Tokyo 2020
Il 5 settembre si chiudono le Paralimpiadi di Tokyo 2020 che, con le loro storie di sfide e di eccellenza, hanno ancora una volta dimostrato come anche l’impossibile possa essere affrontato a viso aperto e vinto.
Grande il successo della delegazione italiana, con atlete e atleti che hanno conquistato podi e onori della cronaca, ognuno con un vissuto che può essere di esempio a tutti noi. Sul mensile di luglio abbiamo presentato il libro di Roberto Riccardi dedicato a Ludwig Guttmann, il medico ebreo fortunosamente passato attraverso la Shoah al quale dobbiamo l’intuizione che lo sport potesse diventare un percorso di vita per le persone con disabilità, e abbiamo avuto l’onore di ospitare un racconto pre-olimpico di Francesco Bocciardo, che da Tokyo torna con due medaglie d’oro.
Roma 1960
È noto che i primi Giochi Paralimpici si svolsero Roma.
Il 18 settembre, una settimana dopo la fine della XVIII Olimpiade, allo stadio dell’Acqua Acetosa che per lunghi anni sarà ancora comunemente chiamato Stadio delle Aquile prima di essere dedicato a Paolo Rosi, si ritrovano 400 atleti provenienti da 23 Nazioni.
Dagli spalti 5.000 persone assistono alla sfilata inaugurale.
Non chiamiamoli spettatori, però.
I 5.000 sugli spalti sono dei testimoni.
Testimoni di una storia che non avrebbe più fatto passi indietro.
Il sogno di Antonio Maglio
Sull’esempio di Ludwig Guttmann, che nella Spinal Injuries Unit dell’ospedale inglese di Stoke-Mandeville aveva iniziato a riabilitare feriti di guerra con lesioni spinali attraverso l’attività sportiva, è il dottor Antonio Maglio a portare in Italia questo nuovo approccio alla disabilità.
Dirigente medico dell’Inail, Antonio Maglio è persona straordinaria; con Guttmann instaura un forte rapporto professionale e umano, convince i vertici dell’Inail a supportare e seguire quello che, al tempo, poteva sembrare poco più di un sogno.
Nel 1956 Maglio inizia a portare alcuni suoi pazienti a Stoke Mandeville e capisce in prima persona benefici e potenzialità del metodo Guttmann e della sport terapia.
Nel 1957, ad Ostia, l’Inail apre il Centro Paraplegici Villa Marina. Antonio Maglio lo dirigerà, ma è più corretto dire che ne sarà anima e cuore.
Nel 1958 Ludwig Guttmann e Antonio Maglio decidono che bisogna fare un grande passo in avanti: la IX edizione dei Giochi di Stoke Mandeville si terrà a Roma subito dopo le Olimpiadi.
L’Inail si mette in gioco e finanzia gran parte dell’operazione.
Nasce così la prima edizione dei Giochi Paralimpici
Tutto quello che ne è seguito lo dobbiamo a uomini che hanno saputo guardare avanti e andare oltre le apparenze.
Il destino di Roberto Marson
Tra gli uomini che hanno saputo andare oltre le apparenze ce n’è uno che, ancora oggi, nonostante l’attenzione mediatica riservata allo sport paralimpico, rimane sconosciuto ai più.
Di lui ne parliamo ad un giorno dalla chiusura delle Paralimpiadi di Tokyo, perché abbiamo voluto dare il beneficio dell’attesa al mainstream mediatico.
Non è servito.
Forse qualcosa ci può essere sfuggito, ma nei servizi e negli articoli di cui abbiamo avuto contezza non abbiamo trovato di Roberto Marson, l’atleta paralimpico azzurro più medagliato, come spesso viene descritto
È un errore.
Roberto Marson, con le sue 26 medaglie guadagnate tra il 1964 e il 1976 (Tokyo, Tel Aviv, Heidelberg, Toronto) in tre diverse discipline e dieci specialità, è l’atleta olimpico italiano più medagliato in assoluto.
Roberto Marson. Una mattina in cantiere
Roberto Marson era il primo di sette figli e questo significava una sola cosa; appena grande e forse anche prima doveva lavorare.
In quegli anni Roma si espandeva a macchia d’olio, gru e cantieri non solo ne erano il panorama, ma anche l’opportunità di lavoro per chiunque avesse più timore della fame che della fatica.
Roberto a 16 anni faceva il muratore e sembra che quella mattina non avesse voglia di andare a lavorare.
Fu quella la mattina in cui, poco dopo essere arrivato in cantiere, un muro gli crolla addosso e lo schianta a terra con “la schiena rotta”, come si diceva al tempo.
La lesione spinale di Roberto sarà irreversibile, gli cambia la vita, ma il suo destino si chiama Antonio Maglio.
Roberto Marson. Atleta, campione, dirigente
Roberto segue con abnegazione totale il percorso riabilitativo e il suo futuro prende corpo sotto gli occhi e la guida del professore.
È così che Roberto diventa un campione, prima e, dopo, il dirigente sportivo al quale con ogni probabilità l’organizzazione paralimpica italiana deve la sua ragion d’essere e i successi che in seguito andrà a conquistare.
Dal 1980 fino al 1992 Roberto Marson sarà presidente della Federazione Italiana Sport Handicappati (FISHa) che, nel 1990, diventerà Federazione Italiana Sport Disabili (FISD).
Nel 2003 sarà costituito il Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e sarà l’intero sport italiano ad avvantaggiarsi della nuova dimensione organizzativa paralimpica.
Il tributo mancato
In occasione di Londra 2012 la figlia di Roberto Marson riceverà il premio della Hall of Fame Paralimpica internazionale.
Nel 2015 il Coni inserirà Roberto Marson nei 100 nomi della Walk of Fame dello sport italiano.
Di Roberto Marson si potrebbero raccontare in dettaglio vita e imprese sportive, ma quello che abbiamo esposto in sintesi già rende la misura di quanto l’uomo sia stato straordinario.
A scanso di equivoci, noi parliamo di Roberto Marson come atleta olimpico in senso assoluto non per svista, ma per scelta di campo. La vita di Roberto Marson dovrebbe essere raccontata a scuola, così da farla essere esempio per tutti e, invece, nel mainstream mediatico di Tokyo 2020 nessuno ha ricordato il più grande atleta olimpico italiano.
Noi non possiamo colmare in pieno una mancanza, ma possiamo continuare a ringraziare Roberto Marson scrivendo e raccontando di una vita che ha speso a vantaggio di tutti.
Anche di chi non ne scrive.