a capire, il funzionario del municipio recita le poche parole di rito presto suggellate da una promessa e da un bacio.
Sugli spalti tanti applaudono, qualcuno ride, altri si commuovono.
Charly e Genevieve sono marito e moglie e non si lasceranno mai.
Miracoli della pista o forse solo di un tempo lontano.

Una bella storia

È una bella storia quella di Charles Miller.
Le fonti sono rarefatte, sfilacciate dal tempo, ma non dovrebbe essere andata molto diversamente da come l’abbiamo ricostruita e romanzata.
In ogni caso la storia abbandonata di Charles Miller, il ciclista romantico, meritava di essere raccontata ancora una volta.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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